Come era la Rocchetta Mattei vista da “La Gazzetta dell’Appennino”
2016/10/28, Riola – Archivio APCS – La Rocchetta Mattei vista da “La Gazzetta dell’Appennino” correva l’anno…1991. Pubblicato sul numero speciale Buon Natale Vergato
Siamo sulla strada statale n.64, la Porrettana, a meno di 10 km da Riola di Vergato, e alla nostra destra possiamo vedere un cartello giallo e invitante “Benvenuti a visitare il Castello Rocchetta di Riola di Vergato”.
Arriviamo a Riola e, proprio davanti al passaggio a livello, svoltiamo a sinistra. Attraversiamo il Reno, seguiamo la strada per un paio di chilometri ed eccoci a destinazione… la Rocchetta Mattei.
C’è da rimanere sbigottiti di fronte alla calda maestosità di questo edificio, c’è da chiedersi se siamo ancora sull’Appennino tosco-emiliano.
L’immenso cancello di legno e ferro battuto, le caratteristiche guglie a cipolla ricoperte da lamine d’oro, le finestre dalle mille forme che ci osservano… Che facciamo?
Entriamo! E perdiamoci nel labirinto della Rocchetta.
Saliamo la scalinata sormontata dal grande ippogrifo che regge il mondo, attraversiamo il portone, fermiamoci un attimo nel cortile con la sua bella fontana che spruzza acqua, ed entriamo nel magico “Salone dei 90”, chiamato così perché il conte Cesare Mattei avrebbe voluto festeggiare qui il suo novantesimo compleanno, con cena e gran festa per tanti altri novantenni. Il pavimento è rosa chiaro, le pareti verdi-bluastre, le porte bianche con tendaggi di velluto rosso e il soffitto raffigura un cielo stellato.
Purtroppo, Cesare Mattei morì prima dei novant’anni.
Proseguiamo, così da trovarci nel “Salotto dei Cigni”, col suo caminetto liberty, raffigurante due fenicotteri, che danno il nome alla stanza.
In fondo, possiamo intravedere uno dei tanti stupendi bagni fatti costruire dall’erede di Cesare Mattei, il figlio adottivo Mario Venturoli, del quale parleremo dopo.
Adesso saliamo questo bello scalone a chiocciola, calpestiamo il suo tappeto di velluto rosso, e fermiamoci sbigottiti di fronte alla “Loggia Carolina”: è formata da tre vani intercomunicanti, e i passaggi da un vano all’altro sono costituiti da archi moreschi, sostenuti da colonne in stucco nero e da capitelli con incisioni dorate.
Ma sapete dov’è la magia?
Nel soffitto, formato da laterizi con spigoli smussati e con le facce dipinte a colori diversi: così a seconda dell’angolazione visiva, si ottiene una continua variazione degli effetti policromi.
C’è da rimanere incantati.
Ma andiamo, c’è ancora tanto da vedere… In fondo una stretta scala a chiocciola si interrompe all’improvviso: è il ponte levatoio che il Conte frapponeva tra sé e il mondo esterno, per impedire a chiunque di raggiungerlo nella sua camera da letto, col soffitto costellato da stalattiti e le pareti ricoperte dall’immensa collezione di pipe.
Poi, attraversiamo il terrazzo coperto, e arriviamo alla “Sala della Visione” collegata alla “Sala Violetta” da una scala che sembra costruita per la Gloria Swanson di “Viale del tramonto”, col suo corrimano nero che spicca sulle pareti rivestite di mattonelle viola.
E salendo una scala a chiocciola in legno, passiamo dalla (Sala della Visione) alla (Sala inglese), dalla pianta ottagonale.
Che meraviglia le ampie tende di velluto che si aprono sulle finestre a tutta parete affacciate sulla vallata, il camino ornato da mattonelle “bordeaux”, il pavimento in legno e oltre questa porta un altro degli stupendi bagni fatti costruire con ogni genere di comforts da Mario Venturoli. E via, di nuovo a rimanere senza fiato nella “Sala degli Specchi”, costruita in stile pompeiano, con tanti piccoli specchi alle pareti; nella “Camera turca” ornata da tendaggi e tappeti (a proposito, sapete che in tutta la Rocchetta ci sono almeno seicento tappeti persiani?); nel “Cortile dei Leoni”, riproduzione in scala ridotta di quello che si trova all’Alhambra di Granada; nella Cappella, riproduzione, questa, della Cattedrale di Cordova.
Adesso potremmo scendere lo scalone del “Portone di Levante” e andare a riposarci un po’ nel bellissimo parco, ornato da statue e fiori di ogni tipo. Così potrò raccontarvi qualcosa di Cesare Mattei.
