Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.7: Nôz a strangoz
2024/08/12, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida: Capitolo 7 – Nôz a strangoz: prima della cerimonia.
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Proprio quattro patate e tre castagne cotte non fu, l’Elide diede il meglio di sé mettendo a tavola anche gli antipasti che lasciarono tutti sbalorditi, ma andiamo con ordine.
Il giorno prima era stata allestita la sala da pranzo: con delle lunghe assi di legno vennero create delle panche e delle tavole sulle quali furono stese bianche lenzuola. Non si prevedevano tanti invitati, ma d’obbligo c’erano ovviamente i testimoni, i parenti più stretti delle famiglie, gli amici più cari fra cui la Natalina, e gli ospiti “di onore”: il Sig. Parroco, il Sig. Dottore, il Sig. Farmacista, il Sig. Veterinario e il Maresciallo dei Carabinieri.
Gli ospiti fissi di ogni avvenimento festoso del Borgo come matrimoni, battesimi, cresime o “bandighe” erano Cornelio il postino che era un virtuoso del clarino e Oreste il campanaro che dava il meglio di sé non certo con le campane ma con la fisa, i due amici in perfetto affiatamento garantivano con il loro ampio repertorio di suonate quel po’ di musica per rallegrare l’evento.
Per i piatti, bicchieri, posate e tovaglioli vennero messe assieme le dotazioni di tutte e due le famiglie degli sposi, mentre per un aiuto straordinario vennero chiamate due donne del borgo che si prestavano volentieri, accontentandosi di poco, a dare una mano in tali occasioni, anche perché le donne di famiglia avrebbero partecipato alla cerimonia e quindi non potevano fare molto.
La Cesira che voleva avere tutto sotto controllo pensando a tutto non riusciva a combinare nulla ad un certo punto crollò e fu l’Elide a prendere in mano la situazione, a impartire le disposizioni alle donne e a mettere tutte le cose in fila.
Così l’Elide poté sbizzarrirsi con piccoli accorgimenti che diedero ad un pranzo di nozze casalingo quel tocco di eleganza in più che non guastava.
Fece sistemare sui tavoli piccoli contenitori con i fiori di campo e di giardino che il mese di giugno offriva, appese alle pareti della sala festoni fatti con fronde e spighe di grano.
Lei e la Cesira lavorarono in cucina fino a notte tarda per mettere in sale e aromi i diversi arrosti, preparare tutti i relativi contorni, lavare e mettere in scolo le insalate che sarebbero state poi condite al momento, pelarono chili e chili di patate da fare al forno.
Ad un certo punto la Cesira sbottò: “Par furtónna che cäl dòn ‘d cà Fedeli avèven da gnîr żŏ a ders n’ajüt.. aspèta te! Chat véggna un azidänt!”
“State tranquilla Cesira, dopo tutto pensano loro alle lasagne dal momento che il nostro forno è occupato con gli arrosti e le patate. Le faranno portare giù bollenti dalle loro donne prima dell’inizio del pranzo. Piuttosto domani mattina dobbiamo alzarci molto presto e voi dovete accendere il forno perché lo avete fatto sempre voi e sapete quando è arrivato al punto giusto di temperatura per infornare le teglie degli arrosti e delle patate, quando siamo in chiesa poi ci pensano la Pina e la Maria a controllarle”.
Poi soggiunse con voce un po’ provocatoria: “Per fortuna che in cucina c’è la luce elettrica, se dovevamo andare con quella del sole, poverette noi!”
“Se L’è vèira! Mo questa qué la costa! cl’ètra l’è gratis!” le risposte bruscamente la suocera.
Il giorno prima del matrimonio era arrivato da Torino anche Carlino ed aveva portato come dono di nozze agli sposi una radio che venne collocata su di una mensola in cucina, Carlino insegnò loro come utilizzarla e come cercare le frequenze.
