Il pilastrino di Razola – Parte 1° L’inquadramento storico e la leggenda
2015/03/20, Castel d’Aiano -Razola – La storia documentata con le immagini video-fotografiche del restauro del pilastrino di Razola e una leggenda che riemerge dal passato.
A cura della: “compagnia degli sdalèn” ( società di fatto, senza statuti, cariche sociali, tessere, della quale possono far parte tutti coloro che condividono l’obiettivo di promuovere la tutela, la valorizzazione ed il restauro degli sdalèn e della loro memoria)
- Inquadramento storico
Il pilastrino di Razola è straordinario, può essere considerato fra i più belli di tutta la valle del Reno(Foto 01- 02- 03): alto, slanciato, elegante nelle sua forma e nei suoi fregi e modanature, con la sua grande croce in ferro con le fiammelle rosse di fuoco a prolungarne i bracci.(Foto 04) Come si legge nella colonna, fu costruito nell’anno 1886, (Foto 05) da un’abile scalpellino della zona, utilizzando la bionda pietra arenaria della cava di Finocchia. Collocato in fregio alla strada che entrava nel borgo di Razola, bene in vista a tutti coloro che scendevano dai monti di Labante in direzione di Vergato. Come spesso succedeva era anche eretto sul confine di Comune (fra Vergato e Castel d’Aiano) e sul confine di Parrocchia(fra Casigno e Susano), a marcare un limite, un cambiamento, una diversità che è un dato che caratterizza la localizzazione di tutti gli sdalèn.
(Foto 06-07-08-09) I quasi 130 anni passati e la gelività dell’arenaria impiegata avevano prodotto nel pilastrino danni evidenti che alcuni precedenti interventi di restauro avevano cercato di mascherare, i predatori di immagini degli anni 70 avevano colpito asportando due delle tre targhe esistenti e danneggiando la terza.
Negli ultimi tempi il pilastrino aveva perso anche la verticalità inclinandosi pericolosamente in avanti e facendo temere per la sua integrità. Le foto (Foto10-11) danno conto della gravità di questo problema intervenuto ad aggravare la situazione.
S’imponeva quindi un intervento di consolidamento e restauro e la compagnia degli sdalèn è entrata in azione mettendo a punto il programma delle attività preliminari: cercando informazioni sulla proprietà dell’area e quindi del pilastrino (pubblico o privato?), su chi l’aveva costruito e perché, cercando testimonianze e vecchie foto che documentassero la situazione nel tempo(Foto 12-13-14-15). Le foto trovate, di qualità non eccellente, ma di grande valore documentale, ritraggono diversi abitanti del borgo di Razola in posa davanti al pilastrino nei primi anni 60.
Interessante notare come il pilastrino sia ancora considerato a quel tempo l’elemento architettonico, il segno sacro, davanti al quale immortalare i fatti salienti della vita: la prima motocicletta, il fidanzamento, la prima macchina, la FIAT 600 nuova con a fianco il proprietario. Nell’ultima, davanti al pilastrino, che rappresenta un passato che ormai sta finendo, solo la la ,macchina, la FIAT 850 bianca, nuova, a simboleggiare il boom economico che sta iniziando. (Foto 16)
In questa foto che può essere assunta come simbolo e paradigma del profondo cambiamento appena iniziato, è immortalato il passaggio storico e antropologico che ha segnato nel bene e nel male tutta la nostra storia recente, il passaggio da un mondo e da una economia prevalentemente contadina, al mondo dello sviluppo economico e industriale.
L’ultima foto trovata ( Foto 17), è quella che ritrae la parte alta del pilastrino, ripresa nel 1990, in occasione di una mostra organizzata dai giovani della parrocchia di Castel d’Aiano, che già esprimevano la benemerita volontà di documentare gli sdalèn presenti sul territorio del comune, per promuoverne la salvaguardia; questa immagine da conto di un pilastrino che era già stato oggetto di interventi di restauro certamente apprezzabili per la buona volontà, ma discutibili nel modo, per l’eccessivo uso del cemento e l’uso improprio della vernice rossa. Non aveva più le targhe in ceramica, evidentemente già depredate nella nicchia centrale ed in quella di sinistra, ed in quella di destra la targa di S. Vincenzo era già spezzata, mentre la sfera di arenaria al piede della croce era ancora intera e presente.
