RICORDI DI CIELO
“Il rumore doveva essere lo stesso”, disse Frank.
“Come?”, chiese Luciano.
“Quello degli aerei a elica”, rispose l’amico.
I due si erano dati appuntamento sulle rive del Lago di Suviana ed erano seduti su un sasso.
A destra vedevano la diga; di fronte a loro, un po’ a sinistra,si stagliava Badi.
Bruciava Monte Pero e i Canadair prendevano acqua dalla diga, per spegnere l’incendio. Lo spettacolo era esaltante, quasi da esibizione.
I velivoli arrivavano da Riola, a bassa quota; si abbassavano sempre più, quasi a sfiorare il fronte di cemento. Subito dopo accarezzavano la superfice d’acqua, per riprendere quota e virare verso Badi; il tutto ogni otto minuti.
“E’ tutto come allora”, disse ancora Frank.
Luciano non capiva, e vedeva l’amico attonito, inespressivo, concentrato su atterraggi e decolli, quasi timoroso.
“I bambini correvano fuori di casa”, aggiunse, “Nonostante le mamme non volessero”.
Luciano capì che Frank stava pensando al secondo conflitto mondiale, alla guerra di quei posti, alla vita che si adatta al conflitto.
“Si sparava anche in cielo”, disse Luciano.
“Era un’altra guerra, diversa”, rispose l’amico. “Si guardava al cielo, quella volta non per il tempo”. “Lassù erano tutti angeli, buoni o cattivi; e poi eroici, spericolati, non più soldati”.
“Bombardavano Ponte della Venturina”, affermò Luciano.
“Non solo”, rispose Frank. “C’erano anche i voli notturni, quelli della paura”. “Si facevano conoscere dal rombo, più cupo e pesante la notte”. “La gente ascoltava da letto, senza scappare; ma gli occhi erano al soffitto, perché sarebbe stata lanciata una bomba, ma chissà dove”.
“Tanti bambini sono cresciuti col ricordo di quegli aerei, quando si sfidavano nell’azzurro rincorrendosi”, disse Luciano.
“E molti impararono a riconoscerne i modelli e anche le nazionalità”, aggiunse Frank. “Le maestre delle elementari si videro restituire tanti disegni con i bombardieri in volo”. “I piloti erano John, Freddy, Paul; tutti americani col giubbotto di pelle foderato di pelo”.
“Sembra che un aereo sia precipitato proprio qui, dentro la Diga”, disse Luciano.
“E’ vero, si dice”; di certo ne è caduto uno sopra Vergato, ne hanno ritrovato i resti due anni fa”, rispose Frank.
I due rimasero in silenzio, a lungo. Ai loro occhi apparvero tante fotografie in bianco e nero: erano i ritratti di quei piloti, tutti sorridenti, felici, inconsapevoli.
Un Canadair stava arrivando. Le ali sembravano lambire la diga, perché per un attimo scomparvero sotto il profilo del muro. Poi il velivolo riapparve, annunciato dal rombo dei motori.
“Io quella volta non riuscii”.
Luciano e Frank si guardarono. Quella voce proveniva da chissà dove, ed era fioca, debole. Non capivano, probabilmente si trattava di un sogno, o forse di una suggestione.
“Mi avevano colpito di coda, e precipitavo”, continuò il personaggio misterioso.
Luciano e Frank videro risalire la riva un uomo dai capelli bianchi. La carnagione era grigiastra. Indossava una tuta da aviere d’altri tempi, con una maschera che penzolava sul petto.
Sogno o suggestione, il pilota continuava a camminare verso i due amici.
“Ebbi paura solo all’inizio”, continuò, “Quando i colpi colpirono le ali e un po’ di fumo uscì dal motore”.
“Percepii un sobbalzo, poi la punta dell’aereo puntò verso il basso”. “Vidi l’acqua, e anche le case; tutto diventava più vicino”, “Andavo verso la guerra, quella della polvere e del fango; dove la gente spara, scappa, crede, immagina, spera”.
Luciano avrebbe voluto comprendere, Frank sembrava persuaso e disse:
“Ne devono essere caduti tanti, di piloti; e alcuni si sono salvati”.
“Fui accolto con ospitalità”, disse il pilota, “Mi nascosero nel fienile”. “Se sono salvo, lo devo alla gente di qui”.
Anche il pilota si sedette su un sasso. Da addetto ai lavori, guardò i Canadair con attenzione, accompagnando le evoluzioni con lo sguardo.
“Sono bravi”, disse.
Luciano guardò Frank, che ricambiò l’occhiata. Non si parlarono, ma gli sguardi furono d’intesa.
Il rumore era lo stesso, ma pure il posto: con i monti, le valli, la Diga e tutto il resto. Si guardava al cielo, come un tempo: probabilmente con più speranza.
Non si sparava più, eppure il bacino era sempre lì, pronto ad accogliere e dare; restituendo acqua al cielo e alla vita.
Luciano Marchi |