Graziano Pederzani e la sua strabiliante avventura

Graziano Pederzani a 15 anni

2012/08/06 Vergato – Graziano Pederzani, dopo averci concesso due incursioni fotografiche a Vergato Arte 2012 e a Vergato Moda 2012, ci ha fatto conoscere la sua collezione di ricetrasmittenti militari, (ricordiamo tra i visitatori Francesco Guccini), sceglie Vergato News 24  per fare conoscere la sua strabiliante avventura che alcuni continuano a chiamarla “vita”.  (ARTICOLO IN ALLESTIMENTO)

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5- Graziano Pederzani: Concetto di Universo
6-Graziano Pederzani e la Radioastronomia

PROFILO  DI  GRAZIANO  PEDERZANI 

Personaggio curioso, estroso, eclettico e se vogliamo in senso lato ”leonardesco”…Graziano Pederzani, fin dall’infanzia, ha amato indagare e sperimentare svariati campi della scienza moderna, passando agevolmente dalle onde herziane alla costruzione di apparati radio atti a ricevere i deboli segnali dei primi satelliti artificiali russi: Sputnik 1 e Sputnik 2 (con la cagnetta Laika), messi in orbita nell’autunno del 1957, e poi di quelli americani che seguirono. Si era aperta, infatti, l’era spaziale delle due superpotenze che rivaleggiavano con lanci di vettori sempre più potenti. Sulla suggestione di questi anche Pederzani inizia la sua esperienza in campo missilistico con la costruzione di piccoli  razzi “a propellente solido”. Lanciati con successo i primi prototipi “ad un solo stadio”, dopo innumerevoli tentativi, riusciva nel lancio di un razzo “a tre stadi”, con cavia a bordo, raggiungendo la non trascurabile quota di circa 10.000 metri. Dopo avere progettato anche un motore-razzo a propellente liquido, tale esperienza si esauriva..

Nascevano le prime televisioni private, quando gli venne richiesto, data la sua competenza in proposito, di condurre un programma sulla RADIOASTRONOMIA, essendo già operativo, a Medicina (BO), il primo radiotelescopio italiano: LA CROCE DEL NORD. In quel contesto ebbe occasione di conoscere personalmente diversi esponenti della fisica astronomica italiana, fra cui il prof Gianfranco Sinigaglia docente presso l’istituto universitario Augusto Righi di Bologna e il dott Goliardo Tomassetti ricercatore del CNR di Bologna. Entrambi avevano collaborato (assieme ai professori Braccesi e Ceccarelli) alla realizzazione del sopraccitato Radiotelescopio. Con essi, in particolare, nacque un continuativo rapporto di simpatia, relazione e condivisione circa le tematiche legate agli sviluppi di questa nuova scienza, un ulteriore modo di scrutare l’universo attraverso le onde radio emesse dai corpi celesti anziché attraverso i tradizionali telescopi ottici. Col prof Sinigaglia la collaborazione proseguì negli anni, concretizzandosi in diverse conferenze, una delle quali tenuta a Vergato, venerdì 2 settembre 1988, presso il centro culturale Elia Comini, col titolo “Genesi ed evoluzione dell’universo”, come recita Il Resto del Carlino di quel giorno. Parallelamente Graziano Pederzani procedeva alla costruzione di un RADIOTELESCOPIO AMATORIALE, operante sulla frequenza dei 408 MHZ, con l’ausilio di un paraboloide del diametro di 5 metri, riuscendo a captare alcune delle più forti radio-sorgenti del nostro emisfero ( Cassiopea A, Cigno A, Toro A, Sagittario A). Il tutto reso possibile dai preziosi suggerimenti tecnici e dalla progettazione di un” filtro di banda “del dottor Tomassetti. La prematura morte del prof.  Sinigaglia,  tuttavia,  poneva fine alla sua voglia di continuare questa straordinaria esperienza.

