Esplorando il Passato: Ricerca collettiva sulla storia di Vergato

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2012/10/26, Vergato – Frutto di una ricerca del 1989 degli studenti del Fantini di Vergato, a più di vent’anni dalla pubblicazione, se ne percepisce l’importanza. Testimoni ormai scomparsi, interessi diversi, nuovi abitanti a Vergato, sono gli elementi che conferiscono a questo lavoro il vero significato di Banca della Memoria. Lo troverete in biblioteca o nelle case di qualche famiglia vergatese… da leggere e forse… da ristampare! Intanto vi anticipiamo la presentazione e l’introduzione.

PRESENTAZIONE

Un gruppo di allievi dell’Istituto Tecnico Commerciale di Vergato (stavolta quelli della II” B 1988-89), torna ad offrire alla nostra considerazione il frutto di una ricerca collettiva sulla storia di Vergato e di diversi altri comuni dell’Alto Reno. Gli allievi di oggi non sono gli stessi (allora quelli della I” B 1984-85) che lavorarono alla ricerca cristallizzata nel volume precedente, Ricordi di bianco e nero.  Immagini e testimonianze del nostro passato.

Questo ritorno sottolinea un’insistenza lodevole di alcuni insegnanti che praticano l’insegnamento della storia e il metodo per l’approccio critico alla conoscenza, attraverso un esercizio ed una sperimentazione che è altamente educativa.

A questi insegnanti deve andare il primo riconoscimento da tutti coloro che hanno a cuore l’ammodernamento del ruolo della scuola e dagli stessi allievi che da questo faticoso metodo hanno appreso «un’arte» che può essere utilissima per il loro futuro. I giovani autori di questa ricerca hanno appreso, nella pratica, che un giudizio storico, la formazione di una personale opinione, la scelta di un qualsiasi progetto, debbono essere innanzitutto preceduti da un reperimento di tanti documenti (tendenzialmente, di tutti i documenti) e di vario genere, sui fatti, sulle cose, sugli argomenti (atti d’archivio, giornali, pubblicazioni, disegni, fotografie, filmati, dichiarazioni orali, memorie scritte, ecc.); che, poi, questi documenti vanno attentamente studiati, valutati e confrontati fra di loro; che, infine, dal tutto, deve scaturire il miglior giudizio, la valutazione personale più chiara; giudizi e valutazioni che, naturalmente, dovranno poi confrontarsi con quelle di altri (predecessori, coetanei, ecc.) nel costruttivo processo di idee e di opere che è la vita.

Se noi, come i nonni di tanti allievi, avessimo affermato che l’inoculazione di un pensiero bellicoso o tollerante della guerra, ci fu propinato attraverso i libri di testo degli anni Trenta (unici ed obbligatorì), editi dalla Libreria dello Stato per conto del fascismo; dai «santini» distribuiti durante la messa; dalle immagini di copertina dei quadernetti di «lingua o di aritmetica» e finanche dalle pagelle con l’annuale «sentenza finale», avremmo potuto essere ritenuti raccontatori di favole o partigiani anti… .

L’averlo ricavato dagli oggetti materiali e dai documenti rintracciati nelle proprie case o nelle biblioteche, o negli archivi scolastici o famigliari, direttamente, è una lezione certa e indimenticabile come nessuna altra e proferita da qualsiasi cattedra. I giovani autori hanno sentito testimonianze da chi «ha vissuto la seconda guerra mondiale» e da patrioti che «hanno fattola Resistenza», senza mediazione di nessun altro, ed hanno udito particolari inflessioni di voce e visto un gesticolatore che non sono cosa secondaria del racconto parlato. È questo un apprendimento «polivalente» di grande importanza di per se stesso. Da queste memorie, inoltre, hanno tratto — come si legge — tanti elementi che, fors’anche nulla aggiungono al quadro storico dei tempi feroci del nazifascismo e del conflitto intercontinentale degli anni fra il 1939 e il 1945, ma che offrono elementi di una vita «da cani» per gli uomini, una semplicità contadina difficile ma dignitosa, una quotidianità di lavoro e di sofferenze, un disumano infierire dei tedeschi, una forte determinazione dei partigiani nelle loro scelte di gente comune, disarmata, pacifica, ma stanca di sopportare l’occupazione e le angherie e vogliosa di libertà, democrazia e giustizia.

