Fra Pasquale da Vergato – La vita e le virtù

(Microsoft Word - Fr340 Pasquale da Vergato .doc)2013/10/12, Vergato – Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo opuscoletto che ci ha fatto pervenire Maurizio Motta a seguito della pubblicazione del “santino” di Fra Pasquale. Ora conosciamo la vita e le opere e chissà che un giorno Vergato non abbia il Suo Santo…

BREVI CENNI SULLA VITA E LE VIRTÙ di Fr. PASQUALE DA VERGATO DELL’ORDINE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI di P. Tobia da  Cesenatico o.f.m. cap.

In ossequio al Decreto di Papa Urbano VIII, si dichiara che quanto viene narrato in questo opuscoletto su Fr. Pasquale da Vergato è oggetto di fede puramente umana.

Introduzione

A un Convegno di studio sui documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, tenuto nei giorni 12, 13 e 14 dicembre 1966 nel Con­vento di S. Giuseppe in Bologna, per tutti i Cappuccini della monastica Provincia Bolo­gnese-Romagnola, uno dei Conferenzieri, il Prof. Don Giuseppe Dossetti, dal 2 gennaio 1967 Pro Vicario Generale della Archidiocesi di Bologna, è uscito in queste quasi testuali parole:

La mia stima e simpatia è specialmente per i vostri Fratelli Laici: sono essi i veri rappresentanti del genuino spirito francescano. Queste parole fanno onore a chi le ha pronunciate e a coloro ai quali sono indiriz­zate. Senza voler sminuire la santità di coloro che nell’Ordine Cappuccino sono stati insi­gniti del carattere sacerdotale, è un dato di fatto che il primo Santo dell’Ordine è un Fratello Laico: S. Felice da Cantalice, questuante di Roma. Anche gli ultimi tre Santi, in ordine di tempo, sono Fratelli Laici: S. Corrado da Parzham (1934), portinaio del San­tuario di Altoetting (Baviera); S. Ignazio da Laconi (1951). questuante di Cagliari: S. Fran­cesco Maria da Camporosso (1962), questuante di Genova.

Ma senza pretendere la santità carismatica, quanti altri Fratelli in tutti i tempi hanno fe­delmente vissuto nell’Ordine Cappuccino il ge­nuino spìrito francescano, ricopiando in se stessi gli esempi e le virtù del Serafico Padre! Anche colui che scrive queste note ha avuto un suo lontano parente umile fratello Laico Cappuccino: Fr. Felice Spada da Cesenatico (* 1872), e il Necrologio della Provìn­cia sintetizza in queste poche lapidarie parole la sua vita: Attese alla questua con ogni dili­genza; fu umile, povero, obbediente e amante dell’orazione. Come sì vede, ce n’è abbastanza per considerarlo un modello dì vita france­scana.

Tuttavia non è di lui che si vuoi qui par­lare, bensì del Fratello Laico Fr. PASQUALE da Vergato (detto anche da Bologna o da Casigno), che a nostro modo di vedere ha rag­giunto la santità nel vero senso della parola, santità confermata da Dio, come si asserisce con segni portentosi.

Nascita e infanzia

Fr, Pasquale è nato il 15 febbraio 1782 a Casigno, piccola e povera Parrocchia dell’Appennino bolognese, in comune di Castel d’Aiano. Al fonte battesimale fu chiamato Giuseppe, e all’età di 11 anni, il 20 agosto 1795, ricevette la S. Cresima per mano del Card. A. Giovannetti, Arcivescovo dì Bologna. Non sappiamo quando egli fece la Prima Comunione; come anche non conosciamo il perché egli non frequentò la scuola elementare. Forse perché essa era lontana, se pure esisteva in quei luoghi e a quei tempi; forse perché i suoi genitori, Giacomo Fabbri e Maria Franzori. ottimi cristiani ma poveri di beni mate­riali, sentirono il bisogno di far guadagnare a Fr. Pasquale, ancor fanciullo, il vitto quoti­diano anziché procurargli un’istruzione che avrebbe ritardato il suo rendimento. Giuseppe quindi, ancora in tenera età fu affidato come servitore, o, come si dice in bolognese,  in qualità  di  « garzone », ora  a questo e ora a quel contadino dei dintorni. E’ stato detto che il pane elemosinato è pagato due volte, ed è vero. Ma anche il pane guadagnato al servizio dì un qualsiasi padrone ha la crosta ben dura.

