Nelle Valli Bolognesi – Piazza Marino, il poeta contadino sempre ricordato a Vergato
2019/02/16, Vergato – Quando il mercato settimanale del lunedì era attrazione e spettacolo per tutti gli abitanti di Vergato e delle zone adiacenti…
Un’incontro fra generazioni avvenuto in questi giorni; le foto di Stagni Sisto (Archivio Stagni a cura di Maurizio Nicoletti – 91.XXXII.1973) e la storia di Gian Paolo Borghi, che racconta, hanno portato a sciogliere un’equivoco durato per troppo tempo. Piazza Marino non era il venditore di cappelli ma lo era il fratello Silvio, frequentatore del mercato del lunedì. Il mito di Piazza Marino a Vergato? Rimane ma continua la ricerca… (Grazie a Roberto Neri, vedi commento a fondo pagina)
PIAZZA MARINO, il poeta contadino
Gian Paolo Borghi – Le tradizioni popolari della pianura bolognese tra fede storia e dialetto.
(Tratto da; Nelle Valli Bolognesi Anno XI nr.40 – Gennaio Febbraio Marzo 2019 – La rivista è un prodotto editoriale ideato e realizzato da EMIL BANCA – Riproduzione autorizzata dal dott. Edgardo Fornasero, direttore commerciale)
Nel precedente numero ho ricordato Taiadèla, un cantastorie padano molto noto anche dalle nostre parti; questa volta provo a ripercorrere alcune fasi dell’epopea di un cantastorie bolognese, del quale quest’anno si celebra il 110° anniversario della nascita: mi riferisco a Marino Piazza (1909-1993), ovvero a “Piazza Marino, il poeta contadino”, secondo una sua felice autodefinizione.
Marino nasce nelle campagne di Bazzano, in una povera famiglia che, per togliersi dal desco una bocca da sfamare, lo. manda ancora giovanissimo a fare il garzone da un contadino. Quel mestiere però non gli piace e sogna invece di poter fare il cantastorie. Inizia così a frequentare i mercati nelle sue vicinanze per assistere alle loro esibizioni. Un personaggio, in particolare, lo ispira: si chiama Emilio Uguzzoni, si definisce “Poeta della verità” e scrive soprattutto zirudèle (poesie dialettali a rima baciata) sui più svariati argomenti (privilegia comunque le situazioni comiche e satiriche) che fa stampare su fogli e foglietti colorati e che vende al pubblico, visibilmente divertito.
A sedici anni, Marino stampa la sua prima zirudèla e la recita al mercato di Bazzano incontrando il favore degli astanti. Da quel momento e per quasi tutta la sua vita, i mercati, le sagre e le fiere (e, in seguito, i palcoscenici delle feste paesane) diventano il suo regno. Da solo o in compagnia di altri cantastorie – come Vincenzo “Bob/1 Magnifico e Adelmo e Dina Boldrini – percorre in lungo e in largo l’Emilia, la Romagna e le confinanti Marche. Al pari del “Poeta della verità”, la sua innata vena poetico-popolare lo induce a scrivere e a recitare centinaia e centinaia di zirudèle, in grado di affascinare un uditorio in cerca di qualche pausa di allegria e che si aspetta grassi giochi di parole, storie umoristiche, intrecci e contrasti con al centro il suo mondo contadino. Alla poesia abbina anche testi in versi e musica, tratti dalla cronaca quotidiana: delitti, sciagure, ricordi di guerra, tematiche civili e sociali, e così via.
I mercati della “bassa” lo ospitano sempre volentieri, in particolare quelli di San Giorgio di Piano (lunedì), Budrio (martedì), Crevalcore (martedì), San Giovanni in Persiceto (mercoledì) e Cento (giovedì). In questi luoghi si muove con grande disinvoltura e consegue successi, anche economici, di rilievo.
I piccoli e grandi avvenimenti sono fonte di ispirazione per le sue composizioni dialettali, che portano titoli di questo tenore: Società “Va l’amor”/si è spenta nel dolor (una mancata festa organizzata da una compagnia di Tivoli di San Giovanni in Persiceto); Tre ragazze in compagnia / hanno commesso una fesseria (tre ragazze di Manzolino di Castelfranco Emilia, che disturbano i vicini); Un afèri ech fa spavent / /’è suzes a Boncunvent (un affare che fa spavento è successo a Buonconvento… di Sala Bolognese); Una gran festa iàn fat / con 76 chilo ed cheren edgat (uno scherzo carnevalesco di dubbio gusto); Un fatto successo a Castagnolo / di una ricamatrice amante dell’usignolo (doppi sensi in… località Castagnolo di San Giovanni in Persiceto); Una cosa rara / fra Sala e Calderara (storia di un giovanotto geloso).
II tema della fine della guerra e della riconquistata libertà lo impegna in maniera rilevante; in Dopo la tempesta e il gran ciclone/è arrivata la nostra liberazione, già i primi versi sintetizzano gli attesi eventi: Zirudèla finalment/l’è passè al gran spavent / l’è passeda la gran pora / dal rifug a sen vgù fora. //Dapla tempesta e al gran ciclan / l’è vgnò la nostra liberazian / ai è arrivè i Anglo American / tott cuntent a sbativen al man (Zirudella finalmente / è passato il grande spavento / è passata la grande paura / dal rifugio siamo venuti fuori. // Dopo la tempesta e il grande ciclone/è venuta la nostra liberazione / sono arrivati gli Anglo Americani / tutti contenti battevamo le mani). Nel corso degli anni, Marino Piazza affronta anche temi di attualità internazionale, come le future avventure spaziali russe e americane. In l’uomo nello spazio, unisce l’inno al progresso a un futuro che vuole scherzosamente prospettare anche per i giovani. Per farlo, alterna il dialetto all’italiano: Ascoltatori vicini e lontani / un Russo e un Americano / senza dogana senza dazio/sono entrati nello spazio /è una gran fortuna / prest andren souvra a la luna / Giove, Venere, Saturno e Marte / potrem girare in ogni parte. (…) Per i zuvan l’è una fortouna / spuser una dona ed la Louna / una Marziana, una Lunatica / una Venere Simpatica / là so agli en tatti senza stanèla / tic e tac la zirudèla. Credo non occorra traduzione se non per specificare che la stanèla è la gonna!
In quest’altra composizione, i versi sono tutti in italiano: è la Zirudella sull’I.V.A., la nuova imposta (1972), che gli offre l’occasione per scherzare e fare il punto sulla situazione politica, italiana e non: Zirudèla, il mondo fila, / se ne va verso il duemila: / il progresso ovunque avanza, / cambia moda, cambia usanza… / or la cosa è positiva / in Italia è giunta l’I.V.A. // (…) E perciò le nostre donne, / con le facce da madonne, / sia in paese che in città, / bionde o brune, in ogni età, / sono già in Cooperativa / per applicar sui baci I’I.V.A. // (…) Son momenti poco belli / per la Creda e i colonnelli, / ma da noi c’è democrazia, / e a Bologna c’è allegria, / perché questa è la città / della cordialità; / tortellini e tagliatelle, / vino rosso a garganelle, / le due torri e il Gigante /e le spose con l’amante / viste in posa negativa/e il marito paga… l’I.V.A.
Nel 1970, a Piacenza, Marino Piazza viene insignito del titolo di “Trovatore d’Italia”, come migliore cantastorie di quell’anno. Di recente, Bologna lo ha ricordato con l’apposizione di una targa celebrativa nel luogo dove per anni ha “regnato”: il “suo” mercato della Piazzola.