Enrico Carboni – “Malpasso” il guado della Carbona e la barca traghetto
2016/11/05, Vergato – Ritorna Enrico Carboni con i suoi articoli “di approfondimento”, quello di oggi ci racconta la storia di un’epoca senza ponti, le rive distanti e spesso irraggiungibili, le necessità di mezzi di trasporto e un mestiere, quello del barcaiolo, lontano dai nostri ricordi, ma non tanto…
Il guado della Carbona “ Malpasso” e la barca traghetto.
Nell’articolo, Vergato, “la Rotonda” della Ghiaia, del marzo 2014, abbiamo già visto l’importanza che il guado sul Vergatello ha avuto nei collegamenti fra Bologna e Pistoia. In pratica tutti coloro che per le più svariate ragioni dovevano da Bologna recarsi in Toscana, comprese ovviamente le tappe intermedie, ad un certo punto del loro viaggio a piedi, a cavallo o su di un carro, arrivando a Vergato erano costretti a misurarsi con il guado del Vergatello.
Questo piccolo torrente di media montagna che a Vergato entra nel Reno perpendicolarmente alla valle, e che nei secoli ha costituito con i suoi sedimenti di sabbia e ghiaia il substrato sul quale il paese si è sviluppato, dalle prime case, osterie e locande del 1200 fino ad oggi, è anche quello che con le sue improvvise piene invernali e primaverili poteva allagare il paese o impedire a uomini e mezzi di attraversarlo, costringendoli a pernottare a Vergato in attesa di poter passare. Un guado così importante da aver addirittura dato il nome al paese, (Vergato da “Hospicia Varegati “ – “varegatum” termine latino traducibile con guado). ( 4)
Fig.1 – Foto del 1912 che mostra la Rotonda circondata da alberi e protetta da un alto muro, il macello comunale, le case della Ghiaia e una enorme distesa di ghiaia nella quale si fatica a individuare l’alveo attivo del Vergatello. I segni del guado storico non sono più riconoscibili in quanto il ponte dell’ospedale che ha risolto il problema è già stato costruito da almeno 60 anni.
Un guado simile, seppur di minore importanza , vi era anticamente anche alla Carbona, il Passo del Reno o Malpasso (all’incirca dove oggi c’è il ponte della ferrovia) proprio di fronte alla strada che ancora oggi sale verso Orelia e Campolo.
Anche questo guado era legato alla viabilità di fondovalle che collegava Bologna alla Toscana, “la pubblica strada di Toscana” e naturalmente alle località presenti sui versanti di destra e di sinistra idraulica del Reno. In questo caso le località in destra servite da un collegamento con la viabilità principale di fondovalle che partiva proprio dal guado della Carbona e saliva ad Orelia, Vimignano, Montovolo (sede del Santuario per molti secoli più importante della provincia e di una fiera annuale molto frequentata), per salire poi a Vigo, Verzuno, Carpineta, oppure in direzione di Prada, Montacuto Ragazza, Stanco, Grizzana. Non deve stupire che un guado sul Reno possa essere considerato di minore importanza rispetto a quello di un suo affluente, il Vergatello e malgrado le diverse opzioni che il guado della Carbona poteva offrire ai viaggiatori: una barca con passatore“navis passatoria” (Fig. 2-6-8-9), una passerella in legno “pedagna” (Fig. 3) ed infine una passerella per pedoni fatta di grossi massi allineati che consentiva loro di attraversare il fiume senza bagnarsi i piedi. (Fig. 4-5)
Fig.2 – La barca della Carbona che nel 1936 traghetta una folta comitiva in occasione del matrimonio di Giorgio Ferri( Peppe tic tac) e Vittoria Arcioni. Notare i particolari: il piccolo pontile(!) al quale la barca sta attraccando, il cavo di acciaio che assicura la barca e consente il suo trasferimento a forza di braccia da una riva all’altra, l’andamento corretto della barca in allineamento con la corrente e con la prua alta verso monte. Archivio Ferri Alfonso.