Tornava alla sua antica passione, quella della RADIO, con la ricezione dei segnali dei primi satelliti meteorologici ( NIMBUS, ESSA, METEOSAT 1°e METEOSAT 2°), riuscendo a decodificarli con speciali circuiti e, quindi, a registrarli su carta elettrosensibile con una stampante rotativa di sua ideazione, ottenendo delle splendide immagini del nostro emisfero. Nel contempo ampliava la già rilevante collezione di apparati ricetrasmittenti utilizzati nel secondo conflitto mondiale, come registrato sul libro “NEL MONDO DELLE COSE”- Collezioni private di interesse tecnico-scientifico – a cura di ANTONIO CAMPIGOTTO e MASSIMO TOZZI FONTANA – Edito dall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della regione Emilia Romagna – Anno 1997.

Fra i suoi hobbyes annovera la passione per il volo che ha potuto praticare con il conseguimento, nel 1999, del relativo brevetto. L’interesse per la fotografia, inoltre, lo ha accompagnato per tutto il corso della sua vita con ottimi risultati sia nella paesaggistica che nella ritrattistica (che predilige). Egli ama definirsi FOTOGRAFO D’AUTORE. Ha effettuato molte mostre in giro per l’Italia e illustrati con le suo foto svariati libri, fra cui si ricordano: ”MONTOVOLO, MONTAGNA SACRA” di Renzo Zagnoni (2003), “CHIESA DI S. MARIA ASSUNTA – Riola” di Ottorino Gentilini (2012), “OBIETTIVO ONTANI” di Graziano e Graziella Pederzani (2007), LUIGI ONTANI di autori vari, edito dal MAMbo. Come risulta evidente gli ultimi due testi sono dedicati alla figura e alle opere di un artista che ci onora a livello internazionale, con cui Graziano Pederzani ha mantenuto fin dall’infanzia un rapporto speciale.

Quanto scritto, però, rappresenta solo un’estrema sintesi dei risultati della sua multiforme creatività mai sazia, sempre tesa verso più nuove e stimolanti esperienze.

Graziano Pederzani e la Radioastronomia

Il seguente scritto vuole essere anche un tributo alla memoria

dell’ing. prof. Gianfranco Sinigaglia

Radiotelescopio di Medicina, La Croce del Nord, braccio est/ovest.
Foto di G. Pederzani

1 Cosa c’era di tanto interessante da portare Graziano Pederzani, all’inizio degli anni sessanta e allora appena diciottenne, a girovagare frequentemente e furtivamente in quella landa desolata che divideva l’Emilia dalla Romagna ? Stava nascendo tra le coltivazioni di barbabietole una struttura metallica dai contorni indecifrabili, ai suoi occhi misteriosa, che lasciava supporre disegni ambiziosi. Più cresceva e più lo stuzzicava, aumentando in lui il desiderio di osservarla da vicino. Interrogando un agricoltore locale, si era sentito rispondere in dialetto romagnolo “che stavano cercando gli UFO”. Ovviamente quella spiegazione non lo convinceva perché non era certo quel provincialotto che sembrava, qualche competenza in fisica ed elettronica la possedeva ed era piuttosto scettico in materia di Ufo. Si rese conto che doveva spingersi ad accertare personalmente chi fosse e cosa facesse quel gruppo eterogeneo di persone così indaffarate attorno a quello strano oggetto “in divenire”. Si inoltrò deciso in mezzo al verde e trovò riparo dietro una baracca di lamiera che fungeva da ottimo osservatorio. Ma non era passato inosservato. Improvvisamente vide venire verso di lui un signore dalla folta capigliatura, un ibrido fra il cappellone e lo scienziato, che lo apostrofò con tono un po’ brusco, chiedendogli cosa volesse. Con disarmante imbarazzo egli confessò  che non era un malintenzionato, ma solo un portatore di sana curiosità; l’uomo sorrise e gli svelò finalmente l’arcano: cioè un progetto finalizzato al compimento del prototipo del primo radiotelescopio italiano. Solo dopo si presentarono. Fu quello il primo incontro che Pederzani ebbe con  l’Ing. Sinigaglia che, rivelandosi persona fuori dagli schemi e totalmente priva di pregiudizi, curioso del “dove, quando, come e perché” delle cose quanto delle persone con cui veniva a contatto, anche se non erano dei cattedratici, si trattenne ad  approfondire l’argomento e lo sollecitò a recarsi presso l’istituto di fisica “Augusto Righi” dell’Università di Bologna dove insegnava, qualora ne avesse avuto voglia o necessità.

