LA PRIMA COMUNIONE Tempo di Cresime e Comunioni.
Feste, potremmo chiamarle, eppure si tratta di giornate importanti, da ricordare. Del resto, quanti momenti speciali compongono la nostra vita? Il “militare” non c’è più.
Cos’è rimasto? Il Matrimonio? La laurea? E prima?
Quelle feste di grandi e bambini, forse le uniche che coinvolgano entrambi.
Meglio ricordarli come ha fatto per noi un amico, con un breve racconto. Sentiamolo.
Luciano Marchi
…E’ saltata fuori all’improvviso, dal cassetto di un comodino.
Si è fatta largo tra cose antiche ma consuete: la fotografia della mia prima Comunione.
I bordi sono seghettati, come da moda del tempo; e la stampa in bianco e nero, dai grigi incerti ma con i neri decisi.
Gli occhi di molti sono chiusi, quasi a lasciare spazio al festeggiato: io, in camicia bianca e col farfallino.
Che bella l’infanzia: quando te ne ricordi, il sapore in bocca è dolce; questo perché la vita non ha ancora offerto nulla da rimpiangere.
Ero solo, a prendere il sacramento; in una chiesina tutta mia.
Ci passo davanti spesso, ma il viale non è più quello di un tempo; coperto da rovi e col cancello d’ingresso irrimediabilmente chiuso, da anni.
“Non pensare ai regali”, si raccomandavano i miei; eppure la mia mente andava altrove, ubriacato com’ero dal sole, dagli odori, dai riflessi delle tante macchine parcheggiate.
E poi c’era quell’inginocchiatoio, di fronte all’altare, da raggiungere da solo; col piccolo luogo sacro gremito di parenti, vicini, amici.
La Messa durò un attimo solo, come di fretta, che quasi ne rimasi deluso.
Ogni tanto mi voltavo per vedere i nonni, elegantissimi, fieri, a volte commossi. Erano loro i miei ospiti privilegiati, per una volta insieme, come raramente poteva capitare.
All’Omelia il Celebrante si rivolse al mio nonno paterno, quello che si chiamava come me.
Scoprii, quella volta, che erano stati amici, in gioventù, prima di prendere strade diverse.
Fu un dialogo a una via, eppure gli occhi s’incrociavano attenti, lucidi, con tanti assensi negli sguardi.
Capii che anche mio nonno era stato bambino, molto prima di me, con le emozioni e i desideri di tutti. Forse, pensai, le storie di treni che mi raccontava avevano un’origine lontana, frutto di una fantasia bambina, eroica, sognante. Evidentemente, quando me le raccontava, avevo un amichetto di fianco a me: un coetaneo, della mi stessa età.
Un rimpianto per quel giorno lo conservo ancora oggi, e l’ho confessato a mia figlia, colei che mi ha accompagnato a rovistare nel cassetto antico: i miei mi avevano vestito con i pantaloni corti!
Oggi fa un po’ ridere, perché nessun bambino li porta più; ma ai tempi appartenevo alla generazione di trapasso, quando il vestiario infantile non era una moda ma semplicemente un’esigenza, finalizzata dai genitori.
E per me furono gambe scoperte a lungo (anche d’inverno), fino al primo giorno del liceo: quando la vergogna impose la mia ribellione e il repentino cambiamento d’usanze.
Ero grande, diamine!
“Eri carino, papà; con tanti capelli”, mi ha detto Elly con in mano la foto.
“Avevo anche il ciuffo”, risposi orgoglioso.
“Quanta gente alla tua festa!”, disse lei.
Già, quanti; e molti non ci sono più. Vorrei ricordarli meglio, magari girando la fotografia dove mia madre ha aggiunto la data con la biro blu.
“Posso prenderla?”, mi ha chiesto Elly
“Certo, fai pure … ma, per cosa”.
Mia figlia prende in mano il telefono e scatta una foto alla mia.
Poi su Facebook scrive: “Questo era mio padre, nel giorno della sua Prima Comunione”.
40 Mi piace…….
Chi l’avrebbe detto: quella fotografia è tornata a vivere.
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