Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.13: La Cesira ignorava che Amerigo non aveva nessuna intenzione di avere altri figli
2024/09/05, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 13 – Tempo di Natale e di una cicogna in sospetto anticipo
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Arrivò il periodo delle feste: Natale, Capodanno, l’Epifania e l’atmosfera diventò allegra e laboriosa per i preparativi, niente di particolare rispetto alle mille luci e alle vorticose attività di oggi, in quegli anni il Natale aveva il calore del fuoco, il profumo di ginepro, delle crescente dall’uva cotte nel forno e la lentezza delle nenie suonate dagli zampognari.
Era un Natale religioso per festeggiare la nascita di Gesù, Salvatore del mondo e quindi celebrato in tal senso, si andava tutti alla Messa di mezzanotte, i bambini recitavano il sermone fatto imparare da nonne e mamme davanti al presepe, quando si usciva ci si scambiavano gli auguri e si tornava a casa in santa pace.
Qualche mese prima Amerigo aveva scelto un grosso tronco, uno di quei ciocchi dell’estremità inferiore di un albero divelto con anche parte delle grosse radici e l’aveva messo ad asciugare nel fienile. Sarebbe stato poi collocato nel camino il giorno della Vigilia per bruciare con una lenta fiamma per tutto il giorno di Natale, per quello di Santo Stefano ed anche nei giorni seguenti fino a completa consumazione.
Si narrava di ciocchi di Natale che avevano resistito fino al giorno dell’Epifania.
Adolfo invece era andato nel bosco, aveva tagliato un ginepro che era stato addobbato con semplici cose: nastri fatti con ritagli di stoffa colorata, la carta stagnola conservata da qualche cioccolata regalata alla Brigida dalla Natalina, piccole mele invernali legate per il picciolo, fichi secchi e noci.
Sotto al ginepro era stato fatto il presepe, una capanna realizzata con la corteccia era stata appoggiata sopra un prato di soffice muschio, poche ed essenziali antiche statuine di terracotta: la Madonna con San Giuseppe, il Bambino, il bue, l’asinello, i Re Magi, un pastorello con tre pecore, una donna con una brocca in testa ed un pastore addormentato, un pezzetto di specchio era stato posizionato in modo da sembrare un piccolo laghetto.
La Brigida passò buona parte di quei giorni a giocare con il presepe, cambiando decine di volte posizione ai vari personaggi, alla fine mise anche un piccolo pezzetto di stoffa sopra a Gesù perché secondo lei aveva troppo freddo così nudo.
Volle fare anche un piccolo alberello di Natale nella stalla e pestò i piedi fino a quando Adolfo non l’accontentò portando a casa un gineprino piccolo che la bimba provvide ad adornare con quello che trovava.
“L’onnic sit con l’älber ‘d Nadèl in tla stàla! A m’arcmand Dolfo acuntintèla semper in tott quall cla dmanda la Brigida!” brontolò la Cesira, ma la Brigida l’ebbe vinta, trovava inconcepibile che nella stalla non ci fosse nessun addobbo per le feste e fino a quando non fu accontentata non mollò il nonno che alla fine si arrese: “Te po’ ‘na bela tariega la mi patoza!”.
Per il periodo natalizio ritornò a casa anche Carlino che avrebbe raccontato come era la vita a Torino, animando le lunghe serate invernali e le veglie dai vicini.
La Brigida mantenne la promessa vegetariana fatta, ma con la testardaggine che ormai dimostrava in più occasioni non lasciava alcun dubbio.
L’unica ciccia che mangiò, ovviamente a sua insaputa, fu quella camuffata nel ripieno dei tortellini perché a quell’età ignorava ancora gli ingredienti, ma guardò inorridita il resto dei commensali che gustavano la gallina che aveva fatto il brodo e il coniglio arrosto.
Quando la Brigida ne aveva voglia l’Elide l’allattava ancora e questo succedeva di solito alla mattina quando si svegliava, al pomeriggio per la merenda e alla sera prima di addormentarsi.
“’Sta patoza av surcèrà anc l’ânma Elide! A sî semper piò sacca, al srè ora ‘d pinsèr ad un èter fiol e sperèr c’al sia mâsti!” commentò una sera la Cesira mentre l’Elide stava dando il latte alla Brigida, Amerigo intento a giocare a briscola con suo padre contro Berto e Carlino, si girò e le rispose lapidario: “Per ora va bene così!”.
La Cesira ignorava che Amerigo non aveva nessuna intenzione per il momento di avere altri figli, il pensiero di vedere di nuovo soffrire l’Elide non lo poteva tollerare, perciò metteva in atto tutte le precauzioni perché un eventuale concepimento non avvenisse ed aveva trovato validi consigli e gli opportuni sistemi dal suo amico il farmacista.
Carlino si trattenne fino a Capodanno, tutti ormai sapevano che il figlio più piccolo dei Veggetti a Torino era diventato un tecnico esperto di radio ed anche di televisione.