Una volta definito il progetto degli interventi da realizzare è cominciata la ricerca del materiale adatto per rifare il capitello di copertura e completare la parti mancanti; particolare impegno è stato messo nella ricerca di quali immagini sacre fossero presenti in origine per poterle sostituire adeguatamente. La scelta è caduta sulle due targhe (Foto 18-19) che riproducono abbastanza fedelmente le immagini originali, in quanto sono state realizzate utilizzando vecchi stampi ottocenteschi e secondo i metodi e le tecniche di allora.
Sulle motivazioni che nel lontano 1886 hanno determinato la costruzione del pilastrino di Razola, non eravamo riusciti a saperne più di tanto, finchè alla vigilia dell’inaugurazione è uscita quasi per caso una storia, una leggenda abbastanza incredibile; una volta riaffiorata, come da un mare di ricordi confuso e lontano, si è via via arricchita di particolari attraverso le testimonianze dei presenti. Il pilastrino di Razola sarebbe stato costruito per ricordare un evento straordinario accaduto in quelle contrade nella seconda metà dell’800, poco dopo l’Unità d’Italia.
Quando a Razola seppellirono la “MISERIA e la CARESTIA”
Il ricordo che è affiorato è intriso di leggenda, di superstizione, di vecchi rituali pagani mischiati a quelli cristiani, patrimonio di quella religiosità popolare contadina di cui sono espressione anche gli sdalèn, e ben rappresenta la condizione di povertà e miseria in cui versava a quel tempo il mondo contadino.
I più anziani presenti alla festa di inaugurazione del pilastrino, hanno tutti riferito di ricordare bene di aver sentito raccontare dai loro genitori, che quando questi erano bambini, (seconda metà dell’ottocento) a Razola avvenne un fatto straordinario che coinvolse buona parte della popolazione dimorante nella montagna di Vergato e Castel d’Aiano, fino ad interessare le terre modenesi di Zocca, oltre il confine di provincia.
Il racconto è venuto fuori così dettagliato e pieno di riferimenti a luoghi e situazioni reali, ancora oggi riconoscibili sul terreno (quasi che la festa davanti al pilastrino restaurato abbia evocato ricordi lontani che si erano persi nel tempo), da poterlo considerare effettivamente avvenuto. (Inizio riprese di Luciano da Rosola)
Vediamo in particolare di cosa si tratta sulle immagini dell’ipotetico percorso (da Rosola a Razola): a fronte di una situazione perdurante di grande miseria e carestia, durante la quale la gente non aveva più di che mangiare, i bambini morivano di fame, gli abitanti di queste contrade, disperati, non sapendo più cosa fare o a chi rivolgersi in terra ed in cielo, pensarono bene di esorcizzare la carestia e la miseria dilagante, organizzandone il funerale, dopo averla raccolta lungo tutti i territori attraversati dal corteo funebre e racchiusa, in modo figurato, dentro ad una cassa di legno. Si narra che il corteo, partito da Rosola nel modenese, (di cui vediamo l’antico borgo con la torre, i resti del castello e la chiesa) abbia attraversato nel suo percorso i paesi di Montalto(in alto sulle colline di fronte, se ne intravede il campanile), di Semelano (con la sua chiesa ed il primo pilastrino del percorso), per salire poi a Villa d’Aiano( secondo pilastrino e la sua chiesa purtroppo inagibile e di prossima demolizione e ricostruzione), a Castel d’Aiano, quindi al bivio a sinistra per Serra Sarzana, ( e da qui di fronte al terzo pilastrino incontrato, accanto alla cabina telefonica gialla, è possibile allungare lo sguardo fino ai monti di Finocchia e sulla serra dopo il gruppo di case di Bago, vedere Razola, meta del corteo). Ma a piedi la strada è ancor lunga e allora avanti per Torre Iussi, Bocca dei Ravari, per