Cinque centri perfetti. « Tutto qui» — disse Sergio Varetto il Tom Mix di Vergato
2016/03/30, Vergato – Ancora un ritaglio di giornale del 1964, Franco Pezzulli, storico dello sport vergatese ci consegna questa pagina che immaginiamo abbia portato uno sconforto notevole a tutto il paese, ai frequentatori del Tiro a Segno ma anche ai cittadini qualunque, l’eliminazione di Sergio Varetto dalle olimpiadi di Tokio.
Si tese come un arco. Il braccio pareva incorporato al calcio dell’arma. Quattro secondi. Quattro battute d’occhio. Cinque centri perfetti. « Tutto qui» — disse Sergio Valletto – « Media-Tokio — disse il padre — ma l’hanno lasciato a casa. Perché ? »
di ITALO CUCCI da Toto Stadio; Mercoledì 30 Settembre 1964
Durante il pranzo nella caratteristica trattoria di Vergato, fra un piatto di tortelloni e una cotoletta ricoperta d’inebriante tartufo, si parlò dell’« ingiusta esclusione » dalle Olimpiadi di Tokio. Varetto figlio (il grande escluso) ci dei grumi di sillabe che soltanto un trebbiano puro come l’oro riusciva a far inghiottire.
Carlo Varetto (il grande campione di tiro, olimpionico, sedici volte nazionale) scovava nel suo vocabolario tecnico-popolare tutti i termini che, con una ripulitina in nome della prudenza, avrebbero formato la più bella protesta verso quei dirigenti della Commissione Tecnica dell’Unione Tiro a Segno che, santamente votati all’incompetenza più crassa e atl un certo malvolere inspiegabile, ignorando la serie di successi colti dal giovane Sergio, l’avevano inopinatamente lasciato a casa. Per i preferiti, Amicosanti e Liversani (uno di Roma e uno di Milano), parole di incoraggiamento venate d’un certo (giustificato) pessimismo.
« Per me — sbottò ad un certo punto Carlo Varetto — il fatto di mandare a Tokio un tiratore di Vergato non gli è andata giù, ai quei signori. Eppure i risultati parlano chiaro: Sergio è. il migliore e Vergato, siano o no d’accordo, resta la sezione Campione d’Italia, avendo conquistato il titolo nel ’35 a Genova, quando ancora esisteva la divisione unica. Quel che fa rabbia, poi, è che quando avete scritto sul giornale che hanno commesso degli errori gravissimi, quei signori non si sono neppure, preoccupati di rispondere, di discolparsi. Noi siamo gente decisa, noi tiratol i, e abbiamo un bel senso dell’onore : chi prende accuse e tace non è degno di rappresentarci ».
Arrivati al formaggio con le pere, cercammo d’incontrare ancora gli occhi freddi di Sergio per leggervi un pur lieve commento alla sua disavventura sportiva. Ma il giovane Varetto, tempra di grande tiratore, mostrava di non gradire la polemica; di non partecipare a quelle giustificate proteste sulla sua esclusione dai Giochi Olimpici. Ad un certo punto, ci fece soltanto un complicato discorso sui suoi records, sulle sue imprese invero eccezionali, sui buchi aperti nelle pance delle compia centi (ma non troppo) sagome del poligono di tiro che per quattro secondi lo sfidano e poi girano le terga.
« Chiunque può diventare un grande tiratore — ci diceva il professor Scarpaccio, un esotico marchigiano segretario della sezione tiratori di Vergato —: basta possedere nervi d’acciaio, occhio di lince, cuore saldo, mano ferma; e non bere, non fumare, non agitarsi, riposare, prepararsi… ».
Rinunciammo mentalmente a diventare campioni di tiro poi, per avere una conferma di tutte queste qualità essenziali per un campione e la risposta ad un interrogativo che ci assilla fin dalla prima giovinezza al latte, chiedemmo a Sergio: — Ma quei pistoleros che vediamo nei film, così abili nello sforacchiare i nemici come nell’ingoiare doppi whisky a catena, come fanno ad avete i riflessi così precisi?
Venga con me » — rispose Sergio.
☆
Abbandonammo l’amato desco; attraversata Vergato, ci dirigemmo verso la campagna. Lo scheletro scorticato d’una costruzione in cemento stesa come in un abbraccio intorno a una valletta pigolante di pollastrini giovani ci si parò innanzi come il panorama di una cittadella bombardata di fresco.
<<Questo è il nostro poligono di tiro>> — disse Varetto padre, con la voce ancora carica di umori polemici.
Sergio tacque ancora. Levò dal fodero di feltro verde una lunga pistola freddamente nera, la caricò con tutta calma. Le cinque sagome nere ricoperte di numerini pallidi si misero in riga; altrettanto fredde, condannati a morte senza speranza. Il custode del poligono mise in moto il meccanismo elettrico inventato da un artigiano di Vergato (Giuseppe Sibani) e ormai adottato in tutto il mondo.
<< Quattro secondi>> — disse Sergio, alzando un po’ la voce. Si tese come un arco. Il braccio pareva incorporato al calcio dell’arma: un ramo di quercia insensibile al vento più furioso. Immobile. Contammo: uno, due, tre, quattro. Furono cinque detonazioni secche, lineari, senza sbavature. Un colpo a vuoto per scaricare l’arma. La voce del custode, il quale andava cercando gli occhielli nelle pance delle sagome, risuonò stentorea : « Dieci, dieci, nove, dieci, dieci ». Quattro secondi, quattro battute d’occhio, cinque centri perfetti. Media-record per un campione che di records vive ormai da anni.
<<Tutto qui» — disse Sergio Varetto. Tutto qui: nervi d’acciaio, occhio di lince, eccetera eccetera.
— Ma Tom Mix — chiedemmo — come faceva a beccare due o tre persone in movimento estraendo la pistola e sparando senza neppur mirare?
« C’è molta invenzione, creda a me — disse Varetto —: quelle sagome attendono quattro, sei o otto secondi; poi scappano e non c’è più niente da fare. Se le vuol prendere deve mirare. Nei films è tutto troppo facile: i morti cadono come fantocci le monete le usano già forate, i colpi tagliabaffo sono simpatiche fantasie. E le pistole immobili nelle mani tremanti sono più pericolose di una tigre in libertà ».
Non disse altro, il gelido Sergio, pago d’aver distrutto uno dei nostri sogni, popolato di Tom Mix e Jessie James, di Tex Wilier e Billy «Kid». Riprese a sparare; cinquanta sessanta colpi, cinquanta sessanta centri.
» Media Tokio — disse il padre, con toni caldi, affettuosi nella voce e gli occhi lucidi di rimpianto — : chi meglio di Sergio poteva rappresentare l’Italia alle Olimpiadi? Il suo record è 586, un punto sotto quello delle Olimpiadi di Roma. Ma non è bastato… ».
Sergio ripose l’arma e ci invitò a sparare. Quattro vuoti — facemmo — e un dieci: avevamo mirato la prima sagoma e colpita al cuore la seconda. Troppi caffè, troppo whisky: una vittima innocente. Ricordammo Tom Destry, lo sceriffetto ammazzasette, che beveva soltanto latte. Latte freddo.
VERGATO, settembre.
Sergio Varetto e suo padre Carlo, entrambi famosi tiratori, ritratti al poligono di tiro di Vergato. Il giovane Sergio, certamente il miglior tiratore italiano, è stato ingiustamente escluso dalla squadra azzurra per le Olimpiadi di Tokio.