ESTATE 2017Fa caldo a Porretta, tanto. La sera arriva un po’ di sollievo, ma durante il giorno il sole scotta sulla pelle e il vento brucia. C’è più gente, quest’anno: coppie giovani e bambini, bella gente, ragazzi con macchine grandi; da non credere.
La giostra, di fronte alla COOP, rimarrà fino ai primi di settembre: non è mai accaduto. Il maglioncino, quello per il fresco, l’abbiamo dimenticato nell’armadio.
Cammino per via Mazzini. E’ un po’ buio la sera, ma c’è gente: seduta ai caffè o che passeggia come me. Per una volta, vado al contrario. Mi aspetta la piazza e il negozio, come invece accade al mattino.
Un passo più in là. Basta poco per cambiare prospettiva. Un passo più in là, una piccola vertigine, e il cammino a ritroso diventa un viaggio.
Un passo più in là, una piccola vertigine, ed è quasi come scappare per un dove che non conosci. La paura ti assale, quella delle partenze: una tensione emotiva che corre nelle vene, limpida, vivida, improvvisa. Ci pensi e si apre la tua mente, altrove, dove non sei.
Il negozio è buio, le luci sono spente. Vedo la mia vetrina, le mie fotografie. Sono donne, tante, belle. Le vedo camminare come giorni prima durante la sfilata: vanitose, forse un po’ timide.
Mi volto, di fronte all’Antica Trattoria qualcuno urla. Non è una novità, ma per una volta ne rimango sorpreso. Sono ancora di fronte alla vetrina, una donna in bicicletta corre verso di me. Indossa una gonna a sbalzo.
I piedi non poggiano sui pedali. Le gambe allargate fanno rima col sorriso. E’ felice.
Faccio un passo indietro. La donna non si ferma, sembra uscire dal vetro. Adesso è in piazza con l’amica. Mi guardano.
Vorrei andare verso di loro, provo a camminare. Non capisco. Un rumore irrompe nei miei pensieri. E’ un camion di soldati americani. Il mezzo diventa più grande, invade, preclude la vista. Si ferma in piazza, assieme alle donne.
“Sono arrivati?”, mi sento domandare.
“Chi?”, chiedo.
E’ Frank che parla: “I soldati americani”. “Anche nel ’44 faceva caldo d’agosto; e loro erano qui, sulla Gotica”.
Lo diceva mio padre: “Il fango dell’inverno si era indurito”. “Le strade portavano ancora le strisce dei camion, ma la polvere rossastra svolazzava ovunque”. “Si seccava in gola”.
“Perché sono qui?”, chiesi all’amico.
“Non per noi, ma per Porretta”.
Frank mi prende sottobraccio. “Vieni”, mi dice. “Guarda!”.
Sono in tanti a uscire dalla vetrina. Lo fanno con ordine: uomini col cappello, scolaresche, villeggianti, contadini; gente di castagne, donne già mamme, ferrovieri, muratori, scalpellini.
E poi gitanti, a ridere e ballare. Rivedo la piazza, la mia piazza. Una serenità pervade i miei pensieri: tutto torna. Il tempo non scorre e diventa spazio, luogo, visione per ciascuno; ma anche storia e racconto.
Apro il negozio, prendo poche cose. Fuori Frank mi aspetta. Riguardo la piazza, la mia piazza. Provo anche un senso d’orgoglio, forse perché un po’ di vita passa anche da me. Il Resto del Carlino chiede delle immagini: le spedisco subito. Tutto fatto.
Chiudo la porta, poi il cancellino. Frank si avvicina.
“Ti accompagno per un po’”, dice.
“Hai visto?”, chiedo.
“Credo di aver visto”, mi risponde.
“Credi?”, domando incredulo.
“Accetta la vita per quello che è, anche quando ti propone dei fantasmi”, continua lui.
“Ma quelli non erano fantasmi”, affermo con forza.
“Senti che caldo?”, domanda Frank.
M’indispettisco: “Non cambiare discorso!”.
Frank diventa serio. Si ferma e mi guarda: “Anche oggi ci sono i fantasmi, pure noi lo siamo già”.
“Non ti conoscevo così”, affermo.
“Guarda come siamo cambiati”, riprende lui. “Una volta si pregava la Santa Maria, oggi a Porretta vi sono almeno tre religioni in più, e non ce ne accorgiamo”.
“Cosa vuoi dire?”, chiedo.
“Niente, che la vita si propone prima dell’idea che ci formiamo di lei”, tutto qui. “Credi che nel 1944 la gente pensasse alla guerra?”. “La viveva, ne aveva paura e si nascondeva; eppure tutto è volato via, prima che si potessero contare le ferite”.
Riprendiamo a camminare, con lo sguardo verso il basso.
“Sulla Linea Gotica combattevano tedeschi e americani, e poi inglesi, polacchi, brasiliani”, riprende Frank. “Oggi c’è gente che non sappiamo da dove viene”. “Per fortuna viviamo insieme e nessuno combatte”.
“Vuoi dire che siamo i fantasmi di noi stessi?”, chiedo.
“In un certo senso, sì”, risponde. “Guardiamo attorno a noi e la vita ci scorre di fianco, veloce, improvvisa”.
“Cosa rimane?”, chiedo.
“Questa estate calda, imprevedibile e meravigliosa; d’altri tempi, direi”. “Qui a Porretta”.
“Sono venuti per questo?”, chiedo.
“Chi?”.
“I fantasmi”, ribadisco.
“Può darsi”, dice lui. E continua: “Fa caldo, ho sete; cosa ne dici di un bicchiere di vino?”.
Proseguiamo sottobraccio per via Mazzini.
Luciano Marchi |