Il nostro Giuseppe, avvezzo già al sacrificio e alle privazioni nella casa paterna, non trovò particolarmente difficile il nuovo genere di vita, e si dimostrò sempre sottoposto e pronto agli ordini che gli venivano impartiti. La sua de­vozione, poi, e la sua pietà verso Dio, che dimostrò fin dai più teneri anni, lo confortava.

Servizio militare

Contava ormai 23 anni quando assie­me ad altri giovani, fu arruolato nell’esercito imperiale di Napoleone I. Prima di partire, secondo le belle tradizioni cristiane di quei tempi, volle mettersi in ginocchio e chiedere la benedizione dei suoi genitori. E Iddio lo pro­tesse. Poteva accadere di lui di essere uno dei tanti soldati sacrificati all’ambizione del gran­de Imperatore; e invece, per la sua indole mite, considerato poco adatto all’uso delle armi, fu scelto come attendente di ufficiali, e così fu salvo da ogni pericolo. Durante la vita militare non perdette le buone e cristiane usanze della famiglia: sapeva approfittare dei momenti liberi per correre do­ve ci fosse una Chiesa ad adempiere ai suoi do­veri religiosi; anche in mezzo ai compagni pro­fessò apertamente la sua fede, e sembrò che il suo contegno e il suo servizio attirasse anche sui suoi superiori la protezione di Dio.

Ritorno in famiglia

Nel 1812, dopo sette anni di servizio mili­tare, Giuseppe potè far ritorno al suo paese natio e alla sua famiglia. Dei suoi genitori egli non aveva saputo più nulla, da quando era partito; di modo che, giunto a Bologna e iniziato il cammino verso la nativa Casigno, una folla di pensieri lo rat­tristavano, per l’incertezza di ciò che avrebbe trovato. Fortunatamente, prima ancora di arrivare alla casa paterna, incontrò lungo la strada proprio i suoi genitori che erano diretti a una festa campestre nei dintorni. Li abbracciò af­fettuosamente e a lungo, e potè confidare a una persona amica di non aver provato in vita sua tanta gioia come in quel momento. La gioia tuttavia non durò a lungo, perché ben presto, giunto in famiglia, si rese conto della miseria estrema in cui i suoi poveri geni­tori vivevano; e, per non essere loro d’aggra­vio, anzi per poter in qualche modo aiutarli, si fermò poco tempo con loro, e poi riprese l’an­tico modo di vivere e guadagnare il pane: andando a servizio.

A Casalecchìo di Reno

Col permesso dei suoi genitori, Giuseppe prese accordi con la famiglia Gagliazzi di Casalecchio di Reno, per un servizio di sette anni. Durante questo tempo si vide chiaramen­te che Dio lavorava in quell’anima, perché diede prova di una estrema fedeltà ai suoi pa­droni sino allo scrupolo, e, inoltre, di una tenerissima devozione alla Ss.ma Vergine e di un amore così forte alla penitenza che solo i santi sono capaci di dimostrare. Non c’era lavoro pesante a cui egli non si sentisse di sobbarcarsi; non c’era sacrificio che egli rifiutasse, quando si trattava del bene dei suoi padroni. Si racconta, al riguardo, che una notte la famiglia Gagliazzi fu derubata delle galline. Giuseppe si reputò colpevole del furto, per non aver sorvegliato abbastanza il pollaio, ac­cusandosi che quella notte il sonno lo aveva colpito più del solito. E perché furti del genere non succedessero più, egli, da allora in poi, decise di dormire all’aperto, sopra un fascio di vimini, esposto alle intemperie e al freddo notturno. Dormendo poi all’aperto e, il più delle volte, vegliando, ne approfittava per recarsi ai piedi di un albero sul cui tronco era appesa una immagine della Madonna, e là, inginoc­chiato, apriva alla Ss.ma Vergine il suo cuore, incurante del freddo, del sonno e della fame. E come se questo non bastasse al suo desi­derio di penitenza, si era anche scelto per il suo riposo alcune tavole, irte di chiodi arrug­giniti e di punte paurose, perché il suo non fosse un riposo ma un martirio continuato. Tuttavia dovette presto smettere questo genere di martirio, perché il suo confessore lo dis­suase da una così aspra penitenza.