Fig. 3 – Cartolina dei primi del novecento con al centro il Tappetificio Baruffi alla Torricella; notare a sinistra sul fiume una passerella in legno che consente l’attraversamento a piedi. Ne parla Marcello Fiori(1):”d’estate, quando c’era la secca, mettevamo su la passerella con due legni di circa 12 metri e delle assi, ci appoggiavamo ai sassi più grossi, la mettevamo giù in luglio fino ad agosto e settembre, a volte anche meno secondo il tempo come andava”. Archivio Ferri Alfonso
Fig. 4 – Un’allegra comitiva(la famiglia Turri proprietaria della filanda di Pioppe) in gita alla Torricella con amici nei primi anni del’900, forse in visita ai Baruffi colleghi imprenditori nel settore dei filati, sulla passerella di sassi allineati, per non bagnarsi i piedi.
Fig. 5 – La stessa passerella vista dalla Torricella, sullo sfondo il rilevato ferroviario con un sottopasso e le case della Carbona, la ferrovia non è ancora elettrificata, siamo prima del 1927.
Fig. 6 – Il Parroco di Luminasio, D. Zannini, in gita alla Carbona con la famiglia Turri, preferisce la barca e l’ombrello. La barca sembra essere quella vecchia di legno per cui potremmo essere prima del 1912, anno del varo della Stefana”, barca di ferro realizzata dall’Officina Garruti. (1)
Il guado sul Vergatello non aveva niente del genere, una semplice pista nell’ampio greto del torrente, tenuta libera e percorribile da persone a piedi o da animali da soma o da sella e da carri trainati, ma evidentemente poteva contare su una quantità di viaggiatori ben superiore per numero e importanza e su ben altri interessi in gioco, commerciali e mercantili. Ne è prova l’edificio della Rotonda che ospitava armigeri che presidiavano il guado dalle scorribande di possibili malviventi, ne garantivano la manutenzione e la transitabilità in tempi normali, ne vietavano il passaggio nei momenti di piena, esigendo magari dai viaggiatori un pedaggio per svolgere quelle funzioni di presidio, di difesa e di mantenimento del guado.
Ma torniamo al guado della Carbona detto “Passo del Reno” o “Malpasso” ( 3) dal nome della località o più probabilmente per la ragione opposta e cioè che il guado ha dato il nome alla località, perché il guado di un fiume era anticamente chiamato “passo” ed il prefisso “mal” si associava bene alle indubbie condizioni di difficoltà e pericolosità della situazione.
Fig. 7 – Il gruppo di case della Carbona nel 1914 quando la strada proveniente da Vergato girava ancora in alto lungo quella che oggi chiamiamo la “strada vecchia” della Carbona. A. Ferri A.
Il Campione delle strade, degli stradelli e dei sentieri, edito nel 1775, è interessante non solo perché descrive la strada che arriva da Vergato fino al guado della Carbona “cammina sulle ghiare e poi nelle berlede fino al molino comunale della Carbona dove supera il canale del mulino su un pedagno in legno mantenuto dal monaro “, ma anche perché ci dice che a quel tempo la barca è presente e traghetta persone. (3)
In quegli anni (fine ‘700) il traghetto era al Sasso Rosso dove vi erano buoni fondali di un metro/un metro e mezzo e un andamento del fiume e delle sponde idonei per fissare il pesante cavo di acciaio a cui veniva assicurata la barca e che serviva al passatore per traghettarla a forza di braccia da una sponda all’altra. (1) Il traghetto della Carbona era divenuto a quel tempo, per la sua importanza nel garantire i collegamenti fra le due sponde del Reno, un servizio pubblico gestito dai Comuni di Vergato e Grizzana. Questo servizio pubblico affidato nel 1846 a Carlo Fiori si è tramandato per quattro generazioni ed è durato quasi 100 anni, fino ad arrivare al 1943 quando la ditta Baruffi costruì il ponte della Carbona, “al pont ed Baroff” e ne decretò di fatto la fine .
