Vittorio Sgarbi svela la Rocchetta “mai vista” del conte Cesare Mattei a Riola

2022/01/03, Vergato – Per la seconda volta il notaio di Vergato, Mario Esposto, porta il prof. Vittorio Sgarbi in Appennino. Lo abbiamo incontrato il 16 gennaio 2020 a Vergato, una visita “trionfale” con persone che si aggiungevano al seguito, passo dopo passo. Un’incursione nel Palazzo Comunale con le vetrate e il MuseOntani, la Casa del maestro scalpellino e scultore Alfredo Marchi, un salto nella Chiesa parrocchiale a scoprire opere di pregio sfuggite ai più, e la “super contestata” Fontana del maestro Luigi Ontani… poi via per la Casa Morandi a Grizzana e infine a Porretta Terme.

La visita alla vigilia di Natale 2021 ha come centro di riferimento Riola (di Vergato e di Grizzana Morandi) vista la collocazione geografica. Lo ha seguito una telecamera… quella di Luciano Piacenti, l’occhio dell’Appennino!

La visita alla Rocchetta “mai vista” chiusa al pubblico in attesa del restauro. Attualmente, messa in sicurezza, mostra tutta la sua bellezza nelle sale e corridoi… da vedere!

Nel video che segue invece la parte del castello aperto al pubblico.

Scrive Vittorio Sgarbi;

Ho qualche dubbio che Giorgio Morandi, il cui cognome aggiunge la sua gloria a Grizzana, il paese dove passo’ le sue ultime estati, abbia mai visitato Rocchetta Mattei, la maggiore attrazione di quei luoghi.

Due mondi: quello discreto, umile, riparato della casa, di recente costruzione, del pittore, con gli umili fienili del Campiaro; quello esotico, onirico, magico del castello che il medico, politico e conte, Cesare Mattei volle costruire alla metà’ dell’Ottocento per vivere in un sogno come agli uomini non è’ consentito, e ai sognatori spesso impedito dalle circostanze o dalla brevità della vita.

A Mattei riuscì. Una lapide all’entrata lo ricorda:

«Il Conte Cesare Mattei – sopra le rovine di antica rocca – edificò questo castello dove visse XXV anni – benefico ai poveri – assiduamente studioso – delle virtù mediche dell’erbe – per la qual scienza ebbe nome in Europa – ed era cercato dagli infermi il suo soccorso – Mario Venturoli Mattei – compié l’edificio – e secondo il voto di lui – nel X anno dalla morte – ne portò qui le ceneri – con amore e riconoscenza di figlio – il III Aprile MCMVI».

All’ arrivo, per me un ritorno, sollecitato da un amico di raro ingegno, il notaio di Vergato, Mario Esposto, liberale costretto a esercitare in uno studio in via Enrico Berlinguer, mi accoglie il sindaco Franco Rubini con due gentilissime assessore e direttrici, Stefania Fabbri e Stefania del Moro ,il vicesindaco Virginia Laffi, e Debora Sabattini, che si dividono, deliziate, tra Morandi e Mattei, e sono premiate da una presenza creativa che sembra prolungate il sogno orientale della Rocchetta: Luigi Ontani, artista elegantissimo e turbato, partito bambino per le Indie lasciando a Vergato un suo fedele creato, lo scultore Alfredo Marchi.

Su entrambi vigila, numen loci, Stefano Pozzi.

Il Natale e la temporanea chiusura dell’edificio rendono la visita, sotto la scorta dei carabinieri, un rito propiziatorio per un futuro florido come furono i tempi mitici della improvvisa invenzione di un Oriente magico: nella sala delle visioni, dopo un cammino esperienzale, tra diversi stili, sulla volta, una fantasia allegorica rappresenta la nuova scienza omeopatica che vince la vecchia medicina.

Due distici dell’abate Giordan, amico del Mattei celebrano la vittoria:

“Finxerat. Haec. Deus. Huc Immissa. Luce. Superne Signavitque. Umbras. Lumine. Ducta. Manus Hisce. Nova. Ex. Herbis. Mundo. Medicina. Paratur Hinc. Vetus. Ella. Fugit. Victima. Strata. Jacet.”

La scala conduce alla sala inglese sul torrione principale.