Dal 1954, anno di inizio della prima trasmissione ufficiale, l’apparecchio televisivo aveva iniziato a diffondersi anche in quella zona e a trovare collocazione privilegiata presso le famiglie più facoltose del paese che potevano permettersi di sostenere il costo di acquisto di quel bene non certo indispensabile, però qualche proprietario di bar o locale pubblico aveva intuito che quello strumento poteva diventare una attrazione per richiamare più clienti. Le trasmissioni non coprivano tutto l’arco della giornata: iniziavano alle 17:30 con la Tv dei ragazzi che durava un’oretta, poi riprendevano alle 20:45 per finire circa alle 23:00.
Proprio nel mese di novembre del 1955 era iniziata una trasmissione dal titolo “Lascia o raddoppia”, era un gioco a quiz condotto da un giovane presentatore di nome Mike Bongiorno che nel giro di poche puntate aveva conquistato tutto il favore del pubblico diventando popolare a livello nazionale.
In paese il proprietario del bar Centrale aveva pensato bene di installare il televisore ed effettivamente nella serata di trasmissione di questo primo telequiz vedeva il suo locale riempirsi di persone, addirittura intere famiglie che si portavano la sedia anche da casa e che per disobbligarsi acquistavano qualche consumazione: un bicchiere di vino, un caffè, l’aranciata o il gelato per i bambini con un incremento considerevole degli incassi.
Purtroppo quel 31 dicembre 1955 l’apparecchio televisivo del Bar Centrale sembrava non avesse intenzione di funzionare e il proprietario stava già per “cazèr al brègh in vàtta ai cópp” quando qualcuno gli suggerì di chiamare Carlino Veggetti il quale riuscì a salvare la serata e a far vedere alla gente in trepida attesa quella puntata di Lascia e Raddoppia, rimettendo in funzione il capriccioso apparecchio grazie fortunatamente al fatto che si portava sempre dietro gli attrezzi del mestiere assieme a qualche valvola nuova.
Da quella volta lì tutte le volte che tornava a casa e la gente lo imparava non mancava che fosse impegnato in qualche intervento tecnico.
Ormai da qualche tempo stava valutando l’opportunità di rientrare al paese ed aprire un negozietto per la vendita di elettrodomestici e di sevizio per il montaggio e la successiva riparazione degli stessi in caso di malfunzionamento.
“L’era ora cl’arivess l’Epifanî che tótt al fèst ai pôrta vî… a j era propi stoffa!” esclamò la mattina del cinque gennaio la Cesira.
Le rispose a tono Adolfo: “….po’ l’arîva San Bandatt, che al fèst al n’ha un sacatt!”
Alla sera l’Elide raccontò la storia della Befana ad una Brigida che la stava ad ascoltare con gli occhioni celesti spalancati e la bocca aperta.
Alla fine della storia si fece dare dalla mamma una delle sue calzine e l’appese ad un chiodino vicino al camino, la guardò per un po’ poi, valutando la capacità della stessa, non soddisfatta pensò bene di chiedere una calza del babbo e si affrettò a fare la dovuta sostituzione facendo ridere tutti.
Alla mattina la Brigida si alzò con quell’entusiasmo misto a timore tipico del bambino che crede profondamente nell’esistenza della Vecchietta e che riusciremo ancora a ricordare aprendo i cassetti della nostra memoria d’infanzia.
Non vide l’ora di aprire la calza per scoprire cosa le aveva portato la Befana ed estrasse fuori in sequenza, alternando espressioni di stupore, delusione e autentica gioia, una arancia, quattro castagne secche, un pezzo di legno carbonizzato, una cipolla, un cono gelato di zucchero meringato colore rosa avvolto nel cellophane, alcune caramelle Rossana e proprio nella punta della calza una piccola bambolina di pezza con i capelli fatti con i fili di lana e gli occhi con due bottoncini neri che le aveva confezionato di nascosto la sua mamma.
Saltando di gioia pensò bene di regalare generosamente una caramella Rossana ad ogni componente della famiglia chiedendo però indietro le carte perché le piaceva guardarci attraverso e immergersi in un mondo completamente colorato di rosso.
Passò il mese di gennaio e venne febbraio ed il Generale Inverno si fece particolarmente cattivo perché un’ondata di freddo eccezionale accompagnato da bufere di neve particolarmente intense investì l’Appennino e non solo.
Quella mattina del primo febbraio 1956 quando Adolfo rientrò sfregandosi le mani e battendo i piedi dopo essere andato nella stalla aveva il viso molto preoccupato.
“Fòra l é un fràdd da can! Mai sintò un fràdd acsè, a sån fràdd z’lè e ai ò i giazû atâc i bâfi” disse con l’Elide.
Nel mentre stava rientrando anche Amerigo che era sceso in paese per andare in ferramenta, anche lui intirizzito nonostante il passamontagna che aveva indossato per ripararsi andando giù in moto.
“Il capostazione stamattina raccontava al Pedrelli che il termometro segnava meno venticinque, con queste temperature hanno avuto problemi anche sulla ferrovia” raccontò Amerigo mentre in piedi davanti al fuoco del camino cercava di riscaldarsi o meglio di sciogliersi da tanto che si sentiva ghiacciato.