Vocazione religiosa

A questo punto si sarebbe tentati di dire che un’anima così bella e così pronta al sacri­ficio, da emulare gli anacoreti del deserto, non era degna di restare in mezzo al mondo, quasi che nel mondo non ci siano, sebbene rare, anime che aspirano davvero alla perfezione e che amano la croce e la sofferenza. Ma questo non voglio neppur pensarlo. Voglio dire sol­tanto che Iddio lo predilesse e gli accordò la grazia della vocazione religiosa. Da tempo egli sentiva nel suo cuore il desi­derio di consacrarsi a Dio in un Ordine reli­gioso, e finalmente potè metterlo in esecu­zione. Nel mese di marzo 1819 si presentò ai Cappuccini, che da pochi mesi erano venuti ad abitare al Convento S. Giuseppe fuori Porta Saragozza, e domandò umilmente di essere ri­cevuto nell’Ordine. Il Superiore era allora il P. Prospero Zanetti da Bologna, il quale accettò la domanda del giovane che a lui si presentava, ma non volle subito inviarlo al convento di Noviziato, ma lo tenne nel convento di Bologna in qua­lità di terziario. Gli cambiò il nome di Giuseppe in quello di Fr. Pasquale e, per meglio esperimentarlo nei sacrifici della vita che inten­deva abbracciare, lo incaricò della questua nel­la campagna bolognese: se avesse dato buon saggio delle sue virtù, la sua vocazione era vera e poteva essere ricevuto nell’Ordine. Per 4 anni Fr. Pasquale attese a questo lavoro, e fin da allora apparve un angelo di conforto alle famiglie presso le quali si recava a questuare la carità per i Religiosi del Con­vento S. Giuseppe.

Noviziato e Professione

Fu dunque reputato degno di essere am­messo al Noviziato. Il 3 maggio 1823, a Ce­sena, il Maestro di Noviziato, P. Carlo M. da Cesena, gli impose sull’abito da Terziario il cappuccio col capperone, distintivo dei Novizi, lasciandogli il nome di Fr. Pasquale. Aveva 41 anni, 2 mesi e 18 giorni. Data l’età ormai avanzata, e, molto più, dato lo spirito da cui si dimostrava animato il nuovo novizio, si pensò di ottenergli da Roma la dispensa da sei mesi di prova. Questa giunse sin dal 29 di luglio, così che, allo scadere dei primi sei mesi di noviziato, il 3 di novembre dello stesso anno, egli potè emettere la professione solenne nelle mani del nuovo Maestro, il P. Sigismondo da Ferrara, che in seguito divenne Ministro Generale dell’Ordine. Quel giorno, nella gioia più pura del suo cuore, egli si consacrava irrevocabilmente a Dio, nell’osservanza dei santi voti di obbedienza, povertà e castità, e, non sapendo né leg­gere e né scrivere, di suo pugno apponeva una croce alla dichiarazione della professione avvenuta.

Ritorno al Convento San Giuseppe e suo apostolato

Emessi i voti, i Superiori, memori dell’ot­timo ricordo che egli aveva lasciato al Con­vento S. Giuseppe in Bologna, ve lo rimanda­rono, e sempre in qualità di questuante; però non più di campagna bensì di città, consideran­dolo oltre ogni dire adatto, e per l’età e per lo spirito, a un simile delicato ufficio. E questo ufficio egli lo esercitò per quasi trent’anni, cioè sino alla morte. Ogni giorno egli faceva a piedi scalzi la via che dal convento porta alla città. Si vedeva passare attraverso le piazze e le strade, en­trando e uscendo dalle case dei benefattori. Entrando, aveva per tutti il saluto cristiano « sia lodato Gesù Cristo », e uscendo ringra­ziava e prometteva preghiere. Non chiedeva mai nulla, ma accettava quello che gli offrivano. Se qualcuno con lui si confidava, aveva sempre parole di fede e di conforto. E finì per essere davvero il confortatore e il consi­gliere di tutti. Veniva accolto nelle case con rispetto e venerazione, e tante volte la gente gli si affol­lava d’intorno per ascoltarlo. I vecchi, i po­veri, gli ammalati, gli afflitti erano i suoi pre­diletti e a tutti suggeriva pensieri di cielo. Quando qualcuno passava all’altra vita, non diceva « è morto », ma « è tornato a casa ». Una volta, entrato in una famiglia, una Signora che aveva due gemelli lo pregò di benedirne uno che era ammalato. Fr. Pasquale, indicandoli tutti e due: « Signora », le disse, « sono anime del buon Dio. Se egli le vuole, bisogna dargliele volentieri. Questi — e indicò il bambino che non era ammalato — sarà chiamato per primo ». E così realmente fu.