Ritornando nella Loggia Carolina si passano la camera bianca e la camera turca. Dopo un breve tratto di roccia scoperta, rupe e balcone allo stesso tempo, si attraversa il cortile dei Leoni, riproduzione del cortile dell’Alhambra di Granada.

A lato vi è l’ingresso in un ambiente che sovrasta l’interno della chiesa del castello. In un’arca rivestita di maioliche della manifattura Minghetti di Bologna si trovano le spoglie di Cesare Mattei.

L’arca non riporta alcun nome, ma soltanto l’iscrizione :

”Anima requiescat in manu dei” e la lunga didascalia :”Diconsi stelle di XVI grandezza e tanto più lontane sono che la luce loro solo dopo XXIV secoli arriva a noi. Visibili furono esse coi telescopi Herschel. Ma chi narrerà delle stelle anche più remote: atomi percettibili solo colle più meravigliose lenti che la scienza possegga o trovi? Quale cifra rappresenterà tale distanza che solo correndo per milioni d’anni la luce alata valicherebbe? Uomini udite: oltre quelle spaziano ancora i confini dell’Universo!”

Ritornando al cortile dei Leoni si entra nella sala dell’oblio, a me cara, nella camera gialla, nel salone della pace, in omaggio alla fine vittoriosa della Grande Guerra, con un lampadario d’alabastro in forma di prepuzio, nella sala rossa, studio del conte, e nella sala della musica, prima di accedere alla chiesa, dalle volte vertiginose, a imitazione della cattedrale di Cordova.

Accanto alla chiesa si trova il salone dei novanta, dove il conte Mattei aveva previsto un banchetto di nonagenari. Morì prima che la stanza fosse compiuta dal figlio adottivo Mario Venturoli Mattei. Nella memoria le sale si susseguono come in un labirinto, tra ambienti restaurati e altri in abbandono. Naturalmente i più’ memorabili sono quelli non restaurati, inghiottiti dal tempo, ma luminosi sotto la polvere, nella dimensione di cio’ che sono stati o che potevano essere, come la stanza Bianca, con un’alcova di pietra, preparata per il Papa che non vi venne mai. La suggestione di un mausoleo ha la loggia Carolina, vivida di pietre dipinte e di grate per filtrare la luce.

E come una apparizione, in una stretta stanza disadorna, e’ il camino, in ceramica liberty, nel gusto di Galileo Chini, detto dei fenicotteri. Tutto e’ in armonia e si conviene ai sogni, perfino la limonaia liberty, o i rari pezzi originali di riuso, come il camino seicentesco in marmo rosso di Verona, montato a portale nel cortile centrale, o i telamoni wiligelmici a sostenere un arco moresco, o il balcone sovrastante, con le due mensole gotiche provenienti da un monumento funebre della scuola di Jacobellis e Pier Paolo delle Masegne. Si tratta di una invenzione visionaria che interpreta il sogno d’Oriente di Mattei, più come un’ opera letteraria che come un architettura. Nessun disegno o progetto sono giunti fino a noi e nessun nome di costruttore o di architetto. Sappiamo soltanto che il conte trasferiva le sue idee progettuali e decorative al pittore e scenografo Giulio Cesare Ferrari che le traduceva in disegni, con il capomastro in cantiere Sabbatone Mazzini di Labante.

Nei nomi c’è il destino. Prima dell’ultimo faraonico impegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, il castello fu venduto a Elena Sapori, moglie di Primo Stefanelli, un commerciante di Vergato detto “il Mercantone”. La famiglia Stefanelli, al fine di renderlo una produttiva attrazione turistica, lo modificò con un falso pozzo rasoio e fittizie prigioni in stile medioevale, trasformandolo in albergo e ristorante, e privandolo quindi della sua gratuita e assoluta inutilità. Il “mercantone” era comunque orgoglioso di possederlo non meno, anni dopo, di Mario Facci di studiarlo.

Il sogno continua… (segue da La Scola e Montovolo)… prossimamente!

Testo a cura di Vittorio Sgarbi, che ringraziamo per averci autorizzato la pubblicazione.

Ogni riproduzione anche parziale del testo, con qualsiasi mezzo, è vietata senza autorizzazione dell’autore.

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