Rita Ciampichetti: Echi di Capodanni lontani

2022/01/01, Vergato – Ritorna Rita Ciampichetti con i racconti delle nostre tradizioni. Un “banca” dei ricordi che ricostruisce un mondo “andato” e non per colpa della pandemia…

Echi di Capodanni lontani

Quando abitavamo in Via Minghetti a Casa Gentilini, circa quei cinquantacinque anni fa, la sera del 31 Dicembre la mamma, prima di andare a letto, saliva su una sedia e svitava un po’ il coperchio di metallo del campanello posto in alto sopra la porta affinché la mattina dopo non suonasse con tutti i decibel a disposizione, ma esalasse un tenue trillo appena udibile da chi era ancora a letto a dormire.

Rita e genitori nel 1994. Fotogramma dal video di Graziella Brascaglia.

Dal mio letto, la mattina presto del 1° Gennaio, sentivo i miei compagni di gioco Stefano e Giovanni Maldina che puntuali come la messa si precipitavano  vocianti giù per le vecchie e ripide  scale del palazzo per il  consueto giro di auguri di Buon Anno alle famiglie.

Per accordi presi precedentemente da noi sarebbero passati più tardi dopo avere fatto il loro giro dei conoscenti e no del paese.

Solitamente, pensando all’usanza, mi saliva un po’ di rabbia provocata dal sentimento di profonda ingiustizia derivante da una tradizione tipicamente maschilista e soprattutto dal pensiero che nel tardo pomeriggio Stefano e Giovanni avrebbero mostrato con orgoglio a me e alla mia amica Flaminia il gruzzoletto di soldini raccolti grazie agli auguri elargiti e ci avrebbero inevitabilmente preso in giro dicendo “Voi femmine non potete fare gli auguri, solo noi maschi!”.

Come se non bastasse mia  mamma, ferrarese ed appartenente alla serie “Non è vero.. ma ci credo”, alla mattina del 1° Gennaio apriva con circospezione gli scuri delle finestre e guardando titubante giù nella strada sperava che la prima persona vista fosse di  genere maschile, in caso contrario rientrava scossando la testa presagendo il verificarsi di chissà quali sfortune durante l’anno appena iniziato, come pure era severamente vietata qualsiasi visita in casa da parte di parenti femmine o amiche anche solo per chiedere in prestito lo zucchero perché una donna in casa il primo gennaio porta sfortuna.. come per i marinai dell’ottocento una donna su una nave!

Dopo sposata invece il primo giorno dell’anno a casa nostra mia suocera Rosita si alzava presto per andare alla prima Messa e rientrata tirava fuori dal comò la tovaglia ricamata ad intarsi e la stendeva sul tavolo della sala, rinfrescava dalla polvere i piatti ovali da portata del “servizio bello” Richard Ginori, quello con il bordo in oro zecchino e sopra disponeva in bell’ordine fette di crescenta dall’uva, di certosino, di panone di Natale, rombi di torta di riso con accanto i vassoi con i bicchieri splendenti di cristallo capovolti e le diverse bottiglie di liquore, rosolio, spumante, in cucina invece preparava  la moka grande con il relativo servizio da caffè nel caso venisse preferita questa bevanda  dai diversi ospiti, ovviamente maschi,  che nel corso della giornata sarebbero venuti a fare i graditissimi  auguri di buon anno e si sarebbero fermati qualche minuto a fare quattro chiacchiere in compagnia.

Gli uomini di casa, mio marito e mio suocero Gino, a loro volta uscivano per gli auguri a parenti ed amici e ritornavano solitamente per l’ora di pranzo abbastanza allegri e di buon umore per i numerosi brindisi fatti ed ai quali era severamente vietato sottrarsi.

Ma perché  primi auguri di Buon Anno devono essere fatti da un maschio perché siano di buono auspicio?

Mossa dalla curiosità ho fatto sull’argomento diverse ricerche, trovando pochissime spiegazioni e molte supposizioni. Quella che mi è piaciuta di più è che una volta, come d’altronde anche ora, il  “cambio di anno” era visto come un momento di mutamento reale e di speranza in una vita migliore per se e per la propria famiglia. A quei tempi in una condizione di particolare disagio erano le donne senza marito che non riuscivano a trovare un buon partito con il quale accasarsi e la possibilità di ricevere a casa, il primo giorno dell’anno,  la visita di diversi uomini per gli auguri, avrebbe dato loro la speranza di sposarsi.

Oggi è  ultimo giorno, per me, di un “annus horribilis”  e comunque, per la maggioranza di noi, il 2021 è stato un altro anno di restrizioni dovute alla pandemia che non accenna a demordere.

Con nostalgia non posso fare a meno di ricordare i passati ultimi dell’anno: quelli pieni di gioia di vivere e divertirsi della gioventù, gli storici veglioni di fine anno organizzati dalle Associazioni del paese, ricordate quelli che si svolgevano presso la bocciofila e dopo dagli Alpini o presso il Centro Polivalente? Riunivano buona parte dei paesani e si trascorreva una piacevolissima serata mangiando piatti squisiti, chiacchierando e ballando.

Purtroppo questa sera non ci ritroveremo nemmeno tutti assieme a casa dei miei a giocare a carte aspettando la mezzanotte e, come da tradizione famigliare, non mangeremo per buon auspicio sette tipi diversi di frutta secca compreso il dattero di cui conserveremo il nocciolo buttando quello vecchio dell’anno precedente fuori dalla finestra. La mancanza di papà è troppo recente per avere voglia di fare festa.

Penso che come me la maggioranza di noi questa sera ripenseranno a festeggiamenti lontani di felici San Silvestro e riudiranno gli echi di fuochi artificiali e lo scoppiettio dei petardi, di folle festanti ai concerti nelle piazze delle città, di tappi di spumante che saltano, di musiche da ballo, di baci e abbracci allo scoccare della mezzanotte per dare il benvenuto ad un anno nuovo che, essendo ancora carte bianca da dipingere, vorremmo coprire con i colori più sgargianti e felici.

Mi torna alla mente il “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” scritto dal Leopardi, dove il poeta scrive appunto di una conversazione avvenuta in strada tra un passante che chiede ad un venditore di almanacchi e lunari se, a suo parere, l’anno nuovo sarà felice. Il venditore risponde “Certamente!” ed inizia tra i due uno scambio di battute.

Il venditore sostiene che la vita è bella, ma sollecitato dal passante,  è costretto ad ammettere che non ci sono nella sua vita trascorsa tempi felici, anni a cui vorrebbe somigliasse l’anno venturo. Alla fine il passante  giunge alla conclusione che la felicità consiste nell’attesa di qualcosa che non si conosce, nella speranza di un futuro diverso e migliore del passato e del presente:

“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”.

Confidiamo allora che il 2022 sia un anno migliore per tutti noi, che possiamo ritornare al più presto ad uno stile di vita  ormai quasi dimenticato, che la serenità allieti nuovamente il nostro spirito e che  la serata del suo ultimo giorno sia allietata da assordanti rumori di festa e felicità e non solo da echi di capodanni lontani.

Buon Anno a tutti voi e alle vostre famiglie.

Rita Ciampichetti

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