Luciano Marchi – “Un incontro, ma anni dopo” a Vergato

NEWSLETTER DEL 06/12/2020

 UN INCONTRO, MA ANNI DOPO Porretta Terme 2020 
Frank stava in piedi, con la schiena appoggiata al muro. Guardava la piazza in silenzio, da sotto la tesa del cappello.
Pensava. Non era ancora entrato in negozio da Luciano.“Ciao Frank, che fai qui?”. “Perché non sei entrato?”.“No, niente; stavo solo pensando”, rispose.“Cosa mi hai portato oggi?”, chiese Luciano.“Niente, forse solo qualche idea”. “La guerra non è solo vita o morte, e nemmeno vinti e vincitori”. “I protagonisti hanno vent’anni e quando tornano a casa si sentono già vecchi”. “Le bombe e gli spari, la paura e la sopravvivenza, tutte queste cose insomma, consumano la vita di chi ha dovuto combattere”.
Frank non disse nient’altro. Come sempre, dopo un’affermazione, agilmente si dileguò nella piazza. 

Wetzlar, 1960 Hans stava suonando il grande organo della Cattedrale di Wetzlar.
Lo faceva spesso, durante i lunghi pomeriggi d’inverno. La musica lo riconciliava alla vita, soprattutto quando, alla fine di un “forte”, l’eco della Chiesa gli restituiva un sussurro, la sintesi delle proprie riflessioni.

Da organista consumato, amava Bach, le cui note avevano il potere di sdoppiare la sua personalità, portando a galla un altro Hans: quello col quale poteva persino dialogare.
C’era però poco da raccontarsi: era rimpatriato malvolentieri e ancora oggi, in città, si sentiva fuori luogo; come se la quotidianità civile non gli appartenesse più.



Dopo la guerra, Wetzlar era cambiata all’improvviso.
Altri giovani popolavano la “città vecchia”, quella delle case a graticcio; e lui si percepiva anziano, privato degli ardori giovanili, come pure degli amori.
Al pari di Goethe, anche lui aveva incontrato la sua Lotte, che però oggi era lontana, addirittura nel tempo, rapita da un altro. Al petto gli batteva ancora la gelosia, mai consumata peraltro. Il rivale non l’aveva conosciuto; sapeva solo che esisteva.
E Bruna non sarebbe mai stata sua. 

Vergato, inverno 1944 Hans era un ufficiale della Wehrmacht e nel ’44 prestava servizio a Vergato, sulla Linea Gotica.

Il paese, trovandosi in prima linea, mostrava le ferite del conflitto e molti edifici erano andati distrutti per via dei bombardamenti alleati.
Quello dell’agosto ‘44 aveva fatto crollare la parrocchiale, della quale rimaneva in piedi il solo campanile.
Le celebrazioni liturgiche si tenevano nell’androne di una casa, che Hans, da fervente cattolico, frequentava regolarmente.Vi si recava da solo, attraversando strade di fango, irrigidito nella sua divisa. Non aveva paura di essere aggredito, perché la guerra era lì, a portata di mano; e tutti pensavano più a sopravvivere che non ad aggredire.

Certo, l’uniforme restituiva imbarazzo: a lui e agli altri; ma non vi era tempo per quelle cose. A breve gli alleati avrebbero spazzato via tutto, come un fiume in piena; e di Hans non si sarebbe ricordato più nessuno. Forse.
Già, perché lui era il tedesco buono, quello che aiutava tutti. Durante un’omelia, nella casa adibita a Chiesa, il Sacerdote disse: “La Misericordia glorifica il Signore”; e lui si riconobbe in quelle parole, quasi con soddisfazione.