A proposito di predizioni, un Confratello, prima ancora della di lui morte, raccontava che Fr. Pasquale veniva spesso chiamato dai Benefattori a benedire fanciulli infermi. Ap­pena li vedeva, se diceva coi Genitori: « II vostro bambino lo vuole il Signore », quel bambino lasciava presto la terra. Se invece diceva: « Raccomandatevi pure alla Madonna che quel bambino guarisce », si poteva star certi della sua guarigione. Ma accanto alle predizioni, ci furono anche autentici miracoli, per cui il popolo non dubitava di chiamarlo « santo ».

Il Superiore del Convento di Bologna, nel dare l’annuncio di morte ai Confratelli della Provincia, diceva di lui che durante la sua vita egli si era attirato riverenza ed amore non solo da parte delle persone devote di ogni ceto, anche nobilissime per sangue, ma anche i meno devoti lo rispettavano, e al vederlo passare nel suo mortificato comportamento lo acclamava­no santo e si raccomandavano alle sue orazioni « che non raro sortirono prodigiosi effetti ».

Spirito di pietà

Fr. Pasquale, ad imitazione del suo Protet­tore S. Pasquale Baylon, era devotissimo del Ss.mo Sacramento, che riceveva tutti i giorni nella S. Comunione, e dinanzi al quale trascor­reva lunghe ore in fervorosa preghiera. Pro­prio per la sua devozione alla Ss.ma Eucare­stìa teneva presso di sé un vasetto di olio della lampada che ardeva dinanzi al Sacramento, e con esso ungeva devotamente gli infermi e ne otteneva guarigioni.

Una volta fu sentito persine scherzare al riguardo. C’era a Bologna un certo P. Giustiniano il quale propagava la devozione alla Ss.ma Vergine Immacolata e ne dispensava le coroncine, se non che qualche volta rimaneva senza. Un giorno, dunque, Fr. Pasquale si permise di celiare dicendo: « Ecco P. Giustiniano che vuoi mettere fuori delle devozioni e poi gli mancano le coroncine. Almeno io ungo con l’olio del Sacramento, e questo non mi manca mai ».

Devotissimo anche della Vergine Ss.ma. L’elogio che si legge di lui nel Necrologio del­la Provincia, nel giorno anniversario della sua morte, mette in risalto questa sua caratteristi­ca, dicendo: Ebbe grande devozione special­mente alla Ss .ma Vergine, al cui altare tra­scorreva i giorni e le notti in preghiera. Nella Chiesa di S. Giuseppe si venerava anche allora una antica Immagine della Beata Vergine della Misericordia. Orbene, era da­vanti a quell’Immagine che Fr. Pasquale pas­sava molte ore del giorno, quando non usciva per la questua, e molte ore della notte. Era solito alzarsi da letto un’ora prima che i Religiosi scendessero in coro per la recita notturna del Mattutino, e rimaneva in preghie­ra, passando dall’Altare del Ss.mo Sacramento a quello della Beata Vergine, sino all’albeg­giare. Offriva alla Madonna Tridui, Novene, Rosari per tutti i tribolati, specialmente per i Benefattori. Tanta era la sua devozione a quella Sacra Immagine, e tutti ne erano a conoscenza, che comunemente veniva chiamata la Madonna di Fr. Pasquale. A lui si deve, se non l’erezione, lo sviluppo delle due Congregazioni sorte per onorare det­ta sacra Immagine, rimaste in vita sino a po­chi anni or sono. Gli iscritti a queste due Congregazioni della Beata Vergine erano i suoi più cari amici. Alla devozione verso il Ss.mo Sacramento e alla B. Vergine, invocata sotto il nome di Madonna della Misericordia, univa la devozio­ne per il Serafico Padre S. Francesco, che fre­quentemente invocava e di cui si sforzava di imitare gli esempi, specialmente il suo amore alla santa Povertà e a Cristo sofferente. Questo amore alla Povertà e al distacco completo da ogni cosa terrena, non gli impedì di zelare la gloria del Signore, cooperando at­tivamente alla raccolta di offerte per la costru­zione dell’attuale Chiesa di S. Giuseppe, che venne innalzata negli anni 1841-1844. Il cronista del convento annota che tutti i Religiosi sì prestarono per la costruzione della nuova Chiesa o con l’opera o con sacri­fici. Quello però che si distinse tra tutti fu Fr. Pasquale da Vergato « che coi suoi buoni esempi e colle sue virtù erasi acquistato meritamente il concetto di santo: questi nei tre anni e cinque mesi che durò la fabbrica trovò in denaro non meno di 6000 scudi romani.

