Rita Ciampichetti – Quando il brodo faceva profumo

2023/01/14, Vergato – Un nuovo racconto breve di Rita:

Quando il brodo faceva profumo

“E’ Domenica…”, così pensavo soddisfatta quando da bambina mi ero appena svegliata, ma invece di saltare giù dal letto restavo sotto le coperte in quella specie di limbo dove i sogni si rincorrono ancora e svaniscono.

Era indubbiamente domenica per alcuni dati di fatto.

Il primo, il mio corpo emanava ancora quel buon profumo di borotalco abbondantemente cosparso la sera prima dopo il bagno del sabato fatto dentro alla bacinella del bucato in cucina, il secondo sentivo diffondersi nell’aria il profumo del brodo “messo su” dalla mamma.

Solitamente alla domenica, salvo qualche rara volta nel periodo estivo più caldo, il menù prevedeva il brodo, di carne, classico: un po’ di manzo, solitamene doppione o fallata, qualche osso con ancora un po’ di cartilagine attorno, nelle occasioni più importanti anche mezza gallina o cappone e poi gli odori: sedano, carota, cipolla e un pomodoro maturo se era stagione.

Aspettavo nel letto e ascoltavo attentamente i rumori provenienti dalla cucina e cercavo di indovinare il momento cruciale quando la mamma finiva di schiumarlo, metteva il coperchio e lo spostava sul fornello più piccolo della cucina a gas  per farlo sobbollire piano piano.

Ecco, quello era il momento esatto per saltare giù dal letto ed andare a fare la mia colazione della domenica.

Mia sorella per colazione mangiava la sua solita tazzona di caffè e latte con dentro inzuppato il quantitativo di pane necessario a fare restare in piedi nella poltiglia il cucchiaio.

Io, al posto delle a mala pena tollerate due dita di caffè e latte nel bicchiere, quella mattina scoperchiavo la pentola del brodo e mi riempivo la tazza con quell’ancora acqua dove iniziavano a diffondersi i profumi della carne e delle verdure e in cui si intravedeva brillare qualche rara stellina di grasso, ci spezzavo dentro un po’ di pane, irroravo tutto con parmigiano grattugiato e gustavo quella delizia.

Mi mamma mi guardava e diceva: “Come fa a piacerti così tanto, il brodo non è ancora fatto, praticamente è acqua calda!”

Dal momento che “de gustibus non est disputandum” non le rispondevo, quella colazione era il preludio alla minestra del mezzogiorno, quando, tornata a casa dalla Messa avrei trovato nella scodella o le tagliatelline di sfoglia o magari i passatelli. A quei tempi i tortellini si gustavano solo a Natale e per la Domenica in Albis.

La mamma  non era una eccelsa cuoca a 360 gradi, non amava cimentarsi nella creazione di piatti nuovi o a sperimentare ricette, ma aveva raggiunto il livello di perfezione assoluta nei cibi che di solito preparava, qualità ahimè che nonostante anni di applicazione, per alcune preparazioni non sono riuscita ancora a raggiungere.

Sapeva trattare la selvaggina che babbo portava a casa e le cacciatore che preparava erano squisite, era maestra nel fare arrosti cotti e rosolati a puntino pur mantenendo la morbidezza interna, un ragù superlativo per le paste asciutte che solitamente io e mio sorella riducevamo della metà mangiandolo sulle fette di pane e intingoli strepitosi utilizzando anche solo le frattaglie.

Purtroppo cadeva verticalmente sui lievitati e sui dolci, esclusa la zuppa inglese che le riusciva molto bene anche se abbondava in modo esagerato nell’utilizzo del liquore per la bagna dei savoiardi, perciò era un dolce vietato ai minori di quattordici anni e da piccole dovevamo accontentarci del budino, fatto però con le buste preparate dell’Elah.

Per tornare sull’argomento il suo brodo era veramente buono, non le piaceva grasso, quindi solitamente lo sgrassava e lo filtrava più volte fino a quando non diventava limpido mantenendo però tutto il sapore della carne e delle verdure, conservava la trasparenza anche dopo la cottura della minestra ed era un vero piacere gustare i lunghi e sodi passatelli, altra sua eccellenza.

Adoravo poi vederla quando tirava la sfoglia con il mattarello, non la faceva molto grande, di solito quattro uova, ma il momento cruciale era quando la ripiegava su stessa, prendeva un coltello affilato e velocemente iniziava a tagliare tagliatelline sottilissime rasentando le dita che tenevano stretto il rotolo di sfoglia, poi svolgeva i rotolini ed ecco che lunghi capelli biondi venivano stessi ad asciugare sul tagliere in attesa di essere tuffati a mezzogiorno nel brodo bollente.