C’era dell’altro, però. In un angolo della casa-culto trovava spazio un piccolo organo a pedali.
Una Domenica, a fine celebrazione, Hans oltrepassò i fedeli che stavano uscendo e si mise alla tastiera.Con i piedi gonfiò i polmoni dello strumento e fece uscire le prime note. Alcuni fedeli si voltarono incuriositi, mentre una giovane donna ripercorse il locale a ritroso, per sentire meglio.
Quando l’esecuzione finì, Hans si alzò in piedi, fece il segno della croce, e si trovò di fronte quegli gli occhi neri di ragazza che aveva osservato da tempo.
I due si scambiarono un sorriso, uno di quelli intrisi di complicità, un apostrofo dolce che già apriva l’anima ai sentimenti, al desiderio, alla voglia reciproca.
La ragazza si chiamava Bruna. Hans l’aveva capito ascoltando i fedeli, a fine Messa. Del resto, i due non ebbero mai modo di parlare tra loro. Col tempo si erano solo accorciate le distanze e infittiti gli sguardi.
Un giorno, la giovane donna si sedette sulla panca di fianco al suo Hans, proprio mentre questi suonava. Da quel momento, nacque una coppia: non per come noi la intendiamo, ma per il fatto di palesarsi agli sguardi, alla comunità.
Ed erano belli, i due; anche visti di spalle: lui alto, biondo, robusto; lei minuta, ben fatta, con la schiena a incurvarsi dove lo sguardo avrebbe voluto.
 
Aprile 1945 Quel giorno se lo aspettavano tutti: gli alleati avevano iniziato l’offensiva. Il disordine era assoluto. Si sentivano degli spari e ovunque erano grida. Gli ufficiali tedeschi impartivano ordini continui, per facilitare la fuga; mentre si diceva che alcuni americani fossero già entrati in paese.
Hans e i suoi uomini li stavano cercando, prima di iniziare la ritirata anche loro.



Dei colpi d’arma da fuoco giunsero dalla casa-culto, che in un attimo venne circondata dai soldati della Wehrmacht. Furono istanti tesi, di terrore.
I fucili spianati puntavano verso la casa e si aspettava: una parola, un ordine, qualcosa.
Dalla porta principale uscì Bruna, in lacrime. Tre le mani aveva un fazzoletto, che portava spesso alla bocca. Cercò subito gli occhi di Hans. I due si guardarono a lungo e lui comprese.“Andiamo via”, disse. “Ritiriamoci anche noi”. 

Aprile 1960 Il viaggio era stato lungo, estenuante. Da Wetzlar fino a Francoforte, poi da lì un altro treno fino a Bologna. Tra poco sarebbe arrivato a Vergato e si domandava ancora perché avesse desiderato ritornare.
Più volte si era risposto che forse avrebbe ritrovato la sua dimensione, il senso della vita: riiniziando dai vent’anni, quelli occupati dalla guerra.
E poi c’era Bruna, che non vedeva dal giorno della ritirata.
Chissà.



Vergato era cambiata, molto; ma non tanto quanto Wetzlar. Ne riconosceva la struttura, le case, persino qualche volto gli appariva conosciuto.
La casa adibita a Chiesa era diventata un’abitazione normale e una nuova Parrocchiale sorgeva poco distante dalla stazione ferroviaria.
Entrò. La costruzione era moderna, ma con un’impronta tradizionale, a tre navate. Fece il segno della croce e andò a sedersi in una delle prime panche. Cercò un organo, che non riuscì a trovare, almeno a prima vista.Chiuse gli occhi e iniziò a pregare.

Pensò a Bruna, alla guerra, e a quante volte nella vita aveva dovuto fare i conti con una controparte, diversa per definizione: i nemici, i civili, gli amici protestanti di Wetzlar.
Forse a questo era dovuto il suo senso di inadeguatezza: non riusciva più a cucire la realtà, a tenerla insieme, rendendola così plausibile, sostenibile.

Un altro uomo si sedette al suo fianco, parlava inglese.“Anni addietro lei mi ha salvato la vita”, disse. “Grazie”.
Hans capì chi fosse e continuava a guardarlo.
L’americano continuò: “ Ci avevate circondati, per noi era finita”.“Il merito è di Bruna”. “Lei ha voluto così”, precisò Hans.“Già, Bruna”, continuò l’altro, “Per giorni non ha fatto altro che parlare di lei”. “Le voleva bene e forse anche oggi è così”.
Hans si alzò in piedi e altrettanto fece l’americano. I due si strinsero la mano e finirono per abbracciarsi.



La guerra, quella finita, ricordava anche queste storie.
Bruna, forse, osservava la scena da lontano. E dopo? Meglio lasciare le cose così come stanno, perché ognuno possa aggiungere il proprio finale. Un’immagine sola deve rimanere nella nostra mente: ed erano belli, i due; anche visti di spalle; lui alto, biondo, robusto; lei minuta, ben fatta, con la schiena a incurvarsi dove lo sguardo avrebbe voluto.
                                                                              Luciano Marchi
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