Don Giuseppe Ferretti – Dialoghi; Siracide CAP. 3 versetti 25 – 29: Se non hai le pupille, tu manchi di luce
2020/03/31, Vergato – Appuntamento settimanale con don Giuseppe Ferretti e il suo gruppo che si occupa di leggere e meditare la Sacra Scrittura in particolare il libro del SIRACIDE.
I “dialoghi” pubblicati ora si riferiscono al 2011 mentre gli incontri di quest’anno tenuti fino a poche settimane fa sono sospesi fino a data da destinarsi.
25Se non hai le pupille, tu manchi di luce;
se ti manca la scienza, non dare consigli.
26Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male,
chi ama il pericolo in esso si perderà.
27Un cuore ostinato sarà oppresso da affanni,
il peccatore aggiungerà peccato a peccato.
28Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
29Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
SIRACIDE
Siracide CAP. 3 versetti 25– 29 Martedì 20/12/2011
Se non hai le pupille, tu manchi di luce; se ti manca la scienza, non dare consigli.
Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male, chi ama il pericolo in esso si perderà. Un cuore ostinato sarà oppresso da affanni, il peccatore aggiungerà peccato a peccato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la piante del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
Francesca:.Il tema è l’orgoglio. L’orgoglio è un opera della tenebra e quindi manca completamente la luce di Cristo. Sono i comandi del Signore che danno la luce agli occhi, (Salmo 18)” Se manchi di scienza non dare consigli” Mi sembra che la risposta la dia il Vangelo (MT, 23) Gesù va contro i membri del Sinedrio perché danno consigli, ma mancano di scienza e ai suoi discepoli dice:
“Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere perché sì dicano, ma non fanno” Quindi quando siamo in questo atteggiamento manchiamo di scienza e il nostro consiglio cade nel vuoto, e quando l’orgoglioso cade nell’ostinazione, il cuore indurito si mette a livello dello spavaldo e non accetta la correzione (Proverbi Cap. 9 v. 7): chi corregge lo spavaldo ne riceve il disprezzo e corre il pericolo di diventare incurabile e alla fine sceglierà di fare il male.
(Genesi Cap. 4 v. 6) Il signore dice a Cino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo voltosegna il v. 27 – “se agisci bene non dovrai forse tenerlo alto, ma se non agisci bene il peccato è accovacciato alla tua porta, verso di te è il suo istinto e tu lo dominerai”. Quindi l’uomo ha in sé la capacità con le dovute disposizioni (V. 29) “a dominare il male e scegliere il bene, ma il peccatore incurabile aggiunge il peccato al peccato”.
Silvio: Io non comprendo molto bene quando dice: “chi manca dalla scienza non deve dare consigli”, perché questa frase la dice uno che ha la scienza, chi non ha la scienza non ha questa sapienza e dà consigli, quindi c’è in realtà un mondo di consigli non sapienti e delle volte ho quasi l’impressione che ci sia una perversa soddisfazione di perdersi, qui dice che poi ci si perde, il cuore ostinato alla fine cadrà nel male, chi ama il pericolo in esso si perderà. A volte ho proprio l’impressione che ci sia una perversa soddisfazione nel perdersi in questi consigli, in questa ostinazione del male. Al versetto 28 dice: “Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio”; ho trovato una traduzione precedente che lo presenta così’: “La sventura non guarisce il superbo”, quindi ci dice che la grande ostinazione presente in questi versetti con tutti questi mali, con tutte queste difficoltà, con tutti questi affanni aggiunge peccato a peccato, non c’è sapienza in tutto questo, non è che attraverso tutte queste difficoltà uno possa arrivare, no, è sempre una ostinazione più profonda. Delle volte a me è capitato di pensare oppure di sentire dire: “è possibile che poi non l’abbia capito?!! Non lo capisci?!”. Mi sembra che qua si possa arrivare a questa conclusione disperata, perché sembra che non ci sia soluzione a tale condizione di peccato e di insipienza così profonda. Fortuna che c’è il Natale!
Mirella: Io non ho approfondito nulla, ma non so come definire ciò che abbiamo ascoltato perché:
chi è che ha la scienza in questo mondo? non ce l’ha nessuno; se lo Spirito Santo non ci desse la sapienza, nessuno di noi potrebbe dare consigli; una madre dà sì consigli ai figli, ma per amore non per scienza, non perché ha la scienza dentro di lei. Io non ho letto nulla e non ho fatto riferimento alla Bibbia, dico solo quello che mi viene spontaneo: non so cosa sia meglio tra amore e scienza, perché chi ha la scienza? Chi conosce un argomento non ne conosce un altro, chi è che ha la scienza infusa? nessuno; allora nessuno dovrebbe dare consigli, però se uno è sulla strada sbagliata bisognerà pur dirglielo in un qualche modo! Io non sarei così fiscale, tra virgolette, non so se mi sono spiegata.