La colazione con il brodo dopo sposata non l’ho più fatta. Mia suocera Rosita cercava di accontentare la parte maschile della famiglia che amava più “d’asciutto che da brodo”, quindi alla domenica si preparavano lasagne, tagliatelle, tortelloni, gnocchi. Quelle volte che si metteva su la pentola mio suocero Gino non mancava di ribadire: “A m’ arcmand Rosa, brîsa tôr via al grâs. Al bród l’ha da èser con däl gran strèl!”.

Quindi, quando faceva il brodo la Rosita era particolarmente generosa e abbondante. Nella pentola metteva ogni tipo di carne, doveva esserci la lingua, la coda, la punta di petto, il doppione e non mancare mai la gallina o il cappone, ancora meglio se la gallina nostrana aveva dentro ancora le uova.

Queste ultime assieme al boccone del prete e alla cipolla dell’odore era il piatto preferito della nonnina, Emma Veggetti detta Maria, classe 1889 che, nonostante una dieta particolarmente ricca di gassi insaturi era magra come un bacchetto ed è serenamente spirata nel suo letto all’età di 97 anni.

Era la memoria storica della famiglia e mentre la pentola del brodo sobbolliva sul fuoco raccontava.

“Una volta il brodo buono si faceva solo per Natale e per la Festa oppure quando in casa nasceva un bambino. Si ammazzava la gallina più vecchia o erano i vicini che portavano in dono alla partoriente la carne o la gallina,  si faceva il brodo però  solo la mamma doveva berlo per fare tanto latte. A volte capitava anche che la donnola entrava nel pollaio e ammazzasse i polli lasciandoli lì, anche in quel caso si faceva il brodo, se morivano di malattia no, si seppellivano e basta.

Per il resto dei giorni ci si accontentava del “brôd màt”, il brodo matto si faceva pestando un po’ di lardo o di pancetta, si soffriggeva con la cipolla, la carota e il sedano, si aggiungeva la conserva, l’acqua un po’ di sale e si bolliva. In questo brodo si cuocevano poi i rimasugli della sfoglia. Mica come oggi che si fanno sempre i tortellini!”

A volte invece di cuocere i tortellini o le tagliatelline la Rosita faceva la minestra nel sacco.

La minestra nel sacco era un impasto di semolino, grana, uova, profumato con la noce moscata che veniva avvolto in un tovagliolo di lino e messo a bollire assieme al brodo. Al momento del pasto il sacco veniva tirato fuori dalla pentola, aperto e l’impasto rassodato tagliato a cubetti e messo nelle scodelle assieme al brodo fumante.

Un’altra richiesta di Gino per il secondo era: “A m’ arcmand Rosa, dåppl al brôd l’alàss con la sèlsa vairda!”

Per tale motivo l’assortimento di bolliti era così generoso, però dal momento che in casa non si buttava via nulla per il resto della settimana “l’alass” sarebbe stato riciclato e riproposto a tavola più volte travestito da polpette, nascosto nel  friggione che intanto come affermava la Rosita “Al frizàn le bòn con tot”.

Come avrete capito ho sempre apprezzato più il brodo che la pasta asciutta.

Quando avevo otto anni odiavo la pasta e ricordo che in una vacanza al mare riuscii a mangiare minestrina in brodo sia a mezzogiorno che alla sera per tutto il mese, circa una sessantina e a non stancarmi.

Ormai anche la scienza, come d’altra parte hanno sempre saputo le nostre nonne, ha confermato i pregi di questa bevanda saziante e nutriente, corroborante per combattere i malanni di stagione e consigliata in caso di influenza e stanchezza dove è opportuno cibarsi di alimenti poco calorici e liquidi per idratarsi.

A cena, quando ho voglia di una coccola,  gradisco molto una scodella di minestrina in brodo, di solito i grattini è la mia preferita, con un bel cucchiaio di parmigiano ed una grattatina di noce moscata, è il classico piatto di conforto in grado di  scaldarmi lo stomaco e l’anima.

Oggi ho messo su la pentola per il brodo di domani, una sola cosa mi manca, il profumo di allora, ora quando bolle non sprigiona più la stessa fragranza. Sarà la carne, saranno le verdure coltivate in serra? Non lo so, forse il naso dell’infanzia ha un’altra percezione dei profumi, forse erano in grado di produrli solo le persone a noi più care e che ci hanno lasciato, oggi non possiamo fare altro che ricordarli con nostalgia.

Rita Ciampichetti 2023

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