Alla sera ascoltarono tutti la trasmissione radiofonica “Il Rosso e il Nero” presentato da Nino Manfredi. Un certo Corrado poi organizzava un quiz tra gli spettatori presenti che prevedeva in palio il Piatto d’Argento offerto dalla ditta Palmolive quella delle saponette. “Questo è uno dei tanti vantaggi di avere l’elettricità in casa! La radio vi terrà aggiornati su quello che succede al di fuori del borgo, in Italia sta arrivando il progresso dopo i brutti anni di guerra passati” sentenziò Carlino soddisfatto.
La mattina del gran giorno si alzarono un po’ prima del levar del sole, c’era da rigovernare prima tutti gli animali, da accendere il forno, da infornare gli arrosti, da dare le ultime disposizioni alla Pina e alla Maria e poi lavarsi e prepararsi per accompagnare in corteo alla chiesa Berto, lo sposo.
Nel corso della mattina poi sarebbero arrivati al podere anche i parenti più stretti e quindi la Cesira apparecchiò una tavola dove dispose un po’ di rinfresco costituito da “tri brazadèli” ed un cesto con gli zuccherini, un fiasco di vino rosso e uno bianco, una bottiglia di cognac per gli uomini e per le donne una di Millefiori Cucchi, il liquore dolce con dentro il ramo di erica inzuccherato.
L’Elide salì in camera per prepararsi con la Brigida. Aveva comperato in paese al mercato del lunedì qualche scampolo di stoffa e seguendo dei cartamodelli che le aveva prestato la Fernanda aveva confezionato per lei e la figlia gli abiti da indossare. Subito dopo sposati Amerigo, vista la sua passione per il cucito, le aveva regalato una macchina da cucire Singer di seconda mano che l’Elide teneva con ogni cura in camera e con cui nel poco tempo libero che le rimaneva si dilettava a fare svariati lavori.
Con un tessuto in broccato color celeste si era confezionata una gonna a ruota ed aveva messo in evidenza il punto vita, che aveva conservato inalterato nonostante la gravidanza, con un alto cinturone blu, lo completò con una camicetta di organdis bianca a pois celesti con le maniche corte a sbuffo, dopo averci un po’ pensato non si acconciò i capelli con il solito chignon, ma li lasciò sciolti in morbide e lunghe ciocche naturalmente ondulate trattenute in testa da una fascia fatta con la stoffa della gonna, ai piedi indossò un paio di semplici ballerine blu con il cinturino. Alla Brigida con la stoffa avanzata dalla camicetta le aveva confezionato un bellissimo vestitino con il carrè ricamato a nido d’ape, alla bimba raccolse in testa un ciuffo dei bei capelli neri e li legò con un nastro azzurro come i suoi occhi facendo un bel fiocco.
Dopo di che scesero dalle scale e quando arrivarono in cucina tutti si girarono a guardarle ed iniziarono a fare complimenti. L’Elide arrossendo raggiunse in fretta il marito e lo prese a braccetto abbassando gli occhi. Amerigo come al solito l’ammirò adorante domandandosi come aveva fatto una donna tanto bella e raffinata a scegliere proprio lui un povero contadino montanaro, la Brigida intanto saltava felice in braccio a tutti quelli che la prendevano, battendo le mani e stampando a richiesta sulle gote gran baci con il ciocco.
Nella cucina dei Veggetti c’era una gran confusione, dai paesi vicini erano arrivati per l’occasione i rispettivi fratelli e sorelle della Cesira di Adolfo e, vale a dire gli zii ed anche qualche cugino dello sposo e ad un certo punto lo zio Icilio, fratello scapolone della Cesira, sovrastando con la sua voce da baritono tutto il cicaleccio esordì dicendo: “Di só la mi żänt, l’è brîṡa l’åura d’andèr in cisa? In dóvv l’è al spàus? In dóvv l’è al flèpp?”.
“A sèn què zio Izélli! Cus’êla sta fûria … proprî da vò ca n’avì mai tolt mujer” gli rispose Berto che stava appunto dicendo con Amerigo, il testimone, che forse era ora di muoversi.
