I cento volti del Carnevale di Vergato e il processo al carnevale
2017/02/27, Vergato – Umberto Bernardi, la memoria storica dell’Antico Carnevale di Vergato non disdegna le edizioni del nuovo carnevale, come risulta dai sui cento scatti, che colgono gli istanti, le emozioni, la stanchezza o le azioni della sfilata del 26 febbraio 2017.
Assieme alle foto ci manda anche un documento della tradizione;
Il processo al carnevale
Il carnevale fu, all’origine, un pupazzo multicolore, una sorte di colosso panciuto, a volte ricoperto da un armatura, oppure un nano grottesco, un simulacro fatto di scorza o di paglia, comunque un personaggio dai risvolti inquietanti oltre che comici, che veniva portato in corteo per le stade del villaggio, in esse si ritrovava l’anima della cilvità che le aveva create.
Il carnevale delle campagne fu inizialmente, la celebrazione della fine di un periodo di sterilità e del ritorno della natura alla fecondità.
Ci si sbarazzava dell’inverno, e lo si cacciava; e, per sottolineare con maggior vigore il carattere solenne di questo atto, l’inverno veniva simboleggiato da personaggi fantastici e sovente orribili.
In Alsazia, il povero inverno aveva l’aspetto di un pupazzo ricoperto di paglia, che veniva trascinato per le strade legato da una corda e fatto oggetto di ingiurie, frustato e poi annegato in uno stagno. In numerose provincie francesi il personaggio del carnevale è un gaudente panciuto, una specie di gigante buontempone e un tantino ridicolo che veniva distrutto il mattino delle ceneri, previo processo, solenne e burlesco, nel corso del quale lo si accusava di ubriachezza, libertinaggio e di aver mandato in rovina la famiglia. L’usanza è ancora viva, e le modalità della messa a morte del carnevale variano da regione a regione: qui lo si brucia, altrove lo si annega, in certe località lo si impala. Perché tanta crudelta? Evidentemente perché questo pesonaggio simbolico è il capo espiatorio, sul quale vengono scaricati tutti i peccati della comunità, tutti gli eccessi cui ci si è abbandonati durante la festa e forse anche durante l’intero anno. Anche Bologna, forse influenzata da questa tradizione francese, sul finire del cinquecento celebra il suo pocesso al carnevale, grazie a un testo tratto dalle copie digitali realizzate nel 2006 della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio scritto da Giulio Cesare Croce.
PROCESSO OVERO ESAMINE DI CARNEVALE
NEL QUALE S’INTENDONO TUTTI
Gl’inganni, astutie, capriccij, bizzarrie, viluppi,
intrichi, inventioni, novità, sottilità, schioc-
charie, grillarie, etc. ch’egli ha fatto
quest’anno nella nostra città
Con la sententia e bando contra lui formata. Essendo stato preso
Quel matto, quel balordo,
Quel lupo, quell’ingordo,
Quel tristo, quel sfacciato,
Quel porco, quel sfondato,
Quel pazzo e bestiale,
Quel zucca senza sale,
Di Carneval poltrone,
Goloso imbriacone,
Da poco inerme e vile,
Nasciuto nel porcile,
Nel sterco, nel letame,
Vigliacco empio ed infame,
Pien di frodo e di vitio,
E per dargli il supplitio
Ugual alla mercede,
Per non torcere il piede
Mai fuor de la giustitia,
Sopra ogni sua tristitia
E’ stato esaminato,
E ben interrogato
De’ suoi passati falli,
I quali, in tutti i calli
Si trova haver commessi,
E tutti i suoi eccessi;
Ond’essendo spiegato
Il foglio, ed ei spogliato
Per porlo a la tortura,
Havendo gran paura
Di non cadere a basso,
E andar tutto in un sasso,
Essendo corpulento,
Panciuto e macilento,
Le membra gravi e sconcie,
Con più di sei bigoncie
Di roba in le budelle,
Tirandoli la pelle
A guisa di tamburo,
Il corpo sodo e duro
Pien d’ova e di minestra,
La vita poco destra
E tutta sconcertata,
Il tutto alla spiegata
Ha fatto noto e piano,
Così, di mano in mano,
Di propria volontade,
E’ la sua iniquitade
Palese e manifesta:
Dunque alzate la testa
E state ad ascoltare,
Che qui s’han da contare
Tutte le sue bugate,
Acciò che le brigate
Non dican poi ch’a torto
Ei sia bandito, o morto,
O fatto dispiacere
Contra d’ogni dovere,
Che senza esser sforzato,
Ma in sedia accomodato,
Per non poter star dritto
Di sua bocca il delitto
Ha fatto piano e chiaro,
E qui per il notaro
Sarà descritto il tutto.
