Giorgio Sirgi – La difesa del suolo nella montagna bolognese (quando si faceva)

2013/04/30, Vergato – Dall’archivio di Appennino Video Collection: La presentazione del libro di Giorgio Sirgi  “ LA DIFESA DEL SUOLO NELLA MONTAGNA BOLOGNESE”, edito dal Gruppo di studi Alta Valle del Reno- Nuetèr  Porretta Terme 1998. Dopo un inverno ed un inizio di primavera caratterizzato da intense precipitazioni, che hanno provocato vasti e diffusi fenomeni di dissesto idrogeologico, con ripetute piene ed alluvioni che hanno interessato tutti i corsi d’acqua e numerosissime frane che hanno distrutto e danneggiato case e strade e sconvolto i pochi campi coltivati che ancora restano in montagna, puntualmente documentate dai servizi presentati da Vergatonews24 nelle settimane scorse, il pensiero va all’amico Giorgio Sirgi scomparso nel settembre 2011 e al suo libro presentato nel 1998 presso la sede della Giunta Provinciale di Bologna nell’incontro documentato dal video di Luciano Piacenti. Sono passati 15 anni, ma le parole di Giorgio Sirgi, solerte e instancabile amministratore pubblico nei comuni di Castel di Casio, Camugnano, Gaggio Montano e Lizzano in Belvedere, nonchè Presidente della Comunità Montana di Vergato, sono ancora di piena attualità, anzi se lette alla luce della ulteriore drastica riduzione di risorse di questi anni, anche per la sola manutenzione delle opere di presidio del territorio, risultano quasi profetiche. Lo stato infatti dell’assetto idrogeologico della montagna è in questi anni ulteriormente peggiorato, con le conseguenze negative anche sulla pianura che il Sindaco Brunetti giustamente richiama nel video, e non si vede come a breve la tendenza possa essere invertita. Del resto la pesante crisi economica che l’Italia sta attraversando pone in maggiore evidenza altre priorità, anche se un piano nazionale di piccole opere di manutenzione del territorio, gestite dai comuni, potrebbero non solo avere un effetto positivo sulla difesa del suolo e quindi sulla sicurezza delle persone e dei beni privati e pubblici, ma potrebbero anche garantire lavoro a migliaia di imprese e di lavoratori dando un significativo contributo alla ripresa economica generale.

Riportiamo l’introduzione del libro scritta nel 1998, sempre da Enrico Carboni.

INTRODUZIONE

Ho accolto con piacere l’invito a scrivere alcune note di introduzione al nuovo libro dell’amico Sirgi: “La difesa del suolo, quando si faceva!” Il tema, fra l’altro, è di grande attualità ed i fatti drammatici di Sarno, puntual­mente ripresi nell’ultimo capitolo, sono purtroppo solo gli ultimi in ordine di tempo e certamente, quando questo libro uscirà in libreria, non saranno neppure più tali. Il ripetersi degli eventi calamitosi è infatti sempre più frequente in tutto il ter­ritorio nazionale, in un susseguirsi di calamità che ci vengono restituite nella cro­naca quotidiana da un giornalismo d’assalto, interessato più agli scoop e al sen­sazionalismo, che alla ricerca della verità. In questo contesto è purtroppo presen­te anche la nostra Regione con ripetute alluvioni e con gravi e diffusi dissesti idro­geologici per i quali godiamo di un non invidiabile primato nazionale. In questi ultimi anni, infatti oltre al dissesto idrogeologico diffuso al quale era­vamo ormai abituati, si sono rimobilizzate numerose grandi frane (S. Benedetto, Gaggio Montano, Vetto, Canossa, Farini) quiescenti da molti decenni; milioni di metri cubi di materiale si sono messi in movimento, travolgendo case, strade, ostruendo corsi d’acqua, costringendo all’evacuazione case di civile abitazione e attività arti­gianali. Il ripetersi di eventi calamitosi con frequenza così alta ci dice che siamo di fronte a fenomeni che non possiamo classificare come eccezionali (se un evento si ripete con cadenza quasi annuale è una contraddizione in termini definirlo eccezionale!). Di eccezionale rimangono quindi solo i danni che puntualmente registriamo dopo gli eventi. Una riflessione su quanto è avvenuto è quindi d’obbligo da parte di ammini­stratori e tecnici che a vario titolo si occupano di difesa del suolo. Occorre chie­dersi come sia stato possibile, che il forte sviluppo economico, sociale e cultura­le che indubbiamente ha conosciuto il nostro paese e la nostra regione in questi ultimi decenni, non sia stato in grado di mettere in conto, eli prevedere questi fenomeni e conseguentemente di difendersi; come sia possibile, che pur essendo cresciuta enormemente la sensibilità ambientale, e siano attualmente disponibili adeguati strumenti normativi e di pianificazione in materia di difesa del suolo, il sistema insediativo, infrastrutturale e ambientale sia oggi più vulnerabile di ieri. Il libro di Sirgi è interessante e merita di essere letto perché cerca di dare rispo­sta a questi interrogativi con l’intelligenza e la passione di un uomo e di un ammi­nistratore – (se in Sirgi è possibile separare i due ruoli!) che ha vissuto sempre a diretto contatto con i problemi e con i cittadini e quindi in grado di restituirne una conoscenza acquisita in prima persona “sul campo”. Non tutte le opinioni espresse da Sirgi sono condivisibili, ma tutte hanno comunque un indubbio valore di testimonianza diretta, vissuta, discussa, sofferta, e quindi meritano rispetto ed attenzione, e devono indurre ad attenta riflessione tutti coloro che hanno responsabilità tecniche e politiche nel settore della difesa del suolo e più in generale nella pubblica amministrazione. Per tutti infine è una lettura piacevole che aiuta a non dimenticare fatti e per­sone che hanno segnato una storia minore nella nostra montagna, ma che non è per questo meno degna d’essere ricordata.