Foto Croce del Nord 1960

Quella fu l’ultima volta che vide il prototipo dell’Osservatorio radioastronomico di Medicina, nato per iniziativa dell’Università di Bologna e inaugurato nel 1960, che doveva poi servire da base a un nuovo progetto, molto più sofisticato, quello della Croce del Nord (1964) : che per anni costituì un radiotelescopio fra i più sensibili e precisi del mondo. Anche la promessa di un nuovo incontro col prof. Sinigaglia si perse nella miriade di idee che ingombravano la sua mente e a cui cercava di dare applicazione pratica. Infatti erano gli anni esaltanti della conquista dello spazio, decine di satelliti orbitavano sulle nostre teste e il neofita, chiuso in un angusto sgabuzzino che fungeva da laboratorio, passava intere nottate a tentare di captare quegli strani segnali inviati dallo spazio, attraverso ricevitori da lui costruiti oppure provenienti dal Surplus Militare. Leggendo casualmente riviste statunitensi che parlavano della materia, trasse gli elementi essenziali per la costruzione di piccoli razzi “a propellente solido”. I primi tentativi vennero effettuati perciò con esemplari di modeste dimensioni, ma che esplodevano sulla  rampa di lancio o dopo qualche metro. Chiunque si sarebbe scoraggiato ma    questo emulo di Von Braun, no! Dopo lungo travaglio seguito ai clamorosi insuccessi: ricontrollate l’area di ratio e l’area di Klemmung, i materiali per la camera di combustione e il foro dell’ugello di scarico, la micrograna adoperata, diversi altri parametri, apportate le dovute modifiche, fu di nuovo pronto  e … il  razzo  svettò  verso  il cielo  azzurro  ad  una  velocità  di  780  m/s, lasciando  dietro  di  sé  la  caratteristica  scia  e  l’euforia  dei  seguaci.  I lanci continuarono con modelli sempre più evoluti, raggiungendo notevoli altezze, fino alla realizzazione di un tipo molto più potente, a tre stadi, con strumentazioni e cavia a bordo. Il lancio riuscì perfettamente sfiorando la non trascurabile quota di10.000 metri e col recupero dell’ogiva pressurizzata tramite paracadute. Il giubilo si levò altissimo quando Pederzani estrasse il topo, un po’ malconcio, ma vivo… Completò questo ciclo col progetto di un motore-razzo “a combustibile liquido”. Nuovi esperimenti seguirono in quegli anni. Fra questi, di grande soddisfazione furono: le prove di “trasmissione via terra” utilizzando frequenze molto basse. Con un amplificatore da 200 watt a valvole (che fungeva da trasmettitore) riusciva a far giungere la voce ad un ricevitore (formato da un sensibile preamplificatore con cuffia) a circa due chilometri di distanza. Due pali metallici conficcati in terra servivano da antenna. Con il medesimo apparato modificato riuscì a fare una stratografia del terreno, vista attraverso un oscilloscopio a scansione lenta.  Dove corse il maggior pericolo fu quando costruì un trasformatore di Tesla ad altissima tensione, per determinati scopi, e le scariche elettriche lo avvolsero tutto, illuminandolo come una lampadina. Altro grave rischio: nel tentativo di immagazzinare in grossi condensatori “a lastre di vetro” l’energia statica durante un temporale e un fulmine colpì l’asta metallica fondendola, con un lampo accecante ed enorme fragore. In quei frangenti più che un normale sperimentatore appariva come un moderno Frankenstein.