E prima.
Interrogatus
S’ei sa per che cagione
Ei sia posto in prigione.
Respondit
Signor no, ch’io nol so,
Se non è ch’io sia stato
Tal’hora mascherato,
Facendo il bell’humore,
Mutando a tutte l’hore
Mostazzo e vestimenti,
Andando tra le genti
Senz’esser conosciuto,
Ed ero a tal venuto
Ch’ogn’un che mi vedea
A più poter correa,
Per farmi compagnia,
Gridando per la via
Com’anime dannate,
Con gente scapestrate,
Dalle virtudi absenti,
E i miei pensieri intenti
Sol erano di fare
La roba strusciare
A tutte le persone,
Dandogli occasione
Di far mille pazzie,
Materie e scioccherie
Ed altre cose vane.
Interrogatus
Con quai compagni andava,
E quanti ne menava.
Respondit.
Con dieci, ed eran questi:
Ribaldo de’ Cattivi,
Sfrenato de’ Lassivi
Goloso de Gl’ingordi,
Leggiero de’ Balordi,
Mendace de’ Bugiardi,
Bisunto de’ Leccardi,
Da poco de’ Poltroni,
Forfante de’ Cialtroni,
Allegro de’ Bevanti,
Menchion de Gl’ignoranti.
Questi erano i compagni
Co i quali i miei guadagni
Andavo compartendo,
E seco trattenendo
Ogn’hor la vita mia,
Ed era compagnia
Chi sempre divorava
E giorno e notte stava
Per bettole e taverne,
E fin alle lucerne
Tal’hora havrian leccato,
Se non ci fosse stato
Altro in cucina d’unto,
E sapean ogni punto
Per conto de la gola,
E ne tenevan scola
Come si fa d’abacco,
E volean nel suo sacco
Sempr ei miglior bocconi,
E quanto eran più buoni,
All’hora eran più grati,
E si sarìan scannati
E trattosi i budelli,
Per quattro fegatelli
Ovver una polpetta,
E questa simil setta
Non attendeva ad altro.
Interrogatus
S’ha mai fatto di notte
Delitto, o dato botte
A nissuna persona.
Respondit
Signor sì, ch’io n’ho fatto,
E mi son ritrovato
Com’huomo sregolato,
A far far de i festini,
Banchetti e cichochini,
Dove si ponea insieme
Poi mille stratagemme
E mille strane cose,
Enormi e vergognose,
E si facean questioni
Con pugna e con bastoni,
E dato lanternate
E donne trafugate,
Giocato di cinquina
Di furto e di rapina,
Andando in lochi bui
Per tor l’honore altrui,
E ascoltar gli altrui fatti,
Usando mille tratti
Che non eran da usare,
E da me derivare
Sol si vedea ogni cosa,
Mai non stavano in posa,
Sempre invan travagliando
Il mondo avviluppando
Con chiacchiare e novelle,
E sempre le maselle
E i denti erano in opra.
Interrogatus
Se mai ha graffignato,
Cioè s’egli ha levato
Mai della roba altrui.