dott. Enrico Carboni (Responsabile del Servizio Regionale Difesa del Suolo)

 

PRESENTAZIONE

Scrivere delle considerazioni introduttive a questa nuova fatica di Sirgi non è fra le cose le più semplici. Se non lo è, non è perché le questioni che propone siano di particolare diffi­coltà critica, ma perché, a partire dal titolo, il testo assume immediatamente la forma e la sostanza di un forte e motivato atto, mi vien da dire di accusa, verso uno sviluppo, voluto praticamente da tutti, che con il passare del tempo ha mostrato, su questioni fondamentali, la sua ottusa superficialità. La forza del testo è poi ancor più accentuata da fatto che il dire di Sirgi è un dire motivato, dal forte valore di testimonianza di una fatica che veniva soppor­tata con il preciso senso di chi sa di avere responsabilità verso se stesso e verso gli altri. Quel “Quando si faceva”, messo fra parentesi, appare, è il portato di una cari­ca notevole di ironia, un po’ disillusa, tutta montanara, di uno degli uomini della montagna Bolognese, fra i più legati alla sua terra e ai destini della stessa. C’è allora molto da riflettere, guardando anche alla recente discussione a segui­to dei tragici eventi che hanno colpito Sarno e Quindici. Mi riesce difficile pensa­re che il problema, ormai drammatico, della difesa del suolo possa essere affron­tato attraverso una disputa di competenze e non invece ponendo rimedio, a par­tire dal livello culturale e da quello politico, a una idea di sviluppo i cui gravi i limiti sono ormai brutalmente evidenti. Pur rendendomi conto che rappresentare così il problema vuoi dire complicarlo in una misura non indifferente, non trovo altro modo di colloquiare con la fatica di Sirgi. Capita infatti che quell’insistere sui “piccoli” e sui “grandi” fatti, sulle pratiche e sui comportamenti quasi quotidiani per difendere i luoghi e la propria condi­zione di sussistenza, costringa a fare i conti con una intensità di testimonianza inu­suale per il nostro tempo. Inusuale perché dettata da una convinzione profonda, che ha resistito alle sire­ne che nel corso di questi ultimi decenni hanno decantato le magnifiche sorti pro­gressive dello sviluppo. Anche i cambiamenti di lessico, prodotti dallo sviluppo, che hanno portato alla cancellazione di talune parole dal dire quotidiano, trovano in Sirgi un punto di resistenza assai forte. Parlare di manutenzione, di regimazione delle acque, di fermare il disbosca­mento, di tecnica e di esperienza non è ancora, un’altra volta, pratica quotidiana; è di più il dire da convegni, di chi interviene per protesta, di chi rivendica l’ormai irrinunciabile necessità di invertire la tendenza. Sirgi, invece, non ha bisogno di urlare, non ha bisogno di protestare, parla, scrive con semplicità e, senza violenza verbale alcuna, fa parlare la violenza della necessità e dello stato dell’arte a fronte della testimonianza di azioni, certo a volte anche imprecise , ma praticate con costanza. Anche quel richiamare figure di tecnici, come dire, esemplari, non assume un tono polemico verso quei tecnici che oggi impiegano il loro tempo e le poche risorse messe loro a disposizione, per affrontare l’emergenza continua. Sembra più un incoraggiamento, un invito a non desistere, nella speranza che le cose cambino. E che qualcosa stia cambiando comincia ad intravedersi. Segnali che si deve insistere anche a ben sperare ci sono. Sarebbe sbagliato non coglierli, perché sono il riconoscimento di una flessione che comincia a far breccia nelle granitiche cer­tezze di molti. Comincia a farsi strada la consapevolezza che abbiamo cementificato troppo, che attività umane diventate con il passare del tempo neglette, ancora oggi non sostituite da alcunché,; avevano rilevanza straordinaria. Comincia a farsi strada che non bastano nemmeno le buone leggi, se la prati­ca diffusa non è conseguente. Si può fare il solo esempio della 183, per mettere in fila l’analisi critica dei comportamenti dagli alti livelli nazionali e quelli più vici­ni a noi, dei nostri. Qui, proprio sull’analisi dei comportamenti, non lo è cer­mente nella accezione moderna del termine, e forse proprio per questo in tutto il suo dire le cose si tengono. Per quanto il suo lavoro ragioni specificamente di difesa del suolo, non fugge mai il richiamo diretto o indiretto alla complessità. Il senso della trasversalità della questione ambientale sta infatti continuamente sullo sfondo del ragionamento svolto, dandogli così più forza. A mio parere questo è un merito non indifferente in una stagione in cui non si riesce a dare spazio a una lettura della questione ambientale che la liberi dalla gabbia disciplinare in cui troppi la vogliono tenere costretta. Esemplare è poi il fatto che si dimostri come non sia necessario essere dei “pozzi di scienza” per arrivare a queste esclusioni, anzi, si dimostra come sia prima di tutto necessario essere dotati di quel grano di saggezza che permette di guardare ai fatti della vita senza smanie di qualsivoglia fatta. So eli aver imboccato la via dello scrivere in qualche modo ermetico, ma non vorrei introdurre io, in queste pagine, una vis polemica che stonerebbe con la pacata determinazione che le caratterizza; anche per questo fermo qui queste mie annotazioni, non prima però di aver detto all’autore un sincero e affettuoso gra­zie.

Forte Clò (Assessore all’Ambiente della Provincia di Bologna)

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