Hanno appreso notizie e interpretazioni umane delle cose che difficilmente sono raccontate dalle storie che necessariamente parlano di eventi a più ampie dimensioni e dalle quali — ben lo sanno gli allievi autori e ognuno di noi — non si può assolutamente prescindere per una conoscenza completa degli avvenimenti. Infine, se avessimo raccontato noi nonni, che Vergato a causa della guerra era pressoché cancellato a seguito dei bombardamenti d’ogni tipo che si erano abbattuti sulle case e sulle chiese, sul plurisecolare Palazzo dei Capitani della Montagna, sui cimiteri e sulle officine, potrebbe essere stato interpretato come l’esagerazione di un sogno scaturito dalle paure del tempo di guerra. Invece le foto raccolte qui, anche se limitate ai fotogrammi complessivi di due e tre rullini, convincono ognuno della enorme follia della guerra a cui ci aveva portato il fascismo e ammaestrano ad agire per il mantenimento della pace più di ogni altra lettura o testimonianza.

A questi giovani autori deve perciò andare una lode ampia e convinta, per avere compiuto quest’opera di reperimento e di assemblaggio di tanti elementi di conoscenza sui quali riflettere per comprendere il passato e agire nel presente. Nella certezza che gli studenti della 2°B si avvarranno dell’esperienza compiuta, non resta, infine, che augurarci che altri allievi dell’Istituto Tecnico Commerciale seguano gli esempi dei quali abbiamo parlato.

Luigi Arbizzani

PREFAZIONE

Le «tracce» seguite dagli allievi della 2°B, attraverso frammenti che integrandosi formano un tessuto unitario, danno vita ad una pagina di storia scientificamente costruita. La ricerca, finalizzata al recupero della memoria storica, procede con rigore, con testimonianze dirette, documenti, foto e materiale ricco e vario. Dalla raccolta si evidenziano due momenti storici diversi: prima e dopo l’8 settembre.

Il mondo del primo tempo appare ingenuo, sereno, fatto di sentimenti, di fede popolare. I quaderni di scuola, le pagelle, le foto di gruppo, la lettera del soldato, al di là del significato politico, parlano di famiglia, di paese, hanno il sapore della casa; la guerra è percepita in lontananza. Poi lo «sconvolgimento» e la tragedia: i lunghi mesi di freddo, di fame, di terrore, di morte. «La sera sembrava non calare mai e la montagna bruciava come graticola ad ogni incendio» dice un narratore. «Trappole pericolose erano le case».

Questi ragazzi hanno scritto una qualificante pagina per i loro coetanei e per la collettività spesso portata a dimenticare, a rimuovere il passato. II  recupero storico trascende i limiti di questa comunità per spazi culturali più vasti. Il lavoro degli allievi, coordinato dalla loro insegnante, valorizza la visione positiva e ottimistica dell’uomo. Il senso di solidarietà, che indicò agli uomini della linea gotica l’orientamento tra ciò che è vero e ciò che è falso, ne potenziò l’umanità e la profonda civiltà. Questi stessi valori, vissuti attraverso il processo educativo, possono essere antidoto a fare da contrappeso all’individualismo, alla demotivazione, al malessere e alla solitudine giovanile.

La Preside Maria Tedesca

Questo lavoro, frutto di un’indagine sul territorio con raccolta di documenti e testimonianze sugli anni della seconda guerra mondiale, ha impegnato per circa cinque mesi una classe di 24 alunni: la 2″ B, con l’apporto e la collaborazione di tantissime persone anche esterne alla scuola. La ricerca si compone di una parte scritta e di circa 30 «cassette» che riportano le registrazioni delle interviste, oltre che di una serie di reperti che non hanno potuto trovare spazio nelle pagine del libro. Il lavoro è stato concepito e condotto con finalità puramente didattiche; solo alla conclusione è maturata l’idea del libro, per evitare la dispersione di documenti e testimonianze significative e importanti per la comprensione del nostro passato e della realtà del nostro territorio.