Respondit
Io mi son dilettato
Far d’ogni cosa un poco,
E mi prendevo gioco
D’andar spesso a i pollari,
Co i miei compagni cari,
E de tirare i colli
A le galline, a i polli,
A l’anitre, a i capponi,
A l’oche ed a i pavoni,
Ed in sì fatti balli
Uccidean fin a i galli,
Mangiandoli la polpa,
Acciò havesse la colpa
La volpe o la faina,
E poi nella cucina
Facean ben da godere,
Senza sospetto havere
D’affanno o di travaglio,
Né mai mi piacque l’aglio,
Cipolla, né scalogna,
Anzi, era gran vergogna
A quel che ne mangiava,
Né fagioli né fava,
Né porri né radici,
Ma sol quaglie e pernici,
Fagian, lepre e conigli,
M’entravan ne gl’artigli.
Ancora m’era grato
Il vitello e ‘l castrato
Quand’eran grassi e mizzi,
Le torte ed i pastizzi,
Potaggi e bulardelli,
M’entravan ne i budelli,
Ed in conclusione
Tutte le cose buone
Mi facean rallegrare,
E mi faceano stare
Assai lieto e giocondo,
Ed havrei dato fondo
A i pettin de la stoppa,
Pur che fusser stat’unti.
Interrogatus
Se facea gran ruina
Quand’era in la cucina.
Respondit
Più di cinquanta volte
Ho rotto le pignatte,
Cacciato via le gatte,
E messo confusione
Tra ‘l cuoco ed il padrone,
Spezzatogli i catini,
Spiedi, teglie e ramini,
Leccato i pignattoni
Mangiato i maccheroni
I gnocchi e le lasagne
Acciò non stesser lagne
E smilze le budelle,
I piatti e le scodelle
Le giottole e i taglieri,
I tondi e i candelieri,
Lavezzi e pentolini,
Coperchi e coperchini,
Le mescole e cucchiari,
I pistoni e i mortari,
Le role e le padelle,
I spiedi e le gratelle,
E davo della musa
Per fin alla grattusa,
E tutti i lavorieri,
Gl’ingegni ed i mestieri
Che vanno a cucinare,
E facea disperare
Le serve e i servitori,
Perché a i boccon migliori
Sempre davo dipiglio,
Più presto che un smeriglio
Quando si getta al pesce,
Oimè, che ben m’incresce
Che ‘l spasso sia finito,
Patienza, io son spedito,
Io non posso fare altro:
Son sì tristo e sì scaltro
E pur son inciampato.
S’ancor nella cantina
Ha mai fatto bombina.
Respondit
Signor, nol vo’ negare,
Perché nol posso fare,
Ma dico a l’espedita
Che sempre la mia vita
Ho esercitata in bere,
E non potevo havere
Al mondo più bel spasso
Quanto calara abasso
E andar ne la cantina,
E torre in man la spina
Di questa e quella botte,
E dar di matte botte
A l’orzo ed al boccale,
E son venuto a tale
Che tanto l’ho levato
Ch’io son imbriacato,
Ond’ho poi fatto cose
Indegne ed obbrobriose,
Che sì mi son empito
C’ha bisognato un dito
Cacciarmi ne la gola
E in cambio di parola
Mandar fuora i porchetti,
Tenendo i denti stretti
Per farli ben vergati
Facendo in tutti i lati
Scambietti e saltarelli,
Con atti nuovi e belli
A modo un scimmiotto
Del buon liquor di Bacco,
E tanto havevo il sacco
Ripieno oltra misura,
Mutando la figura
Insieme con i gesti,
Facendo hor quelli hor questi
Rider di tal pazzia,
Cascando per la via
Com’una cosa matta,
La faccia contraffatta,
La vista conturbata,
La pancia travagliata,
La testa egra e pesante,
Le gambe tremolante,
La lingua hora romana,
Hor greca, hora pagana,
Hor todesca, hor francese,
Hor turcha, hor portughese,
Hor sciolta, hora impedita,
Hor grossa, hor espedita,
E in tutte le maniere,
Che pel soverchio bere
Far soglion gl’imbriachi
Interrogatus
Se lui ha mai tirato
Le genti in alcun lato
A far superflue spese.