Foto missili e filmato in preparazione

Nel  contempo accrescevano  anche le sue cognizioni di fisica e di elettronica e  per quanto concerneva la Radioastronomia aveva consultato parecchi testi attinenti, reperibili in quel periodo. Fu proprio questo salto di qualità che lo convinse a costruire il suo primo radiotelescopio amatoriale. Trovato un paraboloide (ex ponte radio), lo montava sulla base di un carro gru. Il tutto si muoveva sul proprio asse e in elevazione. Il ricevitore era formato da un gruppo UHF della Philips “a transistor” per TV, opportunamente modificato per avere una NF migliore su una frequenza di 408 MHz ed una catena di media frequenza di 45 MHz, con un guadagno di 60 dB. Seguiva un rivelatore al germanio, unitamente ad un amplificatore-integratore con relativo strumento indicatore del segnale. Tuttavia i risultati furono deludenti: il Sole (la più forte radiosorgente) si riceveva debolmente e Cassiopea A (residuo di supernova) in maniera appena percettibile. Fu preso dallo sconforto poiché vedeva vanificato un anno di lavoro e non riusciva a comprenderne le ragioni. Fu in quel periodo del 1983 che pensò bene di ricorrere alla “sapienza” dell’ing. Sinigaglia, raccogliendone l’invito fattogli a suo tempo. Lo trovò all’Istituto di Fisica “Augusto Righi” dell’Università di Bologna alle prese con alcuni  suoi allievi, che non esitò a congedare non appena “incredibilmente” lo riconobbe e volle conoscere le motivazioni della sua presenza. Dopo lungo discutere, vagliare e soppesare intorno agli aspetti del malfunzionamento del radiotelescopio in oggetto, si giunse alla risoluzione dei problemi: il paraboloide, a  suo giudizio, era molto chiuso e l’illuminatore troppo vicino al bordo, di conseguenza non veniva irraggiato correttamente, con una notevole perdita di guadagno. Si ipotizzò pure fosse fuori frequenza. Pertanto  il giorno seguente, si ritrovarono nei laboratori del centro di Medicina dove esisteva la strumentazione per un’idonea taratura del medesimo e a tale scopo si prestò anche il dottor Goliardo Tomassetti, che incontrò per la prima volta e che gli  offrì la sua consulenza in caso di bisogno. Di lì a poco il tutto era sistemato: l’antenna a polarizzazione circolare risuonava perfettamente sui 408 MHz. Nel frattempo la stazione sperimentale di Medicina aveva fatto passi da gigante. Accanto alla vecchia CROCE DEL NORD, cosiddetta per la caratteristica disposizione a T dei due bracci che la compongono e ne costituiscono il complesso delle antenne, era appena nato un secondo radiotelescopio del tutto diverso. Infatti si ergeva maestosamente verso il cielo un paraboloide del diametro di 32 metri, che doveva dar vita ad un sistema VLBI (interferometro a lunghissima base) assieme al suo gemello di Noto in Sicilia, in via di costruzione, e in collegamento con altri telescopi localizzati nelle varie nazioni europee e negli USA, portando l’Italia ad  essere  di nuovo competitiva  in campo mondiale.

Foto CROCE del NORD e VLBI

Il 1984 volgeva al termine. I giorni erano passati veloci e il suo radiotelescopio funzionava convenientemente grazie ai preziosi consigli e al robusto aiuto dell’ ing. Sinigaglia e del dott. Tomassetti, anche se un rendimento ottimale avrebbe richiesto una parabola più aperta. Con la stessa antenna effettuò alcuni collegamenti via Luna, utilizzando un amplificatore di potenza da 400 watt e ricevendone, dopo due secondi, l’eco di ritorno. Nel medesimo periodo provò anche la ricezione dei satelliti meteorologici APT: Meteosat 1 e Meteosat 2, servendosi di una vecchia parabola del diametro di un metro comprensiva di convertitore, preamplificatore e illuminatore. Il puntamento di questa era molto semplice perché i satelliti erano in orbita geostazionaria ad una distanza dalla Terra di 36.000 KM, a 0 gradi di longitudine e latitudine, con due canali di trasmissione (1961 MHz e 1964,5 MHz) ed una potenza irradiata di 10 Watt. Il risultato fu immediato con l’ottenimento, tanto su stampante termica che su monitor, di bellissime immagini del nostro emisfero in chiaro ed in IR. Ma queste sperimentazioni gli davano ormai solo una relativa soddisfazione poiché il settore risultava inflazionato: le riviste erano zeppe di informazioni e sul mercato si potevano acquistare apparati già funzionanti. Ciò contrastava con la sua mentalità che traeva soddisfazione proprio nel progettare e costruirsi tutto autonomamente … finchè un giorno presso un noto rivenditore di Surplus Militare  di  Bologna  gli  fu  fatta  una  singolare proposta.