La ricerca ha richiesto una lunga fase preparatoria, per mettere a punto l’argomento nelle sue dimensioni storiche, per elaborare dei questionari che permettessero di raccogliere indicazioni e notizie significative e per avere a disposizione tutto il materiale necessario. Gli studenti hanno lavorato prevalentemente in gruppo, cosa che è servita loro moltissimo per conoscersi; ma non sono mancati i momenti di lavoro individuale, soprattutto nella fase di trascrizione delle interviste. Inoltre, due volte la settimana, erano programmati dei momenti in cui tutta la classe metteva in comune le proprie esperienze, discutendo questioni generali e problemi organizzativi di vario genere.

Il mio impegno di insegnante è stato quello di coordinare il lavoro degli studenti e le varie fasi della ricerca, offrendo i riferimenti e i supporti critici per la catalogazione e l’analisi del materiale e delle indicazioni raccolte. Vorrei anche precisare che, trattandosi di un’esperienza didattica ricca e complessa, volutamente è stato privilegiato il canale dell’approccio umano piuttosto che quello del rigore scientifico. Ci ha molto commosso l’entusiasmo che ha accompagnato il nostro lavoro, sia dentro che fuori la scuola; le persone intervistate hanno accolto gli studenti con calore e simpatia, dimostrando grande disponibilità nei loro confronti. Durante la trascrizione delle interviste abbiamo riportato le parole con la maggiore fedeltà possibile, eliminando solo le ripetizioni e mantenendo gli anacoluti tipici del parlato popolare, che del resto risultano assai espressivi.

Abbiamo cercato di riportare anche le espressioni e le frasi dialettali, certi che questo costituiva parte integrante del mondo che stavamo scoprendo; ma purtroppo la nostra scarsa dimestichezza col dialetto non ci ha permesso di riprodurlo in tutto il suo colore, limitandoci ad una trascrizione puramente fonetica e non sempre esatta. Abbiamo anche il rammarico che lo scritto possa rendere solo in parte l’atmosfera delle interviste, il ricordo commosso di alcuni, il dolore di altri, le pause e i silenzi così significativi. Il bilancio didattico della ricerca credo che possa senz’altro considerarsi positivo: gli studenti hanno lavorato con entusiasmo e questo non è frequente nella scuola; inoltre la ricerca ha permesso loro di capire quanto sia difficile «scrivere la storia» ed interpretarla, pur avendo a disposizione un materiale ricchissimo, fatto non solo di testi, ma anche di fonti orali e di documenti.

Ma soprattutto credo che i ragazzi abbiano colto il senso vero dell’umanità tradita ed abbiano capito quanto sia importante la libertà e quanto sia difficile costruirla, sia come valore individuale che come patrimonio collettivo. Vorrei sottolineare che, fin dall’inizio, il lavoro è stato concepito come «lezione di pace», quale risposta ad un’esigenza formativa alla quale la scuola viene costantemente richiamata, nella consapevolezza che è sempre incombente il mostro terribile della guerra, capace di distruggere materialmente e moralmente, risvegliando nell’uomo l’istinto bestiale della sopraffazione.

Per questo è apparso importante che i ragazzi potessero conoscere da vicino le innumerevoli disperate sofferenze delle generazioni che li hanno preceduti, non solo di chi ha combattuto con le armi, ma anche dei molti ha hanno vissuto passivamente i riflessi del conflitto, acquisendo la consapevolezza che «la guerra è di tutti». Pur nella certezza di aver appena toccato quel terribile dramma individuale e collettivo che è stato il secondo conflitto mondiale, anche nella esperienza dei nostri paesi, ritengo che questa sia una memoria storica importante da recuperare e che sia fondamentale per le giovani generazioni, per vincere tante incertezze e debolezze di oggi e per superare la fragilità che si nasconde dietro l’apparente sicurezza giovanile.