poi scendere a Roffeno (la chiesa) quindi a Casigno ( con il quarto pilastrino e dal piazzale della chiesa poter valutare la strada ancora da percorrere per risalìre di fronte, sulla sponda opposta del Vergatello, per arrivare a Cà ed’la Bleba, quindi Finocchia, poi l’Oste, Bago )fino ad arrivare finalmente a Razola (chissà perché questo lungo percorso da Rosola a Razola? Quali elementi in comune, quali collegamenti fra i due borghi dal nome così simile?). Giunti finalmente a Razola, in una punta di un campo di proprietà di un certo Cesar*, proprio sopra al pollaio di un certo Lurenz*, (pollaio ancora esistente che si intravede sotto la vegetazione infestante!) si concluse il corteo funebre e la cassa di legno con sopra una croce, portata a spalla da Tundein*, contenente la carestia e la miseria raccolta lungo tutto il percorso, fu definitivamente sepolta. (*tutti personaggi effettivamente vissuti nel periodo esaminato)
Si racconta che il corteo, partito da Rosola con poche unità, si ingrossò mano a mano che avanzava, fino a raccoglier più di mille persone, che in una lunghissima processione che di religioso doveva avere ben poco, molto di più di superstizione e di vecchi riti pagani, arrivarono fino a Razola dove si concluse con la sepoltura.
Non è dato sapere se si trattò di un rito mesto e composto come si conviene ad un rito funebre, oppure una cerimonia allegra, scanzonata e irridente come l’oggetto lascia immaginare, né quali effetti produsse e cioè se funzionò l’idea di esorcizzare la carestia facendole il funerale e mettendola sotto terra a Razola. Di certo un qualche risultato fu ottenuto, se dopo qualche tempo(1886), a ricordo di quell’evento e per ringraziare o richiedere altri favori alla madonna ed ai santi della terra, fu eretto il pilastrino di Razola con le immagini della Madonna di S. Luca, di San Vincenzo Ferreri protettore dei raccolti e di S. Antonio Abate protettore degli animali da stalla e da cortile. (parte finale della ripresa del pilastrino e delle sue immagini sacre per arrivare alla fine del racconto)In questo modo tutto può essere ricondotto nell’alveo della religiosità popolare contadina che tanta parte ha avuto nel recare conforto a popolazioni destinate ad una vita grama, piena di stenti, sottoposti alle angherie dei padroni ed alle calamità causate dagli agenti atmosferici. La ragione prima del diffondersi di questi segni devozionali(sdalèn) sul territorio nel corso dei secoli, risiede proprio in quella condizione di ultimi della scala sociale, nella accezione gramsciana del termine, che il mondo contadino si è portato appresso e che lo ha indotto a riporre fede e speranza nei santi protettori dei bisogni fondamentali non avendo altri a cui rivolgersi.
D’altra parte tremende carestie, provocate da eventi atmosferici avversi che distruggevano i raccolti, riducendo gli abitanti alla fame, si sono sempre presentate nelle nostre montagne. In particolare, per quanto riguarda le castagne, che da sempre sono state una ricca e importante fonte di alimento per la popolazione della montagna, si ha notizia che nel vicino territorio di Montese e quindi in condizioni del tutto simili:“le condizioni metereologiche avverse ne distrussero i raccolti nel 1612, nel 1621 – nel territorio e castello di Monteforte la gente era ridotta in fin di vita per la fame – nel 1663, nel 1740, nel 1751, nel 1807, nel 1816 e nel 1850(quest’ultima può essere proprio la carestia che portò al funerale di Razola!). L’ultima carestia in ordine di tempo, risale al 1936 quando una forte nevicata tra il 7 ed 8 Ottobre, compromise la raccolta delle castagne e sradicò molti alberi compromettendo i raccolti anche negli anni seguenti”.