Video ricezione satelliti e Meteosat

Fu quel suo carattere garibaldino e poco incline a sottrarsi alle tentazioni che indussero Pederzani  ad accettare con entusiasmo, da un’emittente televisiva locale del nord, l’invito a condurre un programma sulla Radioastronomia senza valutarne appieno le difficoltà e le insidie. Certo non gli mancavano basi teorico-pratiche sufficienti per affrontare le tematiche richieste, ma lo impensierivano: la sua inesperienza come conduttore, il forte accento bolognese, il reperimento delle persone più qualificate nel volgere di brevissimo tempo. Ma non era nel suo DNA rinunciare… Si mise in contatto col dott. Goliardo Tomassetti, ricercatore del CNR nel campo delle microonde nonché collaboratore alla costruzione e manutenzione del Radiotelescopio di Medicina, al fine di valersene quale esperto e profondo conoscitore di tutti gli aspetti caratteristici e funzionali inerenti quel impianto, ottenendone senza indugi la cortese disponibilità. Si era nel pieno inverno dell’anno 1984 quando Pederzani giunse alla Stazione Radioastronomica di Medicina  supportato da un cameraman e, nonostante la giornata fosse particolarmente rigida e un vento gelido sibilasse fra i fili  tesi dell’antenna cilindro parabolica del braccio EST-OVEST, il dottor Tomassetti si mostrò tutt’altro che frettoloso, bensì “cicerone brillante ed esaustivo” sul funzionamento di quei meravigliosi apparati riceventi che sono la Crocedel Nord e il radiotelescopio ”VLBI”, completamente  orientabile, quindi in grado di puntare e inseguire qualsiasi corpo celeste. Con l’ausilio di un giovane collaboratore, il dott. Gianni Comoretto, lo fece assistere in diretta alla ricezione di Cassiopea A ( residuo di supernova esplosa nel 1700)

Video del Radiotelescopio di Medicina con il Dott. Goliardo Tomassetti e Graziano Pederzani

Per quanto riguardava l’Astrofisica e la Cosmologia si rivolse, invece, al prof. Ing. Gianfranco Sinigaglia, docente di Radioastronomia e di Elettronica applicata all’Istituto di Fisica dell’Università di Bologna anch’egli progettista e realizzatore della CROCE DEL NORD, ma pure grande divulgatore e di ampia cultura in tutte le discipline scientifiche, ragioni per le quali, il 21 aprile del 2009, il MINOR PLANET CENTER dello IAU (Unione Astronomica Internazionale) ha intitolato a suo nome l’asteroide 200052 (2008 0013), consacrandolo come uno dei padri della Radioastronomia italiana. Il dado era tratto e alla data convenuta si presentò all’Augusto Righi con addetti alle riprese: ad aspettarlo vi era il prof. Sinigaglia e inaspettatamente due giovani ricercatrici, le dottoresse Luigina Feretti e Loretta Gregorini, intervenute su sollecitazione del Tomassetti, che oggi sono rispettivamente l’una, direttore dell’Istituto del Dipartimento Radioastronomia (INAF) e l’altra, direttore del Dipartimento Astronomia, entrambe all’Università di Bologna. L’ avvio fu piuttosto ingessato, da notare che non era stata preparata neppure una scaletta, ma il mitico ”Sini” era lontano dalla figura dell’accademico tradizionale e aveva il dono di stemperare con una battuta le situazioni di stallo e la rara capacità di rendere accessibili anche le teorie più ostiche e complesse: interloquì spesso col conduttore sui vari argomenti, improvvisando divertenti ping pong, come ad esempio quello irresistibile “sul peso delle pulsar”.

Ecco il video del 1984 con il dott. ing. Gianfranco Sinigaglia, la dott.ssa Luigina Feretti e la dott.ssa Loretta Gregorini.