Più volte, durante il lavoro, abbiamo avuto presenti le parole con cui Roberto Battaglia apre il racconto di quella che definisce «la pagina più tragica delle Resistenza». Ricordando «l’itinerario seguito dal battaglione maledetto al comando del criminale di guerra Reder», annota: «è bene che la responsabilità della strage non sia attribuita indiscriminatamente a «tutti i tedeschi», ma che sia individuato anche nell’esercito dell’invasore quel reparto o quell’uomo che più d’ogni altro macchiò l’onore della propria nazione e avvilì la dignità umana; è una distinzione che contribuisce a farci sperare nella reciproca comprensione, nella pacifica convivenza dei popoli, deposti gli odi e le vendette della guerra». Sono parole straordinarie, segno di un equilibrio umano difficile da raggiungere e tanto più significative perché scritte da un uomo che visse in prima persona gli orrori della guerra e delle rappresaglie. Sull’esempio di quelle parole io spero di aver insegnato ai miei studenti ad odiare la guerra senza odiare gli uomini.

L’insegnante coordinatrice

Mila Benini

RINGRAZIAMENTI

La realizzazione di questo lavoro è stata possibile grazie alla collaborazione di molte persone interne ed esterne alla scuola; a tutte esprimiamo gratitudi­ne e riconoscenza. In particolare vogliamo ringraziare:
—  Tutte le persone che, con disponibilità e gentilezza, hanno accettato di rispondere alle nostre domande,  anche se spesso significava rievocare ricordi dolorosissimi.
—  Tutti coloro che hanno avuto fiducia in noi e ci hanno messo a disposizione foto e documenti,  anche quando costituivano dei ricordi preziosi: Luciano Lenzi di Vergato, Pier Luigi Calistri, Annunziata Vivarelli e Valentino Gualandi di Porretta, Fabio Cavicchi e Francesco Bai di Silla, Elena Sabatini di Gaggio Montano, Bruno Vannini di Pioppe di Salvaro.
—  Gino Sarti che è venuto a scuola a portarci la sua personale significativa testimonianza.
—  La sezione ANPI di Vergato ed in modo particolare Gino Costantini e Bruno Marchi che hanno seguito con passione e sostenuto ogni fase del nostro lavoro.
—  Rino Nanni, già sindaco di Vergato, che ci ha fornito un’inedita documentazione fotografica.
—  Pasquale Colombi, vicesindaco di Vergato, che ha sostenuto la nostra ricerca come amministratore e come privato cittadino; sua è, fra l’altro, la riproduzione dei negativi di tutte le foto.
—  Don Bruno Tartarini della parrocchia di Calvenzano e Don Ilario Migliorini della Parrocchia di Prada che ci hanno fornito importante materiale documentario.
—  Giancarlo Bendini che ci ha fornito materiale fotografico e bibliografico di prima mano.
—  Il dott. Umberto Pampolini, direttore didattico di Vergato, e Maria Veggetti, segretaria della Direzione, che ci hanno messo a disposizione la loro dotazione libraria di storia locale.
—  Il personale della Biblioteca e dell’Uff. Scuola del Comune di Vergato che ci ha aiutato nella ricerca, condividendo i nostri entusiasmi.
—  Gli insegnanti che hanno seguito il nostro lavoro con indicazioni e suggerimenti; in particolare i proff. Angela Delucca, Paola Orsingher, Maria Adelaide Bianchini e Pier Giorgio Tortora che hanno collaborato attivamente.
—  I nostri compagni della Va B che ci hanno aiutato nella raccolta delle testimonianze.
—  I genitori che hanno approvato il nostro lavoro e talvolta lo hanno seguito in prima persona.
— La Preside ed il Consiglio di Istituto che hanno sostenuto la nostra ricerca.
—  Il Comune di Vergato, l’Amministrazione Provinciale, la Cassa Rurale e Artigiana, la Comunità Montana, l’ANPI Provinciale, la Cassa di Risparmio che con il loro contributo hanno reso possibile la stampa del libro.
—  Un ringraziamento particolare ad Augusto Betti della tipografia artgraf che con grande disponibilità ha risposto alle esigenze ed agli imprevisti di un lavoro didattico, nonché a Marisa e Roberto, nostri preziosi intermediari nella fase di stampa.

Vergato, 31 Marzo 1989.

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