I burattini: il gioco dello spettacolo, lo spettacolo del gioco (testimonianza di Enrico Carboni)

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2017/03/29, Vergato – Umberto Bernardi del Circolo Burattini di Vergato “Galeazzo Marescotti”  si associa al cordoglio per la scomparsa dell’amico Enrico Carboni riproponendo un “lavoro” fatto assieme;

I burattini: il gioco dello spettacolo/ lo spettacolo del gioco. 

Testimonianza di Enrico Carboni raccolta da Umberto Bernardi del Circolo Burattini di Vergato “Galeazzo Marescotti”

I burattini a Vergato ci sono sempre stati, anche se con alterne fortune, e quindi rappresentano ormai una storia che merita di essere raccolta e tramandata, anche nelle sue espressioni minori.

Nei primi anni del dopoguerra lo spettacolo dei burattini rappresentò una delle poche occasioni di svago a cui potevano partecipare grandi e piccoli, assieme al Carnevale (di cui erano sicuri protagonisti), al vecchio cinema delle scuole, alle compagnie di teatro viaggianti ed ai primi circhi che in particolari periodi dell’anno erano soliti fermarsi a Vergato.

I grandi, pesantemente provati dagli anni terribili della guerra appena conclusa, desideravano ricominciare a vivere normalmente; i bambini cercavano, attraverso processi imitativi ed emulativi, di inventarsi i giochi che non avevano, riversandovi tutto il loro ingenuo stupore e la loro candida fantasia.
Fu così anche per il nostro gruppo. Io, Tullio e Giovanni (nati nello stesso mese dello stesso anno), insieme a Roberto e Peppe (un po’ più grandi) trascorrevamo gran parte del nostro tempo nel campino del prete a giocare a pallone o a palline. Con quelle grosse, i “boccioni” di vetro con l’interno di diversi colori, con le quali si inseguiva un percorso di tre buche sistemate ai vertici di un triangolo. Più spesso con le “boccine”, quelle piccole di terracotta verniciata a vivaci colori, che si compravano in cartoleria da Brizzi o dalla Teresa.
Ma i giochi più organizzati nacquero e si svilupparono nel mio orto, dove si passavano intere giornate. Il più delle volte arrampicati su un grande rusticano, dispensatore di frutti, per quei tempi molto ambiti e buoni da mangiare alla stagione giusta, (in verità noi li facevamo fuori tutti ancora acerbi), ma anche rifugio e palestra fantastica per le nostre avventure.
E così succedeva che dopo un film di Tarzan, visto alla domenica sera al cinema delle scuole, per una settimana il film continuava solo per noi sull’albero ad imitare le scene, i personaggi, le battute, rivivendo a modo nostro quello che avevamo visto. Se la domenica dopo si proiettava un film di cappa e spada, per una settimana erano duelli con le spade di legno ricavate dai rami del rusticano. Se era un western, erano duelli con le pistole ed i fucili di legno che sparavano elastici ricavati dalle camere d’aria delle biciclette e tenuti fermi da mollette da bucato.
Con i burattini è certamente cominciato così, attraverso un coinvolgimento emotivo ed un processo imitativo partito come gioco, ma che poi piano piano, si è trasformato in qualcosa di più importante, di più strutturato.
D’altra parte i personaggi dei film d’avventura che colpivano la nostra fantasia di bambini erano molto distanti. Potevamo solo scimmiottarli un po’ per gioco, un po’ per prolungare l’emozione e lo spettacolo oltre le due ore di proiezione.
I burattini no. I burattini erano sì magia e fantasia, ma erano a noi vicini,  potevamo toccarli con mano prima, durante e dopo gli spettacoli; conoscevamo bene le persone che li facevano, che li animavano, che davano loro voce e movimento.
Ricordo uno spettacolo al cinema nuovo con il palco di legno montato chissà perché, dalla parte sinistra, verso i gabinetti per intenderci.
Mi sembra ancora di sentire lo schioccare dei colpi che le teste di legno di Sganapino e Fagiolino producevano sul bordo di legno del palcoscenico e delle bastonate che si scambiavano ad ogni pretesto. Mi sembra ancora di vedere quello svolazzare di copricapi colorati. Poi le voci:quella cavernosa del Diavolo (alias il Moro, il marito della Pasquina), quella insinuante e melliflua di Sganapino (alias Egisto Marchi), quella marcatamente bolognese del Dott. Balanzone (alias Franco  Gardenghi, l’avvocatino) e quella di Fagiolino (alias Giannino Calzolari).
Deve essere stato dopo quello spettacolo che decidemmo, tutti assieme come si faceva in quei casi, che potevamo farlo anche noi.
Dovevamo procurarci il necessario, in primis i burattini. Ovviamente non potevamo ambire a quelli di legno troppo grandi ed impegnativi, ma in commercio esistevano già dei burattini più piccoli, in gomma; li avevo visti in una cartoleria in via d’Azeglio a Bologna, in occasione dell’esame di prima media (1953/54) che il Prof.Scarpaccio ci portò a sostenere alle scuole medie Guinizzelli.
Purtroppo c’erano solo le teste in vendita ed erano piuttosto piccole; erano di buona fattura e riproducevano tutti i burattini della tradizione bolognese Fagiolino, Sganapino, il Dott. Balanzone, il Diavolo, la Polonia e gli altri; ma non erano vestiti. Non fu un problema per la signora Maria, la mamma di Tullio che era una brava sarta e in breve tempo ce lì vestì come si conveniva.
Serviva un copione e ci rivolgemmo ad Egisto Marchi. Oltre ad essere uno degli animatori del Carnevale Vergatese e della Compagnia dei burattini di Vergato era per noi, come per molte altre generazioni che si sono succedute, una specie di mago Zurlì.
Dopo averci fatto ritornare innumerevoli volte al mulino, dove era sempre indaffarato a fare conti, a riempire e a vuotare sacchi, a dare disposizioni inascoltate a quelli che lavoravano con lui, un bel giorno disse: ”ho quello che fa per voi”. Rovistando dentro ad un cassetto del suo polveroso ufficio di legno, tirò fuori un libretto relativo ad una commedia di burattini di cui purtroppo non ricordo il titolo.
(Il copione era “la sciabola di legno” interpretato da Enrico, Marco, Filippo, Roberto, Giovanni, Tullio e Gianni Sisto detto Fulmine.) 
Con quel suo sorriso largo e un po’ equino che ne evidenziava il carattere sempre allegro e gioviale, disse: “questo è quello che vi vuole per cominciare, un libretto facile e divertente, mi raccomando non sciupatelo e non perdetelo. Poi ne avrete degli altri.”

