Valle del Reno 1928 – Il conte Cesare Mattei e il castello della Rocchetta

2013/02/25, Vergato – Proveniente dall’archivio privato del dott. Amleto Gardenghi, questo documento con la sua affascinante descrizione e le foto del tempo, ci illustra la misteriosa Rocchetta del Conte Cesare Mattei.
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LA ROCCHETTA MATTEI 

Fra Reno e Limentra, a sinistra del Limentra, poco prima del suo sbocco in Reno e prima del ponte che attraversa questo affluente, sorgela Rocchetta Mattei. Il luogo su cui è sorta questa rocca moderna era occupato un tempo da un castello, quello di Savignano,Savignano Lungoreno. Il nome di tale castello è frequente nei documenti: se ne fa cenno ai tempi del Barbarossa, lo si ricorda nel secolo dopo, quando impera Ottone IV di Brunswick, ricorre più volte anche dopo. Il Limentra – dice il Palmieri – era il confine fra Vimignano, ai piedi di Montovolo, e Savignano sulla sinistra del Limentra: quello era il limite esterno dei domini dell’esarcato ravennate , questo lo sprone più nordico dei possessi del marchesato di Toscana quindi era punto importante specialmente nel periodo.di lotta fra papi ed imperatori a proposito della eredità dei beni matildeschi. E questa è la ragione per cui del possesso di quel castello.vengono investiti i signori Alberti, vassalli dell’Impero. Gli imperatori di Germania, eredi di tutto quel vasto complesso di terre che era appartenuto ai Longobardi prima ed ai Franchi poi, tenevano assai a mantenerlo intatto dalle influenze latine e miravano ad estendere sè conquistatori a detrimento dei conquistati, i Romani. Qui è appunto la striscia di terra su cui si combatte episodio minuscolo, quella lotta fra invasori ed invasi, fra vinti e vincitori che costituisce il fondo della storia di molti secoli del medio evo. E quando Savignano cade in mano di chi non poteva temere affatto questa lotta, il pontefice, vediamo Savignano’trattato alla stessa maniera delle altre terre. Onorio III, al principio del duecento, rivendicando a sé i diritti dei possedimenti matildeschi contro l’imperatore, non fece distinzione fra Savignano e le altre terre. Finite le lotte per le investiture, acquetatosi il conflitto per i beni della potente Contessa, Savignano perde quasi intera la sua importanza: dopo il 1303 di esso non è più ricordo: aveva compiuta intera la sua funzione.

Sulle rovine del vecchio e famoso castello nacque, per opera del Conte Cesare Mattei, la rocchetta attuale, che fu cominciata nel 1851. Pare che questo signore, il quale esercitava un’arte che voleva dar la salute e che egli aveva battezzato col nome di elettromeopatia, abbia voluto cingersi di mistero per colpire di più l’immaginazione dei numerosissimi visitatori stranieri che dall’Inghilterra, dalla Germania ,e dall’America a lui traevano per acquistare quella salute che non avevano e che volevano riavere. Descrivere questa costruzione che raccoglie stili diversi; che è un insieme di architetture contrastanti sarebbe assai lungo: è necessario accontentarsi di una rapida e sommaria visione. Torri sorgenti fra le rocce, cupole rilucenti da lontano, muraglie merlate cori, archi e con finestre ricche di decorazioni variissime, bianche e nere: un ingresso fatto a ferro di cavallo rinchiuso dentro un quadrato, tutto a fregi, che,dopo un androne. conduce in un cortile, in cui guardano finestre, pur esse ad archi, qua e là nascoste dall’edera, con arabeschi di vari colori, bene combinati, sì che l’occhio riceve buona impressione : ecco quel che appare a chi s’ avvicini ed entri nel misterioso recesso. Ma il primo piano è soprattutto degno di interesse e strano: stanze e sale, l’una di seguito all’altra, con ingressi formati da colonne esili, sulle quali girano archi a ferro di cavallo o, a chiglia di nave, con fregi una bianca con arabeschi su fondo giallo-oro, un’altra violetta, altre a colori diversi, e tutte con nomi che fanno pensare: frequenti sono le alcove, pervase da una luce calma, mite. Le pareti hanno o i paesaggi che dalla rocca si possono ammirare, o varietà di fregi, a cubi in mille modi combinati, a striscie, a prismi, a linee oblique, ritte, ricurve, rosse, gialle, verdi, azzurre, bianche, nere.

E poi sono stanze di forme diverse, con logge intorno, a stalattiti multicolori,e poi cortili che imitano quelli dell’Alhambra, ad esili colonne e con fontane, ed angoli misteriosi,scale nascoste, ponti levatoi e torrette, tutto soffuso da una luce placida che dà riposo all’occhio ed all’animo, che invita ad una pace benefica, che quasi allontana dal fervore del mondo. In questo luogo il conte-medico accoglieva la sua esotica clientela, che solo di fronte alla rocca ‘e ‘nelle sale strane e nei cortili silenziosi trovava quell’azione sui nervi che era fra i metodi di cura suoi; di là la sua fama volava per il mondo ed accresceva sempre più il numero dei visitatori desiderosi di guarire. Come il negromante della leggenda, mai usciva dal castello e quindi aumentava per questo isolamento misterioso l’ammirazione degli uomini, tanto più che il danaro abbondante che traeva dall’arte sua andava bene spesso a beneficare persone ed istituzioni, era elargito per opere di utilità pubblica. Chi bussava alla sua porta o sofferente di salute o bisognoso di soccorso non era respinto, e questa sua generosità aveva aggiunto alla fama di taumaturgo, il nome di benefattore. Chi ora lo possiede, il Conte Mario Venturoli Mattei ha lasciato intatta la primitiva costruzione, adornato le sale di mobili, ha arricchito le camere di oggetti artistici, sì che è interessante oggi visitare la rocchetta che par che inviti a sé con il suo sfavillio di colori.

da: Le cento città d’Italia illustrate, Valle del Reno Fascicolo 228° 9 Giugno 1928