Don Giuseppe: Se non hai le pupille, tu manchi di luce; questa è una constatazione evidente! se ti manca la scienza, non dare consigli, è evidente anche questa, quindi vuol dire che è una scienza di cui si recepisce se c’è o se non c’è. Se noi prendiamo l’elenco dei sette doni (sapienza, intelletto, consiglio, scienza, fortezza, pietà, timor di Dio), troviamo che scienza e consiglio sono vicini come appunto è in questo testo, quindi è chiaro che questa scienza è dono dello Spirito Santo e, dal contesto precedente e dalla contrapposizione seguente, che è una scienza che nasce dall’umiltà . La
scienza gonfia, dice San Paolo, la carità edifica non per un principio di contrapposizione, ma per un’integrazione. Vera scienza è quella che è dentro l’alveo dell’amore e quindi dell’umiltà, del rispetto dell’altro, della capacità di relazione, per cui il consiglio scaturisce proprio da questo atteggiamento spirituale che è quello di relazionarsi all’altro con grande rispetto, umiltà, attenzione. Difatti un consiglio stolto è quello che nasce dalla violenza: t’imponi, costringi, fai passare sotto consiglio quello che è una tua volontà, una tua determinazione, che è diverso. Comando non è consiglio, il consiglio lascia libero la coscienza dell’altro di seguirlo o no. Il comando, in base al rapporto che esiste, vincola. Quello che segue spiega poi questo versetto che non c’è nel testo greco, ma solo in quello latino. Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male, chi ama il pericolo in esso si perderà.
Gesù nel Vangelo condanna il duro di cuore, lo troviamo in diversi passi (non moltissimi in realtà) del Vangelo in cui Gesù connota l’atteggiamento col termine durezza di cuore, quindi il cuore duro è il rifiuto ostinato nell’accogliere la parola di Dio, nel rifiutare l’insegnamento che il Signore ci
dona, per cui ci si priva di quella necessaria intelligenza per comprendere la parola di Dio poiché si dichiara di essere in grado di agire da soli, di avere una scienza superiore a quella della parola di Dio; ci si ostina, come il cuore del Faraone che appunto si ostinò di fronte ai segni che il Signore gli
dava: “sempre più indurì il suo cuore”, dice il libro dell’Esodo. Per cui il cuore duro è una consapevolezza del bene da fare e ostinarsi a fare il male, quindi è una perversione voluta dalla mente, dal proprio sentire che gode nel fare il male e quindi, capite, è un atteggiamento molto diverso da chi riconosce un proprio limite e non riesce a dare un consiglio o a dire una parola perché è limitato, ma con questo non è che il suo cuore sia duro.
L’esperienza ci insegna, cadrà nel male ci dice il testo. Infatti i ragionamenti del cuore duro in principio sembrano dare successo alla persona: si esprime con grande forza, con lui non si può discutere, ha sempre ragione, per cui lo si tiene a una certa distanza e addirittura lo si teme perché si teme l’ira che può prorompere da un momento all’altro; a sua volta lui si chiude in questo circolo vizioso, si sente una persona temibile che rispettano tutti, ma, alla fine, la conclusione di questo processo è il male, il cuore duro si distrugge nell’isolamento, nella rabbia e in tutto quello che comporta il suo atteggiamento. Noi possiamo sentirci il cuore indurito dentro, a volte ci sentiamo ostinati, ci impuntiamo, vogliamo quella cosa a tutti i costi anche quando capiamo di non aver ragione ma non vogliamo cedere, e allora, dice l’abate, la goccia scava la pietra e la goccia è tenera, la pietra è dura, ma la goccia che cade costante fa il buco nella pietra; così dice la parola di Dio: “apre il cuore di chi ascolta al timore di Dio” , cioè ascolta la parola di Dio. Anche se è un cuore indurito la parola te lo cambia, lentamente, progressivamente ti accorgi che hai un altro cuore.
Un cuore ostinato sarà oppresso da affanni, il peccatore aggiungerà peccato a peccato. Prima di questo versetto la Bibbia latina ne mette un altro che suona così: “Il cuore che cammina su due strade non avrà successo e il malvagio vi si smarrirà, un cuore ostinato alla fine cadrà nel male poi dice chi ama il pericolo in esso si perderà.” Torno un attimo indietro: chi è che ama il pericolo? Ama il pericolo colui che, diremmo nel nostro linguaggio, è uno spaccone, quello che si vanta d’imprese grandi che suscitano ammirazione negli altri per cui si sente forte, furbo, in realtà è mosso dalle passioni per cui è il suo orgoglio che lo spinge a mettersi sempre in mostra in situazioni pericolose, per cui amare il pericolo, dice il grande padre Basilio, è demenza in sommo grado. Difatti il proverbio Cap. 28, v. 14 dice “Beato l’uomo che teme sempre, ma chi indurisce il suo cuore cadrà nel male”.