Le riprese video di anzidetti eventi vennero trasmesse a scopo didattico da diverse emittenti televisive private dell’hinterland milanese con notevole successo, anche se Pederzani  non ebbe modo di vederle subito poiché la sua zona non era ancora servita da ripetitori idonei. Solo dopo qualche tempo ed in maniera del tutto casuale, si ritrovò sullo schermo televisivo di una stazione di ristoro dell’autostrada, ricavandone un’impressione negativa circa il suo ruolo di conduttore. Recuperati per vie traverse i nastri, peraltro molto rovinati, si mise in contatto col Sini che lo invitò nella sua residenza bolognese, dove puntualmente arrivò una sera. L’accoglienza fu molto cordiale, anche da parte della moglie che ancora non conosceva. Visionarono insieme i video, al termine dei quali Pederzani ribadì le sue perplessità in relazione al proprio operato, ma il professore lo riprese, obiettando che era invece la genuinità del suo modo di essere e presentare che rendeva meno paludata, più agevole e accattivante una trasmissione di quel tipo, rivolta principalmente a ragazzi delle scuole. Da quel giorno i loro rapporti si consolidarono. Si vedevano infatti con una certa regolarità  al termine delle lezioni, nel suo studio, a discutere di radioastronomia e di cosmologia, non disdegnando la fantascienza di cui Sinigaglia si dilettava, facendo periodicamente pubblicare racconti brevi su riviste di tecnica. Per ricordarne uno: “Quella assurda astronave”.

Poesia: Halley 75 anni dopo di Pederzani Graziano

Per una sorta di affinità elettive anche Pederzani in quel periodo andava scrivendo poesie. Per ricordarne una: “Halley 75 anni dopo”. Ciò stimolava la sua mente, già iperattiva, tanto da indurlo ad avventurarsi su campi molto impegnativi come, ad esempio, quello delle “pulsar”: queste stelle ai neutroni (scoperte dall’osservatorio di Cambrigde nel 1967) risultato del collasso di supernove, che emettono ad ogni rotazione sul proprio asse un impulso di onde radio tale da far ipotizzare, inizialmente, fossero segnali inviati da esseri intelligenti. Ebbene in quel periodo andava elucubrando l’intendimento di riceverle col proprio telescopio e ne chiese il parere al prof. Sinigaglia, il quale affermò che la parabola era di diametro insufficiente e quindi non in grado farlo, considerando che la pulsar più forte catturabile alla nostra latitudine era la PSR (VELA) con un flusso di picco di 235 ed una declinazione di -45. Inoltre aggiunse, con aria sorniona, che  per raggiungere lo scopo avrebbe dovuto fare un allineamento di almeno 16 antenne Yagi, per avere un area efficace di 100 metriquadrati, ma il problema più grosso era determinato dal fatto che quella pulsar appariva molto bassa sull’orizzonte e di conseguenza era “irricevibile” per il rumore generato dal suolo e dai centri abitati. Con queste obiezioni il Sini cercò di farlo desistere. Pederzani, a sua volta, gli contrappose una sua soluzione che consisteva: nel portarsi in altura vicino al mare per minimizzare i disturbi ed avere la pulsar più alta sull’orizzonte di almeno 15°. Quella idea fece riflettere il professore e incuriosì anche il dott. Tomassetti che si trovava  nei pressi. Sinigaglia per chiudere l’argomento, consapevole che il suo discepolo non vi avrebbe rinunciato, sentenziò fra il serio e il faceto, che qualora fosse riuscito nell’impresa lo avrebbe proposto per la LAUREA “HONORIS CAUSA” IN  RADIOASTRONOMIA. Si mise subito al lavoro e dopo pochi mesi l’opera si palesò: consisteva in un sistema di 16 antenne Yagi in allineamento, operanti sulla  frequenza  di  408  MHz, accoppiate  con 15 anelli  ibridi  e  completi di connettori N. Il ricevitore era lo stesso del radiotelescopio a parabola, con l’aggiunta di un preamplificatore a bassa figura di rumore e di un registratore grafico molto veloce. Si portò nella zona prescelta, ad un’altezza di 700 metri, con le antenne puntate verso il mare laddove avrebbe dovuto transitare la PSR (VELA). Il risultato gli sembrava scontato, ma ebbe l’amara sorpresa di vedere il pennino impazzire per la presenza di forti disturbi. Il dilemma era scoprire da dove provenissero.