Nato nel 1809 da una ricca famiglia ferrarese, dopo essersi dedicato per qualche tempo alla politica, aveva deciso di ritirarsi a vita privata, per potersi meglio affiancare allo studio dell’omeopatia. Cominciò quindi a cercare un luogo ideale per la costruzione del suo rifugio, e lo trovò appunto lungo la valle del torrente Limentra, sui resti di un antico fortilizio già appartenente a Matilde di Canossa.
E il 5 novembre 1850 venne posta la prima pietra della Rocchetta, che già nel 1859 si poteva dire abitabile, tanto che Cesare Mattei andò a viverci stabilmente, attorniato da una moltitudine di servi.
E possiamo dire che la fama della Rocchetta crebbe con quella del Conte, che ormai era affermatissimo e ricercatissimo come omeopata: si dice che riuscisse addirittura a curare il cancro. Possedeva industrie farmaceutiche in tutto il mondo e da tutto il mondo vennero a farsi curare; sembra che siano venuti Ludwig di Baviera e lo zar Alessandro III.
Persino Dostojevski lo cita ne “I fratelli Karamazov”, quando fa raccontare al diavolo di essere riuscito a guarire da terribili reumatismi grazie ai granelli miracolosi inviatigli dal Conte Mattei.
La vita di Cesare Mattei si divise tra lo studio dell’omeopatia e i lavori della Rocchetta, che non finì mai di ingrandirsi. Anzi, tanti progetti rimasero interrotti dalla morte del Mattei, che fino all’ultimo condusse una vita di castellano medievale nella sua Rocchetta, nella quale spessissimo si davano feste con canti e balli; e c’era persino un buffone di corte, regolarmente stipendiato dal Conte, che aveva ricreato attorno a sé una vera e propria corte medievale. Alla sua morte, avvenuta nel 1896, subentrò il figlio adottivo Mario Venturoli, che portò a termine alcuni progetti lasciati in sospeso e che fece costruire gli splendidi bagni con servizi igienici di cui ci parla Arturo Palmieri, nel piccolo prezioso, libro “In Rocchetta con Cesare Mattei”. Purtroppo il Venturoli non lasciò eredi altrettanto sensibili.
Venne la guerra, gli ultimi abitanti della Rocchetta fuggirono, le truppe tedesche prima e la popolazione poi saccheggiarono la Rocchetta: scomparvero i quadri, i seicento tappeti, quasi tutti i mobili, addirittura le porte con i relativi stipiti.
A guerra finita, l’ultima erede, Iris Borianis, non riuscendo a vendere la Rocchetta, la offrì gratuitamente al Comune di Bologna, che però la rifiutò.
Poi, nel 1959, la acquistò Primo Stefanelli, detto “il Mercantone”, il quale, per fare onore al suo soprannome cercò di sfruttarla al massimo.
Finì di vendere l’arredamento che era sfuggito alle razzie della guerra, costruì sul lato ovest una nuova ala che usò come ristorante e albergo, abbandonò la Rocchetta ai vandalismi dei visitatori e all’incuria.
E pensare che nei suoi interni splendidi erano stati girati film suggestivi, quali “Balsamus” di Pupi Avati e “Enrico IV” di Marco Bellocchio.
Un paio d’anni fa, Stefanelli morì, e la situazione se è possibile precipitò.
Per problemi fra i vari eredi la Rocchetta è stata definitivamente chiusa al pubblico, e chiuse, o quasi, sono le trattative per un eventuale acquisto da parte della Provincia, che progettava di allestirvi un “Museo della Fiaba”.
Dunque, cari amici, non ci rimane che risvegliarci dal nostro sogno ed accorgerci così che lo scalone del “Portone di Levante” non si può più scendere da tempo immemorabile, che il parco è in completo abbandono, che le meravigliose stanze che abbiamo attraversato sono tutte vuote, i pavimenti sconnessi, i soffitti sfondati e le pareti piene di macchie di umidità e di frasi sconce. Che il soffitto policromo della “Loggia Carolina” è ora di un omogeneo colore neutro, che i meravigliosi bagni sono mucchi di macerie, che le lamine d’oro delle guglie a cipolla sono state rubate da un pezzo, che di fronte a tutto questo sfascio rimane da dire che sì, siamo nell’Appennino tosco-emiliano, che sì, purtroppo siamo in Italia.
E nonostante tutto ciò, nonostante il fatto che dove non si è accanito il tempo si è accanito l’uomo la Rocchetta continua a mantenere una grande forza, una magia: come se l’energia di Cesare Mattei fosse ancora qui, in queste sale abbandonate.
Ma allora, è proprio giusto non fare niente, restare immobili e aspettare la morte, quella definitiva, della nostra Rocchetta Mattei?
Raffaella Graziosi