IL PASSATO, IL PRESENTE E IL FUTURO Intervista al Dott. L. M. GIACHI Primario di Ortopedia
2017/03/28, Vergato – Un tema ritornato di attualità a seguito del ventilato trasferimento del reparto di ortopedia da Vergato a Porretta.
Il PASSATO, IL PRESENTE E IL FUTURO
Intervista al Dott. L. M. GIACHI Primario di Ortopedia e Traumatologia
«Dunque la sua divisione e l’ortopedia e traumatologia dell’Appennino compiono dieci anni; questo tempo le sembra trascorso veloce?».
«Velocissimo, al punto che per rendermene conto devo spesso fare dei confronti con cose e persone che mi sono cresciute intorno».
«È soddisfatto?»
«Personalmente sì, e mi pare che in generale anche la gente lo sia».
«È stato duro iniziare?».
«È stata una faticaccia, entusiasmante però: aprire una divisione, offrendo servizi nuovi e non conosciuti nella zona comporta un lavoro organizzativo capillare, lungo e pesante: è necessario formare la mentalità e la manualità nel Personale, per omogeneizzarlo in un concetto di squadra, dove ognuno ha compiti precisi che devono integrarsi in quelli degli altri. Da questo punto di vista sono stato favorito dalla grande buona volontà degli infermieri che all’inizio formavano il gruppo e dalla disponibilità di quei Medici di famiglia che ci hanno accordato fiducia.
Tutto questo può sembrare enfatico e diplomatico detto a chiusura del «bilancio decennale», tuttavia mi preme sottolineare che ho trovato nei Collaboratori una dedizione al dovere e una voglia di bene figurare di grandissimo sostegno. D’altra parte sono certo che negli ospedali di dimensioni come i nostri esiste una maggiore personalizzazione nei confronti dei Pazienti e nei rapporti tra collaboratori, rispetto alle megalopoli ospedaliere urbane. Per tutto questo accomuno tutti nella mia gratitudine; è anche vero che qualcuno ha dato ancora di più, ma mi sembra giusto non essere più specifico qui… tanto lo sappiamo benissimo io e loro, ed è sufficiente».
«Dopo l’inizio, il periodo della gavetta quanto è durato?».
«La gavetta vera un paio d’anni, ma c’è sempre da lavorare in qualche cosa di nuovo. Intanto devo ricordare che le Divisioni di Ortopedia e Traumatologia dalle nostre parti non sono funghi: esiste un ampio territorio tra Bologna e Pistoia, tra Pavullo nel Frignano e Prato, nel quale si ingerisce il nostro servizio. Non dimentichiamo che ottenere un posto letto a Bologna non è facile; non dimentichiamo che l’industria turistica e termale trasforma per 6-7 mesi all’anno la potenziale utenza dai 46.000 residenti alle 146.000.000 reali presenze. Non per nulla nelle nostre statistiche esiste un 20-25% di Pazienti con necessità ortopediche provengono da altre U.S.L. o altre Regioni. In questi ultimi 10 anni abbiamo assistito, insieme ad un’aumentata spinta turistica, ad un incremento di utenza.
Vorrei inoltre annotare che anche la tecnologia ortopedico-traumatologica è progredita: artroscopia, protesi non cementate, microchirurgia che 10 anni fa non esistevano o erano ancora da collaudare, ora sono praticate anche a Vergato; tutto questo non si fa solo con gli strumenti, ma anche col Personale e l’organizzazione. Per questi motivi si è in continua crescita e sempre un po carenti di vitamine, cioè di mezzi; si può rischiare, a volte, di avere gli strumenti, ma non la potenzialità di farli funzionare».
« Vedo che si rammarica di non avere sempre a disposizione le persone per organizzare certi servizi. A questo riguardo come sono i Suoi rapporti con l’Amministrazione?»
«Direi buoni. Non bisogna dimenticare che esiste da anni una certa precarietà generale: i limiti imposti dalla recente legge finanziaria sulla possibilità di assumere personale è un esempio, e le Amministrazioni spesso si trovano a fare i conti con le cifre, non con le infezioni. Certo è che di fronte a reali esigenze e sull’esempio dato durante questi dieci anni, qualche cosa è stato ottenuto e ancora si dovrà ottenere per continuare ad essere autosufficienti».
«Mi sembra di capire che è soddisfatto del livello qualitativo della Sua équipe, sia pur dolendosi per la sua scarsa entità numerica…»
«In realtà non siamo tanti e la crescente richiesta impegna il tempo a nostra disposizione per la routine di reparto, di ambulatorio e di sala operatoria; il tempo per studiare o per acquisire nuove metodiche lo troviamo altrimenti; chi, soprattutto tra i giovani, non fosse disposto a qualche sacrificio, potrebbe diventare forse un buon artigiano dell’ortopedia, ma non un buon professionista».
«E i rapporti con la gente di qua?»
«Ottimi, emiliano io, emiliani loro: ci si intende. Poi la gente dell’Appennino ha conservato una pulizia morale e una disponibilità che nelle città maggiori è difficile da scoprire. Non bisogna dimenticare che è gente che ha sofferto: ancora oggi su molte di quelle pelli sono tatuate le ustioni delle schegge di mina; difficilmente da queste parti esiste una famiglia che non ha perso un congiunto sulla linea Gotica; il ricordo del dolore e delle angherie patite fa mantenere salda la fede nei valori umani.
Ci sostengono nella nostra professione e a volte anche enfatizzano il nostro operato: ricordo che la prima volta che abbiamo operato un neonato, agli ultimi punti di sutura, già se ne parlava in piazza; al primo Kuntscher di femore il «miracolato di turno» faceva la passerella in paese tra i complimenti degli amici i quali non credevano di vederlo in piedi cosi presto».
«Ha qualche rimpianto o ricorda qualche avvenimento che lo ha toccato in modo particolare?»
«Siamo tanto vicini al Rizzoli e tante sono le occasioni di frequentarlo che non rimpiango la scelta fatta dieci anni fa; anzi, sono contento di essere qui e obiettivamente non speravo neppure che si potessero fare alcune cose che per organizzazione e strumenti ritenevo sproporzionate per una Divisione della provincia.
Neppure nessun rimpianto per l’attività svolta qui, sempre mirata a crescere e con la speranza di continuare e progredire, qui o altrove, se si creeranno le occasioni.
In questi dieci anni ci sono stati sicuramente avvenimenti che mi hanno toccato e a volte commosso: la gratitudine e l’amicizia dimostratami, magari in modo semplice, da alcuni Pazienti; oppure l’emozione e la pietà che suscitano talune situazioni umane nelle quali si è costretti a entrare nel rapporto con l’ammalato; ma questi sono avvenimenti che non devono essere palesati, nel rispetto degli altri».
«Cosa prevede e cosa si augura per il futuro?»
«In senso generale la «sburocratizzazione» della medicina e una maggiore libertà di azione nel rispetto di specifiche competenze. In senso più restrittivo: di poter continuare la professione sulla cresta delle novità; in sostanza: di mantenere il processo di crescita aderente alla tecnologia e al pensiero ortopedico, che sono in continua evoluzione».
Intervista a cura di Giacomo Martini
Estratto da; DIVISIONE DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA VERGATO 1976-1986
Pubblicato a cura di U.S.L. n. 21
prossimamente; Le pubblicazioni scientifiche