Respondit
Signor sì, pur assai
Volte mi dilettai
Di far spender la gente,
E adesso nuovamente,
Come si sa palese,
Ho fatto far gran spese
A molti cavalieri,
In fornir i corsieri
Con selle e briglie d’oro
Comparendo poi loro
Con livree superbissime,
Stupende e pomposissime,
Entrando nella giostra
Con lancie e con pennoni
Da forti campioni,
Perché ciascuno brama
Piacere alla sua dama,
E far che ‘l suo valore
L’accenda del suo amore,
Ch’essendo tant’arditi
Da lor son più graditi,
Ma il spasso dura poco,
Perché finito il gioco
Ecco i ricamatori,
Pennacchieri e fattori,
Marescalchi e sellari,
Ed altri bottegari,
Con i suoi memoriali,
Chi a chieder per stivali,
Chi per staffe o speroni,
Chi per calcie o giupponi,
Chi per penne o cappelli,
Per perle o per gioielli,
Chi per altre fatture,
Le qual pur paion dure
Alquanto da patire,
E spesso gli fan dire
Che son giti di fuora
E chiari trovan l’hora
D’haver i suoi quattrini;
Ancor certi meschini,
I quai quivi non nomo,
Per far il gentil huomo,
Il bello e ‘l profumato,
Han venduto e impegnato
La cappa o ‘l ferraiuolo
Per tor cavalli a nolo,
E far bel corso anch’elli,
Ed han vuoti i borselli
E fatto mille stocchi;
Poi, finiti i balocchi,
La festa ed il piacere,
Tutti quei c’han d’havere
Compariscono a un tratto,
Né finisce il contratto
Che tutto sto rumore
Va innanti al superiore,
Ond’ei tosto comanda
Ch’ un nuncio se gli manda
A portar un sonetto,
Col suo bel epitetto
A instanza de l’autore,
Composto in tal tenore:
Che comincia “Citetur,
Dopo questo, Intimetur,
Se non paga Pignoretur,
S’ha la carta Capietur,
Con ciò che segue etc.
Interrogatus
Se mai ha dato danno,
Dolor ovver affanno
Per sorte a i poverelli.
Respondit
Pur quelli ho danneggiati,
Perché gli ho deviati
Lassando i lor mestieri,
Botteghe e lavorieri,
E menatogli attorno
La notte e tutto il giorno,
Cridando come matti,
Non osservando patti,
Né termin, né misura,
Senz’haver altra cura;
Ed oltre le pazzie,
Capricci e bizzarrie,
Le qual son sine fine,
Spesso con concubine
Gli ho fatti mascherare,
Lassando borbottare
Le moglie e le figliole,
E le lor famigliole
A spender e gittare
Tutto quel che salvare
Dovevano per loro,
E senza alcun ristoro
Tornar alle lor case,
Con le lor barbe rase,
E tutte spelazzate,
E le ciglia cascate,
E molte altre novelle
Che da ste puttanelle
Nel fine han guadagnato,
E spesso hanno pescato
De’ grossi e buon tinconi,
E poi vanno, i menchioni,
Da medici e barbieri,
Chi si fa far cauteri,
Chi tol l’acqua del legno,
Ogn’un opra l’ingegno
Per scacciar via quel male,
E biasman Carnevale
Ancor chi l’ha ordinato,
Perché chi s’è pelato
E chi si va pelando,
Altri van sospirando
Che ne le tormentate
Membra, le ricercate
Senton del mal francese,
Qual cerca far palese
A lor la sua amicitia,
Onde stan con mestitia,
Perché, per quanto veggio,
Stan male, e staran peggio
Quando la primavera
Vestirà la riviera
De tante sorte fiori
Ch’all’hora daran fuori
Le crosti e le rosette,
Le bolle e le gommette,
Che li faran cridare,
E stridere, e cigare;
E perché voi finire,
Ancora v’ho da dire
Ch’a molti poveretti
Ho fatto far banchetti
Ne i quali han consumato
Tutto quel che bastato
Sarebbe intiero un mese,
Per fare a sè le spese
Ed a la sua famiglia;
Ma render la pariglia
Mi trovo a questo punto,
Poi che qui son congiunto
Per cancellare a fatto
Ogni cosa e misfatto
Ch’al mondo ho mai commesso,
E già mi vedo appresso
A l’ultimo supplicio,
E sì chiaro è l’indicio
Che non si può negare,
Né la posso scappare
Perché già son convinto
E del mio error sospinto,
E’ questo precipitio,
E perché il maleficio
A ogn’un s’ha a dichiarare,
Torno a ratificare
Quel tanto ch’io v’ho detto,
E affermo con effetto
Tutto quel c’ho narrato,
E quanto ho pubblicato
Nel processo.