Nel corso della giornata e nei giorni seguenti violente bufere di neve imperversarono e la temperatura non accennava ad alzarsi.
La Cesira e Berto sfidando il gelo ripararono dentro alla stalla le gabbie dei conigli, venne acceso il fuoco nel forno, anche se non c’era da cuocere il pane, per dare un minino di calore alla porcilaia e al pollaio che erano nella stessa struttura, molti animali da cortile trovarono anche loro riparo nella stalla dentro a dei piccoli recinti provvisori. Si fece di tutto per sottrarli a quelle temperature polari, ma purtroppo molti di essi morirono assiderati.
Dai notiziari radiofonici appresero che quel freddo eccezionale aveva investito buona parte dell’Europa e dell’Italia con una intensità tale da essere definita la nevicata del secolo, si parlava di temperature incredibilmente basse anche – 30° e di nevicate in zone meridionali del Paese dove rappresentavano un evento raro.
“Un tempo così ricordo che ci fu l’anno in cui nacque Amerigo, il 1929!” rammentò Adolfo, ma le previsioni sentite non lasciavano spazio a molte speranze e la preoccupazione salì ancora di più quando alla Iolanda in quei giorni di principio febbraio con più di un mese di anticipo iniziarono le doglie.
Il timore fu subito quella di come fare per avvertire la Natalina, le strade erano impraticabili con i mezzi, la bufera di neve infuriava, per estrema necessità si girava solo a piedi e con molta fatica per il ghiaccio.
Amerigo si rivolse al fratello: “Berto, va sò a cà dei Fedeli e dmanda se sô medèr o la nona polen vgnir zò, mè a vag da Don Basilio cla mess sò al telefono par vàdder ‘d ciamer la Natalina” e così dicendo i due fratelli coprendosi ben bene, con due lampade a carburo uscirono in quella tormenta per raggiungere quelle due destinazioni non certo distanti dei chilometri, ma che quel tempo così terribile aveva reso complicato raggiungere.
Nel frattempo l’Elide con la Cesira aiutarono la Iolanda a salire in camera, iniziava a sentire i dolori forti e si lamentava urlando a più non posso: “Oi, Oi mò che fàt dulàur l’è quest! Elide ma com te fat a tgnìr cócc! A voj mama!”, l’Elide da parte sua cercava di farle coraggio: “Forza Iolanda stringi i denti, lo so che è un gran male, però vedrai che quando nasce il bambino sparisce tutto e sarai felice. Forza.. pazienta un po’! Berto è andato a prendere tua madre, presto sarà qui…. coraggio domani sarà passato tutto” “L’è al mel de scurdon, s’al foss un stràzi acsè grand, inciona dona farè piò di cinno!” la consolò a modo suo la Cesira.
Adolfo nel frattempo vedendo lo spavento della Brigida alle urla delle Iolanda, pensò di infagottarla ben bene e portarla nella stalla che era diventata una specie di arca di Noè, colombi compresi che tubavano sopra le grosse travi tra annose e polverose tele di ragno.
Dopo un’ora e mezza arrivarono sia la Gaudenzia che la Desolina che iniziarono seriamente a temere che si sarebbero dovute arrangiare da sole ad assistere ed aiutare la Iolanda a partorire.
Rientrarono anche Berto e Arrigo completamente fradici e mezzi assiderati dal freddo.
In qualche modo Arrigo sperava di avere fatto arrivare la richiesta di intervento alla Natalina, ma sulla percentuale di possibilità che riuscisse a raggiungere il podere dei Veggetti aveva molti dubbi.
Le urla della Iolanda si facevano sempre più frequenti accompagnate anche da qualche fin troppo colorita imprecazione, quando fra i rumori provocati dalla bufera e le grida della partoriente a Berto parve di sentire il rombo di un motore, bussarono alla porta, andarono ad aprire ed apparve avvolta in un pesante scialle che le copriva testa e viso la Natalina, che vista la situazione dell’emergenza era stata addirittura accompagnata con la camionetta dal Maresciallo della locale stazione dei Carabinieri.
Fu così che dopo un paio d’ore di urla, spinte, sollecitazioni e “gnicchi” venne sollevato per i piedi un maschietto “prematuro” di ben quattro chili per il sollievo di tutti i presenti.
“Come lo volete chiamare questo vitellino Berto?” domandò al neo padre la Natalina complimentandosi per la nascita , “Diego… Diego Veggetti!” rispose Berto alzando alto il bicchiere colmo di vino per un brindisi liberatorio dopo tanta apprensione.
La famiglia era aumentata, ma fu avvolta nel gelo ancora per molti giorni perché l’Italia non uscì da quella morsa di freddo polare e di nevicate fino alla fine di febbraio quando la temperatura iniziò a risalire e si iniziò a fare i conti dei danni provocati.
Con l’innalzamento della temperatura, iniziarono a scaldarsi anche le chiacchere su quella nascita così particolare…….
…… continua
Rita Ciampichetti, 2024
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