Nell’800 la barca era di legno, a fondo piatto, in grado di trasportare fino a trenta e più persone, ma anche animali, buoi, asini, pecore, maiali e naturalmente merci. (1) Quando nel 1860 fu costruita la ferrovia Bo-Pt, con il rilevato ferroviario tutto all’interno dell’alveo del F. Reno, di fatto un argine continuo alto 4 metri e lungo circa 4 chilometri da Vergato alla Carbona, che ha ristretto l’alveo di circa 1/3 della sua larghezza, nel corso del fiume si sono determinate grosse modificazioni (“al fiom al s’era girà da cl’etra pèrt” il fiume si era girato dall’altra parte!. (1) E quindi anche il traghetto fu costretto a spostarsi più a valle, alla Carbona, dove vi era un sottopasso che consentiva di attraversare il rilevato ferroviario, oltrepassato il quale partiva una carreggiata al piede del rilevato di un centinaio di metri verso la Carboncina che portava all’attracco della barca, quasi di fronte alla Torricella .
Fig. 8 – La barca all’attracco della Carbona con il“passatore”Zeffirino Fiori detto “Zefiron”, morto nel 1938; prima di lui, fin dal 1846 il servizio era stato condotto da suo padre Carlo; alla sua morte subentrò il figlio Marcello, ed il di lui figlio Nello fino al 1943, anno di costruzione del ponte di Baruffi (“al pont ed Baroff”), che pose fine al traghetto. Foto di proprietà Fiori Marcello.
Nel 1912 la vecchia barca di legno fu sostituita da un’altra uguale come forma, ma in lamiere di ferro tenute assieme da chiodi ribattuti a caldo, disegnata e realizzata dall’Officina Garruti di Vergato. (1 e 5) Questa barca fu varata il giorno di S. Stefano (da cui il nome “Stefana”) nell’incredulità generale della molta gente intervenuta che non poteva credere che una barca di ferro del peso di 9 quintali potesse restare a galla “al fér an pol mia stè a gala al va a fond!” (1)
Fig. 9 – Giugno 1942, la barca condotta da Nello Fiori (figlio di Marcello) traghetta le scolaresche di Vimignano e Orelia che accompagnate dalle maestre sono dirette a Vergato al cinema di fine anno scolastico. Foto di proprietà Fiori Marcello.
La presenza del Tappetificio Baruffi (vedi Fig.3) con annesse attività collegate, tintoria, segheria e mulino, attivo dal 1917 al 1945 e che dava allora lavoro ad una trentina di operai fra uomini e donne(2) della zona, è molto rilevante per la storia della barca – traghetto. Per molto tempo vi fu infatti non solo l’esigenza di traghettare due volte al giorno gli operai, ma anche di rifornire di materie prime la fabbrica e di trasferire le merci prodotte. Queste attività di trasporto quotidiano di uomini e merci durarono fino al 1943 e non perché cessasse l’attività dei Baruffi che nel tempo si era trasformata, prima ( nel 1929) in una azienda chimica per la produzione di ipoclorito di sodio (varechina o nitorina), poi iniziò a produrre energia elettrica sfruttando l’impianto ad acqua che in origine aveva fatto funzionare i telai del canapificio e l’annesso mulino. Finché nel 1943, forse stanchi di dover dipendere dalla barca per attività ritenute strategiche, i Baruffi decisero di costruire a proprie spese (e a proprio comodo) (3) il ponte della Carbona “al pont ed Baroff “decretando la fine della barca traghetto della Carbona.
In verità la barca ebbe un altro po’ di lavoro da svolgere. La guerra coi suoi bombardamenti aveva distrutto anche il ponte dell’America interrompendo i collegamenti fra le due sponde ed in particolare quelli con la filanda dei Serini, una delle prime aziende a riprendere il lavoro e ad assumere operai subito dopo la guerra.