Lo zio Icilio fece una grassa risata delle sue e poi replicò: “L é vaira, mo quand mi mèder un dé l’am dgì – Guèrda bän Izélli che tótt e dû i spûs i an al dvair ed dères da fèr par i bisóggn dla famajja, ajo pinsè cl’era méi dères da fèr soul par mè e brîṡa dsturbèr ‘na povra dòna che po’ tl’ha da supurtèr tótta la vétta! Sîv d acórd Dólfo?”
“Avî pròpri rasån!” gli rispose Adolfo, che per l’occasione aveva indossato il suo unico vestito a giacca conservato nell’armadio per le occasioni importanti e che spargeva attorno odore di naftalina, poi si voltò un attimo a guardare la Cesira che in quel momento stava parlando animatamente con le sorelle e non aveva seguito il discorso.
Sollecitati tutti da Berto si approntarono a prendere la strada per la chiesa, lo zio Icilio agguantò al volo la bottiglia del cognac, un fiasco di vino ed un paio di bicchieri dal tavolo, mentre una zia prese il cesto degli zuccherini coperto da un tovagliolo.
l’Elide si guardò attorno cercando la Brigida che nel frattempo era sparita, corse nell’aia e la trovò a naso all’aria sotto le colombaie del nonno che borbottava qualcosa agitando le mani. “Santo cielo speriamo che tu non abbia già sporcato il vestitino!” le disse, poi la prese in braccio e si unì alla processione in partenza verso la chiesa del borgo.
Il corteo dello sposo arrivò con netto anticipo sul sagrato della chiesa dove li stava attendendo con impazienza, bardato dei parametri sacri e con un chierichetto per ogni lato, Don Basilio. Fuori in attesa anche molti abitanti del borgo perchè i Veggetti e i Fedeli erano molto conosciuti e per quella strana usanza passata per cui si tendeva a prendere moglie all’interno dello stesso circondario erano quasi tutti, anche se molto alla lontana, in qualche modo imparentati.
Per gli accordi presi quando il corteo della sposa sarebbe partito dal podere dei Fedeli, qualcuno avrebbe sparato un colpo di doppietta per avvisare, ma il colpo si fece attendere un bel po’ di tempo.
Finalmente la sposa arrivò con tutto il suo seguito di parenti e amici.
Sprizzava veramente gioia e felicità da ogni poro della pelle per come era strizzata in un tailleur a clessidra color tortora che evidenziava alla perfezione i due punti di forza della Iolanda Fedeli di cui Madre Natura l’aveva generosamente dotata: il seno ed il sedere.
Su un taglio corto di capelli resi ricci da una fitta e fresca permanente portava un capellino con veletta dello stesso color tortora, alle mani guanti di capretto, scarpe décolleté e borsetta beige completavano il tutto.
Berto le si avvicinò e abbastanza scocciato le sussurrò in un orecchio: “L’êra ōra…!” e lei rispose solo con una allegra risata.
Berto prese sottobraccio la Cesira ed entrò in chiesa, la Iolanda suo padre Primo e lo seguì a ruota, davanti all’altare c’era già uno sbuffante Don Basilio ed i testimoni: Amerigo per lo sposo ed uno zio della sposa.
La cerimonia non fu particolarmente lunga e nell’attesa degli sposi impegnati a firmare i vari registri, gli invitati sul sagrato sotto l’ombra di due cipressi centenari chiacchieravano tra loro mentre lo zio Icilio distribuiva in giro a chi lo gradiva due dita di cognac o di vino nello stesso bicchiere intanto “Tótt quall ch’n’amâza, ingrâsa”, lo seguiva dietro la Cesira con la cesta degli zuccherini.
Fu allora che avvenne uno strano fenomeno a cui in un primo momento nessuno aveva badato……
…continua
Rita Ciampichetti, 2024
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