Rita Ciampichetti – La Brigida, cap. 3: Una mattina l’Elide aveva provveduto con il consueto scrupolo ad allattare
2024/07/29, Vergato – La Brigida – Capitolo 3: Voglia di fragola. Un racconto “lungo” di Rita Ciampichetti.
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Una mattina l’Elide aveva provveduto con il consueto scrupolo ad allattare e a cambiare la bambina quando questa la guardò e sorrise. Più volte la mamma aveva notato quando dormiva o la allattava delle smorfie che potevano essere paragonate al sorriso, ma questo le sembrò diverso, le parve consapevole. Che la piccola avesse proprio intenzionalmente sorriso alla sua mamma?
Quando iniziano a sorridere con cognizione i neonati? L’Elide non lo sapeva, ma senz’altro dopo qualche mese, mentalmente fece il conto di quanto tempo era passato e si rese conto che erano già trascorsi più di trenta giorni da quella notte di tregenda.
Collegò a questo pensiero quello che aveva detto il dottore ed iniziò ad andare in ansia, il periodo da temere per eventuali complicazioni era proprio quel mese lì.
Tenne per sé questo timore ripromettendosi di parlarne quanto prima alla Natalina.
Con la Cesira era riuscita a concordare un modus vivendi, anche perché supportata dalla Natalina, i cui sguardi fulminanti avevano il potere di paralizzare qualsiasi protesta da parte della Cesira e ovviamente da suo marito Amerigo.
A questi validi alleati si era aggiunto anche Adolfo che dopo quello stop così deciso dato alle proteste della Cesira aveva riadottato il suo solito comportamento mite e sottomesso, ma era riuscito comunque a fare intendere a sua moglie che era pronto a buttare fuori il brutto se la situazione lo richiedeva.
Dovendo stare sempre in cucina l’Elide si fece carico del mangiare e delle pulizie, mentre la Cesira si occupava di tutte le attività esterne di cura dell’orto e degli animali.
Così la convivenza fra suocera e nuora diventò accettabile anche se la Cesira non mancava di sottolineare quanto Elide fosse esagerata e apprensiva nella cura di sua figlia per la quale non abbassava mai il livello di attenzione nemmeno quando dormiva.
“La stà sànpcr con gl’óc’ adòs a c’la cinna, Al gêva me … secca cumpâgn un bachètt, la fât un fiôl cl’è pió cinén dal cunén aróst ca fag par la Festa e po’ par zónta fammna. Ai vól di màsti par fer andèr la baràca!” disse un giorno che era andata alla bottega della Peppina a comprare lo zucchero con le altre clienti del negozio.
Mal gliene colse perché la Fernanda, la figlia della Peppina che era amica dell’Elide, le rispose a tono: “Certo Cesira che se la mandavate un po’ meno a prendere l’acqua nel pozzo, forse l’Elide riusciva a finire la sua gravidanza!”
“Dû mes prémma o dû mes dåpp la srê stat semper fammna!” rispose piccata e preso il suo cartoccio di zucchero uscì impettita dal negozio.
Il Natale si stava avvicinando, i Veggetti avevano già ammazzato il maiale ed erano stati giorni di grande fermento e lavoro sia nell’aia che in cucina e quindi anche l’Elide era stata molto impegnata per la cottura di quelle parti del generoso animale che si mangiano subito dopo la macellazione perché non si conservano come il sangue fritto, il fegato avvolto nella rete, la polenta condita con le frattaglie.
Grazie al cielo quella settimana era conclusa e appesi in cantina ad asciugare e stagionare penzolavano i vari salumi insaccati e le vesciche di strutto, il lardo e la pancetta erano stati salati, mentre su una mensola della parte più fresca della cantina la Cesira aveva sistemato le lonze, gli zampetti e le costoline che avrebbe utilizzato per le preparazioni natalizie, ad esempio la lonza per fare il ripieno dei tortellini. Ovviamente la proprietà aveva preteso la sua parte di maiale.
Si respirava già l’aria festosa del periodo natalizio quando una notte l’orecchio sempre all’erta dell’Elide percepì una variazione nella respirazione della bambina,
Scattò immediatamente su dal materasso, si avvicinò alla cassetta dove dormiva ed in effetti si rese conto che respirava con un certo affanno.
Svegliò all’istante Amerigo e spaventata gli disse di andare immediatamente a chiamare il dottore.
Per l’Elide il tempo percepito da quando sentì la Gilera partire scoppiettando a quando vide il dottore entrare dalla porta di casa fu infinito, lo passò piangendo, cercando di tenere sollevata la bimba per farla respirare meglio e pregando, sentendo il trambusto uno alla volta tutti scesero dalle camere e la guardavano in silenzio non sapendo cosa fare.
Finalmente il dottore arrivò e visitò accuratamente la neonata, poi si rivolse all’Elide e le disse: “Fortunatamente non è una crisi respiratoria o una bronchiolite come temevo, il respiro rumoroso che senti è dovuto al nasino chiuso, probabilmente si è presa un po’ di raffreddore. La cura che ti prescrivo non è a base di farmaci, ma di lavaggi nasali con soluzione salina e umidifica l’aria facendo bollire l’acqua. Domani mattina ti mando su la Natalina che ti insegnerà come fare i lavaggi nasali”.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, tranne l’Elide che viveva sempre in quello stato di perenne ansia per la figlia.