Ecco che allora la barca della Carbona (ancora di proprietà dei Comuni di Vergato e Grizzana) fu spostata in Reno all’America, il servizio pubblico di traghetto, con una delibera adottata il 31.1.1946 , fu affidato a due barcaioli che lavoravano a turno, uno di Grizzana e uno di Marzabotto; fu teso il cavo di acciaio fra le due sponde, predisposti gli attracchi, il servizio ebbe inizio, ma non durò a lungo, dopo appena un mese e mezzo, nel marzo del ‘46, durante una traversata sul fiume in piena, affrontata con grave imperizia, (1) la barca si sganciò dal cavo per la rottura dell’asse verticale che la teneva e andò a fondo. Dei sette che erano sulla barca, sei passeggeri e un barcaiolo, solo quattro si salvarono con l’aiuto di coraggiosi vergatesi fra i quali si distinse Walter Colombi, tre furono trascinati via dalla forte corrente e affogarono miseramente. (6) Questo drammatico naufragio, che ebbe eco sulla stampa locale e nazionale, pose la parola fine alla storia della barca, d’altra parte la ricostruzione post-bellica realizzò in breve termine tutti i ponti che si resero necessari e le barche, i guadi, i malpassi trovarono posto solo nel ricordo delle cose passate.
Fra queste una in particolare è sopravvissuta ed è conservata con la cura che si deve a un cimelio e con l’affetto e il rispetto che è dovuto ai propri avi, da Viviano Fiori, ultimo discendente della famiglia di “passatori” che ha gestito il servizio pubblico di traghetto alla Carbona per quattro generazioni e per quasi 100 anni. Viviano, ha raccolto tale eredità, dedicandosi però con successo ad altre imprese impegnative anche se non “armatoriali”.
Si tratta di un conchiglione colorato con il quale il passatore, usandolo come un corno, poteva avvertire i viaggiatori ritardatari che la barca stava partendo, oppure chiamare aiuto in caso di necessità, in particolare quando si trattava di ancorare la barca alla riva se il livello dell’acqua saliva rapidamente e si doveva modificare l’altezza del cavo d’acciaio, operazione che richiedeva almeno due persone.(1)
Un oggetto misterioso, che viene da lontano, dai mari del sud, estraneo alle nostre latitudini e abitudini, ma che proprio per questo può ben ricordare e rappresentare la storia fantastica della barca della Carbona e dei suoi passatori forti e coraggiosi.
Fig.10 – La conchiglia colorata con la quale il passatore,usandola come un corno, poteva avvertire i viaggiatori ritardatari che la barca stava partendo, oppure chiamare aiuto in caso di pericolo.
Vergato, Novembre 2016, Enrico Carboni
I riferimenti bibliografici sotto indicati, sono risultati tutti utili e interessanti per ricostruire la storia del guado della Carbona e della sua barca, ma un plauso particolare va assegnato all’intervista magistralmente raccolta da Maurizio Pozzi a Marcello Fiori, testimone straordinario del suo lavoro e del suo tempo, nell’ormai lontano 1984, per le pagine di Nuetèr e alla cui lettura integrale si rimanda.
- Maurizio Pozzi – La storia della barca della Carbona – Nueter n.1 giugno ‘84
- Diana Colazzo e Annalisi Mili – Il cammino difficile-Per una storia del lavoro e della condizione femminile nel territorio del comune d Vergato dall’Unità d’Italia al secondo dopoguerra – Com. di Vergato – ECAP – CGIL – Prov. di BO – pag. 70/72 – 1986
- Oriano Tassinari Clò – Gente e Terre di Vimignano – pag. 36/38 – 1987
- Paolo Guidotti – Il Reno Italiano – Storia di un fiume e della sua valle fino al mare – pag. 55/58 – Cappelli Editore – 1989
- Rossana Petroni Garruti – Vergato come Venezia – Nuetèr 2. Dic. ‘89
- Giuseppe Fanti – Un naufragio all’America di Vergato – Nuetèr 44 Dic. ‘96
I Ponti del Diavolo – Da domenica 13 novembre 2016 la prima puntata di un lavoro durato ben tredici mesi, sempre da Enrico Carboni.