Gli sposi in seconde nozze – “la maitinè” dal diario di Ida Samuel
2018/01/12, Vergato – Gli sposi, seconde nozze. La “maitinata”, una ricerca di Umberto Bernardi che ha trovato “soccorso” da Carmen Vannini che gentilmente ci invia questa segnalazione pubblicata su;
Maria Carmen Vannini Marcello Maselli, PIOPPE DI SALVARO, Storia e memoria
Pro Loco di Pioppe di Salvaro Gruppo di studi alta valle del Reno – Porretta Terme –
Pioppe di Salvaro 2005.
Dal diario di Ida Samuel:
– Quando due paesani alle nozze, erano tutte e due, o anche uno solo al secondo matrimonio, accadevano cose curiose.
Parecchi giorni prima delle nozze, una settimana, si iniziavano i fatidici concerti serali a base di pentole vecchie, tegami rotti, chiamati “la maitinè”.
Quasi tutte le sere il clamoroso gruppo di dimostranti si recava a casa del futuro o della futura sposa e cominciava la “sinfonia” tra il comprensibile entusiasmo degli interessati, forse a volte tentati di accogliere a schioppettategli “orchestrali”.
Come Dio voleva, si giungeva alle nozze.
Al mattino, per tempo, a piedi, gli sposi andavano in chiesa dove li attendeva una modesta cerimonia. Al termine del rito, il corteo degli sposi riprendeva la via del ritorno, mentre gli “ sgabellanti ” davano ai convenuti i tipici zuccherotti montanari e dalla ricchezza della distribuzione si giudicava la ricchezza della coppia.
Gli invitati andavano poi al pranzo dalla famiglia della sposa e la sera da quella di lui sempre di domenica, s’intende, che nei giorni feriali, c’era il lavoro che non si poteva lasciare e a nessuno veniva in mente di lasciarlo.
Ricordo che una domenica – quella del matrimonio – fra un pranzo e l’altro – Cesarino Peri – lo sposo – operaio di fabbrica, addetto alla illuminazione ad acetilene, venne in casa nostra con la sposa, come d’uso, a portare la “fazzolettata” di zuccherini alla mia famiglia.
La “banda” li aveva seguiti e fuori, sotto le finestre cominciarono una nutrita “sinfonia”. Cesarino Peri, ormai sfinito di tanto clamore, pregò mio padre di lasciarlo tornare a casa sua, alla “Casona”, dall’interno della fabbrica e così fece, lieto di giocare un tiro birbone ai suoi suonatori.
Dopo prolungata attesa, intuito lo scherzo, tutti arrabbiati, i “pifferai” che erano rimasti “suonati”, si riversarono alla “saliciata” della Casona, ma non poterono iniziare la banda e neppure provare un fischio perché lo sposo li prevenne, li chiamò in casa e lì, fra uno scoppio e l’altro di tappi che volavano in aria, tutto finì nella generale allegria, mentre si perdevano nell’aria le ultime battute della “zirudela” di circostanza:
“Zirudela dal bon ven, o bi spus a-v’salutèn: saluten’sta spousa bela, toch e dai la zirudela”… “