Luciano Marchi – NWL n° 34 Tra memoria e realtà

TRA MEMORIE E REALTA’ Estate atipica, quella di quest’anno: piogge un po’ ovunque e freddo, tanto.
In alcune zone sono cadute le ormai celebri “bombe d’acqua”, da non confondersi con gli antichi “gavettoni”, abitudine iniziata tempo addietro col ferragosto e poi perpetrata alla bisogna: caldo permettendo.​

Insomma, quest’anno siamo tornati più volentieri, anche se poi l’odore di casa ha sempre esercitato una grossa attrattiva.
Lo si sentiva sin dal casello, quando già si cercavano le chiavi della porta e quelle dei pensieri, per ricominciare.

Sì, ma da dove ripartire?
Aprendo il gas, certamente (non ci eravamo dimenticati di chiuderlo), ma rimettendo in moto le antiche abitudini, quando ancora i bagagli sono impilati vicino alla porta, con sopra la fotocamera.
La TV dice cose già sentite: crisi, ottanta Euro per i consumi (in pizzeria?), venti di guerra, riforme.
Sembra quasi che per anni siamo vissuti nel sistema politico – economico più sconclusionato che si potesse immaginare. “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare“, direbbe Bartali.
Lui (avrebbe cent’anni, auguri) vinceva i Giri di Francia e oggi l’ha emulato un italiano (Nibali).
Ripartiamo quindi dalla bicicletta: pedalare!

Ma le abitudini che riprendono sono tante.
A settembre, ricomincia la scuola. Auto incolonnate (con mamme annesse) collocano figli sonnolenti di fronte alle maestre in attesa.
Noi che andavamo a piedi facciamo fatica a comprendere; e ci appare strano anche quello zaino da Sherpa (nuovo) con dentro la Treccani. Sarà!

L’emozione però rimane, anche se la memoria corre a ritroso: all’estate, certamente; ma anche a quella fotografia antica, con tanto di nonni e vicini, oppure a quell’altra, dove il grembiule era bianco e il fiocco (grande) blu intenso. Era il primo giorno di scuola.

Questioni di memoria? Certamente.
Di retorica del tempo che fu? Forse.
Di gioventù? Probabilmente. Non può comunque bastare.
Se fosse solo una questione di passato, vorrebbe dire che il presente risulta arido, povero, vuoto; e così non è, o almeno non dovrebbe essere.
Ci viene più facile pensare ai valori dell’esistenza e anche alla loro percezione. Il primo giorno di scuola era un momento biblico, perché noi volevamo che fosse così: sin dal pensiero; e tali erano gli altri istanti importanti della nostra vita.
Oggi tutto diventa festa, celebrazione, enfasi; così il rito perde il suo contenuto formale, l’espressione della sostanza.
Viviamo in un “carnevale” di ricorrenze, vere e proprie scusanti di quanto accade.
Finisce la scuola? Si fa la “pizzata”.
Arriva il Natale? Tutti a cena.
Vogliamo, e portiamo avanti, un mondo di frutta candita, con pochi pensieri.
Ma il dolce, si sa, dura poco; così, quando l’emozione ci assale, ecco comparire il passato, con quella foto nel cassetto che non ti aspetti, ma che pure viveva in te senza che lo sapessi.

Garrone fu l’ultimo che abbracciai, nella strada, e soffocai un singhiozzo contro il suo petto: egli mi baciò sulla fronte.

Poi corsi da mio padre e da mia madre. Mio padre mi domandò:

– Hai salutati tutti i tuoi compagni? – Dissi di sì.

– Se c’è qualcuno a cui tu abbia fatto un torto, vagli a dire che ti perdoni e che lo dimentichi. C’è nessuno?

– Nessuno, – risposi.

– E allora addio! – disse mio padre, con la voce commossa, dando un ultimo sguardo alla scuola.

E mia madre ripeté: – addio! –

E io non potei dir nulla. 

Così finisce il libro Cuore, di E. De Amicis.
Il testo è discutibile, forse troppo “anziano”; ma queste ultime righe sono una fotografia, quella che non ti dimentichi.
Nelle parole compare il “contenuto” del momento, non la sua enfasi.

Ho un amico che scatta, ogni anno, una fotografia ai propri figli, il primo giorno di scuola. Non è l’unica ricorrenza che ritrae, perché tutte le famiglie invitate a cena vengono immortalate prima di rincasare: da vent’anni.
Nulla di speciale, mi dice; solo frammenti di un tempo che diviene: figli che crescono, coppie che si separano, altre che si formano. Vita.

Prima dell’estate, aveva organizzato una cena con una famiglia nuova.
Solita premessa: “Il treppiede serve per uno scatto che faremo dopo”.
Passa la serata e gli ospiti debbono scappare.
Escono di fretta. Dopo poco, suona il campanello: “ A noi la foto no?”.

S’era sparsa la voce, quella del valore del momento. Luciano Marchi

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