Morte e funerali

La sera del 18 gennaio 1851, giorno di sa­bato, rientrava a stento in Convento dalla casa di un Benefattore, dove si era recato nel po­meriggio. Un atroce dolore all’addome lo tormentava, tanto che lo si credette in fin di via, e al mattino seguente gli fu amministrato il S. Viatico. Nel pomeriggio di quel giorno il Prof. Rizzoli volle tentare di operarlo, per strapparlo alla morte, ma con grande costernazione do­vette constatare che tutto l’intestino ormai era andato in cancrena, e ogni tentativo di sal­varlo sarebbe stato inutile. Sopravvisse ancora sei giorni, durante i quali molte famiglie mandarono a chiedere di lui, essendosi sparsa la notizia della sua malat­tia. Egli trascorse quei giorni in continua preghiera. Non un lamento solo uscì dalle sue lab­bra, non ostante il dolore indicibile che doveva tormentarlo, ma, tutto abbandonato alla vo­lontà di Dio, pregò sino all’ultimo respiro sen­za sostare un attimo. Stette per lungo tempo con gli occhi fissi al cielo e poi si addormentò nel bacio del Signore alle ore 20 di venerdì 24 gennaio. Il compianto fu generale, cominciando dai suoi confratelli sino a tutti quelli cui giunse la notizia della sua dipartita. La sua salma fu esposta per tre giorni in Chiesa, e i fedeli, in numero sempre crescente, corsero per vederlo ancora una volta e avere di lui un qualche ricordo. Il Prof. Testoni ne levò la maschera e il Prof. Guardassoni ne fece il ritratto. Qualcuno ardì tagliargli un pezzo di abito col quale era stato posto nella bara; ma la maggior parte dovettero contentarsi di pezzetti di abito e di indumenti che erano stati a suo uso, e furono incaricati due Fratelli Laici a soddisfare le richieste dei devoti. La folla che accorse in quei tre giorni a S. Giuseppe fu tanta che si dovette far uso dell’arma dei gendarmi per tenere l’ordine. L’Arciprete di S. Giorgio di Piano, Don Angelo Can. Soriani, la cui famiglia era molto affezionata a Fr. Pasquale, ha lasciato scritto che anch’egli, ragazzetto di una decina d’anni, partecipò col babbo ai funerali di Fr. Pasquale, e, tornato a casa, raccontò con « semplicità fanciullesca » alla mamma che c’era tanta gen­te « che pareva fosse venuta la Madonna di San Luca fuori di Saragozza ».

La salma fu tumulata nel cimitero, o cata­comba dei Religiosi, sotto la Chiesa di S. Giu­seppe, e per tanti anni continuò il flusso dei fedeli a portare fiori e ad accendere ceri dinan­zi alla sua tomba. Ora le sue ossa riposano nella medesima Chiesa, sotto l’Altare di S. An­tonio.

Pioggia di grazie

Pochi giorni dopo la di lui morte, Fr. Colombano, tornando dalla questua, disse in pub­blico refettorio agli altri Religiosi: « Fr. Pasquale ha cominciato presto a far miracoli ». E raccontò quanto aveva appreso la mattina stessa da una benefattrice del Convento. Questa signora aveva una bambina di circa dodici anni che soffriva di male agli occhi, con la triste prospettiva di una totale cecità. Avendo saputo della morte di Fr. Pasquale, una sera la mamma disse alla fìglioletta: « E’ morto Fr. Pasquale: raccomandati a lui che ti faccia guarire ». E recitarono insieme tre Pater e Ave. Alla notte la bambina chiamò la madre: « Mamma è venuto Fr. Pasquale e mi ha guarita ». E fu proprio così, perché da allora in poi non soffrì più alcun male agli occhi. Questo è uno dei tanti favori celesti che il santo religioso ha elargito a coloro che lo han­no invocato. Chiudendo questi miei brevi cenni sulla di lui vita, non posso che augurarmi una cosa, e cioè che rinverdisca nei fedeli la fede in questo servo di Dio e ne ottengano tante e tali grazie da indurre la Chiesa a decretargli gli onori dell’Altare.

P. TOBIA DA CESENATICO o.f.m. cap.

Bologna, 19 Marzo 1967

 

 

 

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