Racconta la Rita…Il ragù “sperimentale” della Rosita

2019/11/30, Vergato – Un’altra perla che ci dona la Rita coi suoi racconti che raccontano un’epoca.

Rita Ciampichetti – 13 agosto ·

Il ragù “sperimentale” della Rosita

Il racconto di questo mio lontano ricordo presumo che farà saltare sulla sedia animalisti e vegetariani, ma ancora oggi, a distanza di quasi quaranta anni, quando rivedo la scena non posso fare a meno di sorridere divertita.
A quel tempo mio marito come hobby faceva il tassidermista ed era molto bravo, tanto che gli portavano molti animali da imbalsamare.
Mio suocero Gino, in famiglia soprannominato “San Francesco”, invece possedeva una abilità particolare nell’allevare gli uccellini caduti dai nidi e nel curare le bestiole ferite e quindi a casa era un continuo via e vai di persone che portavano o animali morti da imbalsamare o bestiole ferite da curare. Direi molto particolare la famiglia che mi aveva accolto giovane sposa.
Un giorno si presenta un amico di mio marito con quattro scoiattoli (gôse) da imbalsamare da collocare su un tronco di albero quale decorazione per un ristorante. Quaranta anni fa erano molto diffusi, specialmente in montagna, questi “macabri” ornamenti.
Come di consueto la domenica mattina presto, di ritorno dalla prima Messa, mia suocera Rosita prese possesso della sua cucina e si accinse alla preparazione del suo mitico ragù per condire le tagliatelle del pranzo. Ben presto si diffuse per tutta la casa, dopo la prima ondata del classico odore sprigionato dal soffritto bolognese, un profumino delizioso dal tegame del ragù che sobbolliva piano piano su un lato della stufa economica. Nel frattempo la Rosita armata di mattarello tirava sul tagliere con particolare abilità e sveltezza “’na spoja d’ot ov”.
A mezzogiorno ci mettiamo tutti a tavola, la Rosita porta in tavola la terrina con le tagliatelle fumanti e come d’usanza serve per primo il capofamiglia: mio suocero Gino.
Mio suocero, affamato e con l’acquolina in bocca, dopo avere abbondantemente grattugiato un bel pezzo di parmigiano direttamente sulle tagliatelle, inizia ad arrotolarle con quel bel movimento circolare della forchetta che solo noi bolognesi sappiamo fare così bene, sta per portare alla bocca il boccone, ma si arresta con la forchetta a mezz’aria.
Inizia a scrutare meglio nel piatto ed in particolare i pezzettini di carne del ragù.
Alza la testa e guardando fisso negli occhi mia suocera le domanda: “Dì bän só Rosa, mo’ la chèren di chi pover bistiuléṅni, al gosi, in duv l’è andè a finir???” .
Mia suocera con un risolino sotto i baffi che tentava inutilmente di nascondere replica “S’a vot mai Gino , l’era sì bela e fresca che m’agraveva a cazerla in tal ròsc … e po’ la Margaretta l’ha ma det che l’è pròpi ‘na buntè …. La gôsa la magna såul d’la roba bôna … nûs, clur, castagn, giandi…”
Mio suocero furente, senza proferire parola si alzò da tavola, mentre la Rosa gli gridava dietro “Ginooooo… torna indrè… l’è ‘sta ‘n’esperiment!!!!!”.
Quella domenica, senza aspettare nemmeno il caffè, mio suocero andò direttamente al bar.
Da quel giorno, per parecchie domeniche di seguito, sulla stufa economica sobbollì solo…. la pgnàta dal brôd!!!

Rita Cianpichetti