Il palco lo costruimmo da soli con tavole di legno e chiodi recuperati in giro. Allora i materiali di recupero non mancavano, il paese era nel pieno della ricostruzione postbellica. Lo montammo nello spazio che c’era, e che c’è ancora, fra la casa dei miei genitori, quella dei Bernardi e quella che era dei Marchi e lo chiudemmo lateralmente con dei teli di sacco (anche quelli provenienti dal mulino di Egisto). Su questi teli di iuta tornerò in seguito perché hanno avuto nella storia un ruolo importante.
Alle scenografie provvidero Peppe Bernardi e Franco Gardenghi.
Mi ricordo che erano due tele, che potevamo alternare nel corso dello spettacolo raccogliendole con delle carrucole. Riproducevano un ambiente esterno (La piazza maggiore di Bologna) e un interno (una stanza arredata di tutto punto). Ricordo ancora quel pomeriggio quando arrivarono con i pennelli e le vernici e due grandi fogli di carta robusta da pacchi. In poco tempo, come per magia, diedero vita davanti a nostri occhi sorpresi e ammirati, alle scenografie che trasformarono il piccolo palco di legno e tela in un palcoscenico.
Ma non era solo un gioco o meglio il gioco non si esauriva solo nel provare fra di noi le parti ed i personaggi, magari davanti ad un piccolo pubblico occasionale incuriosito dalla novità del gioco.
La vera sfida era nell’andare avanti e misurare la nostra capacità di mettere in piedi un vero spettacolo di burattini, come solo i grandi sapevano fare.
Fatto il palcoscenico, occorreva anche una platea con posti a sedere e un pubblico regolare, che per essere tale doveva pagare un biglietto d’ingresso. Non solo, per rendere completo lo spettacolo non potevano mancare i “brustolini”, proprio come quelli che compravamo dalla “Zoppetta” dentro al cinema delle scuole o sul marciapiede davanti alla sua casa in Via Cavour.

Roberto, che di tutti noi era il più sveglio, risolse brillantemente il problema. I brustolini erano in grande quantità ad asciugare nel retrobottega dei Bernardi, che li vendevano all’ingrosso. Con un lungo bastone alla cui estremità aveva legato un “bussolotto”, ci procurò tutti i “brustulli” che servivano e anche qualcuno di più.
Per confezionarli ci procurammo dalla Vittoria di “tic tac” (soprannome del padre) quelle bustine di carta trasparente che reclamizzavano una marca di Caffè e che servivano per mettervi dentro le sigarette vendute sfuse.
Non ricordo quanto tempo passò prima di essere pronti, immagino alcune settimane, ma poi arrivò la sera della prima. Fu un successo di pubblico, tutte le panche erano piene. A proposito, le panche erano state prese in prestito in canonica grazie ai buoni uffici di Riccardino Marchi. Fu un successo d’incasso, vendemmo tutti i biglietti e tutte le bustine di brustolini. Non so dire se fu un successo anche di “critica”, ma di certo la cosa non fini lì.
Facemmo diverse repliche nel corso dell’estate e l’anno dopo fummo addirittura chiamati a fare lo spettacolo per i bambini del nuovo asilo. Ricordo che montammo un piccolo palco portatile, che ci aveva fornito Egisto, nell’ingresso ed i bambini ci stavano davanti seduti sugli scalini e sul pianerottolo.

Cominciammo la rappresentazione e tutto procedeva normalmente quando all’improvviso, durante una scena che prevedeva l’ingresso del diavolo accompagnato da sbuffi di fumo e di fuoco, i teli di sacco che chiudevano ai lati il palco presero fuoco.
Roberto, che di noi era sì il più sveglio, ma anche il più malestroso, usando una specie di lampada che serviva a produrre il fumo e le fiamme, passò troppo vicino ai teli di iuta che si misero rapidamente a bruciare. Nel terrore generale le suore si affrettarono a portare via i bambini e noi a fatica riuscimmo a spegnere l’incendio.
Così finì quello spettacolo, e così finì la compagnia dei giovani burattinai I burattini furono riposti dentro ad una valigetta di cartone, assieme ai libretti e agli accessori per la rappresentazione, e furono presto dimenticati. Col tempo tutto è andato perso.

A noi è però rimasta un’esperienza unica e straordinaria. Ritrovarla oggi nei meandri della memoria, a distanza di oltre cinquanta anni, assume un valore ancora più grande.
Fummo coraggiosi, creativi, sfrontati e con un giusto spirito d’iniziativa. Avevamo solo 10 anni o poco di più.