Al mattino presto arrivò subito la Natalina con una bottiglia di acqua fisiologica e le fece vedere come fare, pesò anche la piccola e sorridendo disse all’Elide: “Questa tua figliola vedrai che diventerà forte come un torello. Cerca di essere ottimista e tutto andrà per il meglio”.
Passarono le feste di Natale, venne Gennaio e passò anche il periodo in cui sarebbe dovuta nascere quella bambina che invece compiva già i due mesi di vita.
Aveva iniziato a sorridere a tutti quelli che le sorridevano e a fare i primi gorgheggi. Le guance erano diventate paffutelle e fu proprio la Cesira che un giorno guardandola in viso esordì dicendo: “Mo côsa l’è cla brótta macia in t’la faza dla Leonia?”
L’Elide e Adolfo che erano lì in cucina si chinarono a guardare e l’Elide disse che l’aveva notata, ma che pensava che fosse una cosa temporanea della pelle e che crescendo sarebbe andata via.
Adolfo invece si chinò più volte per guardarla meglio e poi grattandosi la testa disse fra sé e sé: “Guèrda te che fåta ròba! Al pèr inpusébbil! Pròpri acsé prezîsa a quella d’mi ziénna Brigida! L’era la surèla pió cinénna d’mi pèder, un sbanderen ed dòna con la tèsta, l’éra acsé inteligiänt ch’an i é dóbb. Sovra la ganàsa déstra, l’aveva ‘na vójja ‘d frevla cumpàgna un côr cinén. ‘Sta patoza l’è pròpi ‘na Veggetti!”
L’Adolfo si lasciò andare a raccontare le vicende di questa straordinaria zia così come le aveva sapute da suo padre, perché non l’aveva mai conosciuta.
La Brigida era l’ultima di una nutrita schiera di fratelli e sorelle e aveva dimostrato fin da piccola un carattere forte e volitivo tanto da averla spesso vinta sui fratelli maggiori, ma sapeva ottenere quello che desiderava con tanta simpatia e grazia da non destare nessun rincrescimento. Era molto bella e quella piccola voglia di fragola a forma perfetta di un cuoricino sulla guancia destra anziché deturpala conferiva un che di grazioso e civettuolo al suo bel viso.
A sedici anni si innamorò di un giovane calzolaio, quegli artigiani che andavano in giro in giro per le case dei contadini e si fermavano anche una settimana per aggiustare o fare nuove scarpe.
Anche lui era un ragazzo bellissimo, dalla parlantina sciolta ed incantava quando alla sera nella stalla, mentre con la lesina bucava la pelle e faceva scorrere il filo al suo interno per cucirla attorno alla tomaia, raccontava cosa aveva visto nel suo peregrinare di casa in casa e le novità della città.
Naturalmente i genitori non vedevano certo di buon occhio una unione simile, ma la Brigida non diede ascolto a nessuno e quando il calzolaio partì scappò con lui e fece perdere le sue tracce.
Le ricerche non diedero nessun risultato ed i famigliari con il passare del tempo le abbandonarono confidando in Dio che a quella figlia non fosse successo nulla di grave.
Fu solo dopo quasi dieci anni che arrivò una lettera della Brigida nel quale raccontava che con il calzolaio era partita da Genova per l’America e che una volta arrivati avevano deciso di continuare la loro avventura verso l’Ovest del paese dove c’erano prospettive di sviluppo perché c’erano territori da conquistare.
Aveva dovuto vedersela con Indiani, fuorilegge e banditi disposti a tutto, ma ora stavano bene perché in una di queste cittadine appena fondate avevano aperto un grande emporio e un commercio di pellami e stavano facendo dollari a palate, dentro alla busta c’era anche una fotografia dove era ritratta con una bambina in braccio con il bel calzolaio, mentre lui teneva la mano appoggiata sulla spalla di un maschietto.
Adolfo disse che per un po’ continuò questa corrispondenza ed anche qualche aiuto economico, ma poi, morti i vecchi, le notizie si diradarono fino a cessare completamente.
Poi si mise a ridere e disse: “Avî anc vó la zia d’America! E al po’ eser che ‘sta vójja ‘d frevla la porterà furtonna anc a la nostra patoza”.
“See, la furtóṅna dal putèni!”, mormorò sottovoce la Cesira, ma tutti stavano commentando il racconto tra di loro e nessuno le badò.
Da quel giorno Adolfo iniziò a chiamare la Leonia Brigida.
L’Elide che fino ad allora, non piacendole molto il nome Leonia, continuava ad apostrofare la bimba con vezzeggiativi tipo “Amore della tua mamma” “Ciccina” “Tesoro” e così via, non disdegnò il nome Brigida, perché le ricordava una suora dell’orfanotrofio che le aveva dimostrato un po’ di affetto consolandola nei momenti più tristi.
Quindi, dopo qualche mese di utilizzo del nome Brigida da parte di quasi tutti i famigliari, il primo nome, Leonia, venne a tutti gli effetti sostituito da questo, come spesso capitava in quegli anni quando ufficialmente veniva assegnato un nome, ma quotidianamente se ne preferiva un altro.
…continua…
Rita Ciampichetti, 2024
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