Havendo appalesato,
Senza esser tormentato,
Il miser Carnevale
Ogni delitto e male
Che lui ha mai commesso
Per altri o suo interesso,
E meritando havere,
Come vuol il dovere,
Un aspro e gran flagello,
Vedendolo ribello
A tutte le creanze,
Ed alle buone usanze,
Non gli volendo dare
Come si potria fare
Con licita cagione
Di morte punitione,
S’ordina e statuisce,
Comanda e stabilisce,
Che solo ei sia frustato
Per piazza o sul mercato,
E poi messo in berlina
Tenendo una gallina,
Ovveramente un pollo,
Sempre attaccato al collo,
Per segno manifesto
Ch’egli era ardito e presto
A bevere e mangiare,
Che più tosto crepare
Voluto havria di botto
Che mai nulla di cotto
A lui fusse rimaso;
E per chiarir il caso,
E far la cosa netta,
A un pubblico trombetta
Ei si farà bandire,
E ch’ei debba partire
Il Mercordì a buon’hora,
Su’l spontar de l’aurora,
Che sarà il dì secondo
Di Marzo, e così attondo
Andrà per l’emispero,
Finito l’anno intiero,
Il qual finito, poi
Ritornarà da noi,
Se non si rompe il collo,
E qui, sul protocollo
Sarà segnato il tutto.
Bando
Odite, odite, odite!
Oh là, tutti correte
Si fa intendere a tutti,
A donne, huomini e putti,
Che mercordì mattina
Ogn’un con gran ruina
Si debba ritrovare
Insieme per scacciare
Quel tristo e fraudolente,
Quel giotto ed insolente
De l’empio Carnevale,
E per più danno e male
Percoterlo con mazzi
D’herbette e di spinazzi,
Di cappe e di sardelle,
Di tenche ed acquatelle,
Di luzzi e di tonine,
D’anguille e di raine,
Di gambari e ranocchi,
Di noce e di finocchi,
Di pesce marinato,
Del fresco e del salato,
E d’ogni sorte cose,
Che a lui sono tediose,
E che ‘l sia discacciato
Giù del nostro contato,
Con tutti i suoi compagni,
Ch’egli ha sempre a i calcagni,
Come sarebbe a dire
Ogn’un stia ben a udire,
Ogni sorte carnume,
D’ontume e di grassume,
Bovi, vacche e vitelli,
Porci, manzi ed agnelli,
Pollastri, oche e galline,
Anitre e colombine,
Fagian, lepre e pavoni,
Salami e salcizzoni,
Tordi, quaglie e pernici,
Rondoni e cotornici,
Polpette e figattelli,
Soffritti e bulardelli,
Ballotte e tomaselle,
Persutti e mortadelle,
Ravioli e tortelletti,
Fiolate e cappelletti,
Ed in conclusione,
Ciò ch’a questo poltrone
Parea che dilettasse,
E s’alcun l’accettasse,
O in casa lo tenesse
Ascoso, o chi volesse
Aitarlo o favorirlo,
O in tutto mantenirlo,
Quel tal sia incarcerato,
Punito e castigato
Di così grave errore,
Ed a l’accusatore
Sia usata cortesia,
In tal modo e tal via
Ch’ei potrà contentarsi,
Ogn’un debba guardarsi
Da la mala ventura.
IL FINE
I testi sono tratti dalle copie digitali realizzate nel 2006 dalla biblioteca Comunale dell’Achiginnasio e dal paziente lavoro di trascrizione nel sito www.giuliocesarecroce.it/trascrizioni.htm