Smontò il tutto e discese la montagna in senso opposto e alla base di essa individuò alcuni capannoni (zeppi di vecchi telai azionati da grossi motori a spazzola) mimetizzati fra il verde, che erano appunto la fonte di quelle interferenze. Si ripromise quanto prima di ripetere il tentativo in una nuova zona assolutamente non inquinata, ma per motivi  indipendenti dalla propria volontà dovette per un certo periodo soprassedere.  Nel frattempo venne sollecitato a fare una conferenza sulla radioastronomia e sulla cosmologia nell’ambito della FESTA DELLA FAMIGLIA che ogni anno si teneva a SASSO MARCONI. Accettò volentieri per due ordini di motivi: primo perché la proposta gli veniva fatta da un carissimo amico, secondo per il potere evocativo che il luogo aveva in sé. Infatti da una stanza di villa GRIFFONE (lì vicino a Pontecchio), dimora del famoso scienziato di cui porta  il nome la cittadina, partì il primo segnale radio che datò l’avvento di una nuova era per le comunicazioni. Pose solo un’unica condizione: la partecipazione del prof. Gianfranco Sinigaglia che Joe, appresone il prestigio, fu strafelice di avallare. Si ritrovarono, quindi, la sera di venerdì  28/08/1987. Il professore era in compagnia della sua signora. L’accoglienza di Joe fu calorosa e dopo aver fatto visitare tutta l’area della sagra, in cui erano esposte anche le apparecchiature funzionanti (in loco) della stazione meteorologica di Pederzani, li fece accomodare ad un tavolo riservato dove consumarono un pranzo squisito. Poco più tardi si recarono nella sala (della biblioteca) predisposta per la conferenza che era già occupata in ogni ordine di posti. A Pederzani toccava la presentazione dell’illustre ospite e la trattazione della parte introduttiva concernente una sua “TEORIA UNIFICATA DELL’UNIVERSO: PRINCIPIO E FINE” che aveva già provveduto a raffigurare sulla lavagna. Nel corso di questa il solito petulante di turno, presente in ogni dibattito, cominciò a fare una serie di domande, alcune del tutto fuori luogo. Pederzani cercò di rispondere nella maniera più appropriata, ma giacché questi continuava a puntualizzare fastidiosamente, richiese l’autorevole opinione del Prof. Sinigaglia, il quale zittì l’importuno, sostenendo che nulla aveva da aggiungere poiché in quel campo non ne sapeva più del Pederzani. In tale frangente si ebbe ancora una volta la conferma dello spessore anche umano ed etico di questo personaggio dalla sconfinata cultura. Il Sini proseguì con la sua relazione affrontando in maniera organica nascita e sviluppo della radioastronomia in Italia e nel mondo, soffermandosi a descrivere nei dettagli l’evoluzione dei vari sistemi riceventi e la peculiarità delle singole radiosorgenti, approfondendo con grande elasticità anche temi non sempre attinenti al proprio ambito. Naturalmente la sua esposizione si caratterizzò per l’estrema chiarezza e l’intrinseca attitudine a semplificare questioni difficili (rendendole fruibili anche ai non addetti), riuscendo a mantenere sempre viva e partecipe l’attenzione dell’uditorio. La serata finì così nel migliore dei modi, con soddisfazione di entrambe le parti.

Vai ai filmati: Conferenza a Sasso Marconi sulla Radioastronomia e Il dibattito con il pubblico in sala.

NB: Vai alle foto della conferenza

Anche il ricordo di quella conferenza sfumò, essendo già poco tempo dopo pienamente concentrato nello sforzo di migliorare il suo vecchio apparato ricevente, sostituendone il convertitore con uno di nuova concezione. I risultati furono eccellenti, ma ormai quella struttura era arrivata ad un punto di saturazione e, per ottenere un miglioramento, doveva necessariamente aumentarne il diametro dello specchio. Cercò da vari demolitori di Ponti Radio con risultati negativi e si rivolse anche a noti costruttori di parabole che, per una 6 metri, chiedevano cifre esorbitanti. Momentaneamente in attesa di qualcosa di meno esoso, tornò ad occuparsi della  sua collezione di apparati radio militari risalenti al secondo conflitto mondiale. Anche il Sini in quel periodo collezionava vecchi Tubi Termoionici (stilandone per ciascuno la scheda tecnica), per cui chiese a Pederzani se ne avesse per caso alcuni di “interessanti”, come lui amava definire i pezzi rari. Pederzani annuì, dicendo che qualcosa del genere aveva e lo invitò a casa propria per verificarlo di persona. Il professore giunse nella sua residenza di Riola il giorno convenuto e volle subito vedere il radiotelescopio, rimanendone entusiasta e domandandogli come avesse fatto a costruirlo da solo, data l’imponente mole. Volle vederlo anche in funzione. Poi estrasse dalla borsa una telecamera e lo filmò sullo sfondo della Rocchetta Mattei. Passarono in laboratorio ed ebbe modo di esaminare i vecchi apparati serviti per la ricezione dei primi satelliti artificiali nei lontani anni 50 e i più recenti meteorologici. Ma gli occhi del Sini brillarono di una luce speciale quando individuò, allineati in bella mostra su uno scaffale, i cinque grossi “triodi di potenza” che gli erano stati promessi, esternando anche verbalmente la propria soddisfazione come un ragazzino alle prese coi suoi giocattoli preferiti. Al termine di un pomeriggio molto intenso, Pederzani gli donò anche il nastro della conferenza tenuta a Sasso Marconi e gli ventilò l’ipotesi di un’analoga serata da tenersi a Vergato su richiesta del “Centro culturale Elia Comini”, cosa che lui accettò di buon grado.

E venne il tempo di quella conferenza: che era stata fissata per le ore 20,30 di venerdì, 2 settembre 1988, nella sala Papa Giovanni XXIII° di Vergato, sede del “Centro culturale Elia Comini”. All’entrata del Relatore la sala era già piena, fatta eccezione per alcune poltrone di prima e seconda fila che erano rimaste deserte, come accadeva (una volta!) nelle aule scolastiche, il primo giorno di scuola, quando per una sorta di timore riverenziale gli studenti cercavano di frapporre fra sé e la cattedra una distanza di sicurezza. Il responsabile del centro esordì con una premessa generale, integrata da un’altra più sintetica di Pederzani che declinava gli argomenti in oggetto. Il prof. Sinigaglia fece una trattazione ampia, approfondita e sistematica sulla Radioastronomia in generale e sui suoi sviluppi in Italia che lo avevano visto pioniere, in particolare quale coautore della Croce del Nord del Radiotelescopio di Medicina. Per poi passare all’illustrazione delle radiosorgenti: Sole, Galassie, Supernove, Pulsar e Quasar. L’esposizione teorica era supportata dai disegni di Pederzani  alla  lavagna  e  da  una  nutrita serie di diapositive. Fu proprio nel corso della proiezione di queste che il professore si divertì a presentare fra i maggiori radiotelescopi del mondo anche quello di Pederzani, il quale gli corrispose a sua volta con alcune domande “da  un milione di dollari”, come ebbe a dire il professore. Le sue argomentazioni diventavano sempre più complesse in relazione al grado di difficoltà delle questioni affrontate, ma Lui come al solito tenne inchiodati gli astanti in virtù delle proprie conoscenze e del proprio carisma, sfiorando con ironia e leggerezza temi cruciali, addentrandosi anche nel campo della religione e della metafisica. Volò veramente alto, quella sera, il Sini … tanto da trasformare una normale lezione di Radiastronomia in un convegno ad alto livello.

NB: Vai al filmato della conferenza a Vergato. 

 NB: Vai al filmato del dibattito con il pubblico a Vergato.

NB: Ritorna a: Graziano Pederzani e la sua strabiliante avventura

Continua

 

 

 

 

 

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