Nel testo ebraico, invece, questa seconda parte del versetto è in un rapporto di contrapposizione; dice la prima parte: “Un cuore ostinato alla fine cadrà nel male”. Qui l’ebraico cambia: “chi ama le cose buone agirà in esse”. Chi ama il bene farà il bene, e qui il testo latino aggiunge: “il cuore che cammina su due strade non avrà successo e il malvagio di cuore vi si smarrirà”. Quali sono queste due strade? sono quelle che la scrittura presenta sempre come contrapposte: la via del bene e la via del male. Quindi colui che agisce con il compromesso un po’ nel bene e un po’ nel male, dà un colpo al cerchio e uno alla botte e alla fine inciamperà, non potrà resistere e quindi cadrà a causa del suo male.
Vengo al versetto 27
Un cuore ostinato sarà oppresso da affanni, il peccatore aggiungerà peccato a peccato- Chi indurisce il suo cuore si ostina, non ha un cammino agevole perché gli affanni lo appesantiranno presto, sarà in agitazione in quanto le cose non vanno secondo i suoi progetti, i suoi desideri, la sua determinazione in quello che lui ha compreso e vuole fare, quindi sarà carico di affanni, di agitazioni, di pesi che non potrà sopportare in quel cammino e allora ecco la seconda parte del versetto “il peccatore aggiungerà peccato a peccato” cioè, aggravato da questi affanni, egli pensa di trovare sollievo nel peccato, quindi si abbandona alle sue passioni, ai piaceri, pensando di alleviare quei pesi che ha dentro di sé, ma in realtà non fa che aggiungere peccato a peccato, quindi aggrava sempre più la sua situazione. E’ il discorso del divertimento passionale che nasce quando la nostra vita s’imposta in un certo modo, non accogliamo il giogo soave e il peso leggero del salvatore, ma ci ostiniamo a portare i nostri pesi, i nostri gioghi, per cui il padrone che ci ha resi schiavi di tanto in tanto ci dà delle false e fugaci gioie nei piaceri che passano e quindi sempre più ci lega al peccato.
Agostino analizza nel Libro VIII° delle Confessioni al Cap. 5 questo processo e dice: “Dal traviamento della volontà nasce la libidine, quando si diventa schiavi della libidine nasce l’abitudine, non resistendo all’abitudine nasce la necessità”, quindi alla fine uno ha una corda che lo trascina dalla quale non si sente più libero. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio perché in lui è radicata la pianta del male. La condizione del superbo è chiamata misera perché anche se egli è punito, l’orgoglio è talmente radicato in lui che non accetta nessuna correzione, ma al contrario appena è libero si ostina, come ho già detto in precedenza, a causa del suo orgoglio, in quello che gli è stato proibito e in cui è stato corretto per un moto di ribellione, di ira sempre più forte che ha nell’orgoglio il suo principio. Poi può anche essere umile per convenienza, aver l’apparenza, ma non cambia nell’intimo. Dice “perché in lui è radicata la pianta del male”, quindi essendo radicata non c’è cambiamento che possa togliere questa pianta del male dal suo cuore.
Questa opera non è umana, ma è divina, è solo Dio che può redimere strappando questa pianta che è radicata nel cuore e che più o meno abbiamo tutti dentro di noi e che non può essere sradicata dal costume, dai rapporti, ma può essere sradicata solo dalla forza della redenzione di Gesù dentro di noi. Il saggio dice: “con le parole della sapienza è impossibile”, quindi noi dobbiamo ricorrere ad altri rimedi e questi rimedi non sono altro che la redenzione di Gesù che da ricco che era si fece povero per arricchirci con la sua povertà e umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Il testo ebraico è molto vivace in questo proverbio e dice: “Non correre per curare la piaga del beffardo perché non c’è per essa guarigione poiché da cattivo ceppo è il suo ceppo”. Quindi non ti affannare coi discorsi, con le parole, riconosci che c’è un limite, non credere di essere capace: è un opera che solo Dio può fare e quindi puoi invocare lui affinché cambi il cuore. A volte purtroppo un padre, una madre possono incontrare un figlio o una figlia che sono ammalati di questa malattia dell’orgoglio in un modo forte e evidente e quindi devono pregare il Signore, perché i loro discorsi non servono a cambiare il cuore in modo radicale.
Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio. Il cuore sapiente ha come caratteristica quella di meditare le parabole che ascolta per cercarne il significato nascosto, questo è l’atteggiamento contrario di tanto nostro modo di pensare, noi vogliamo subito le cose chiare e distinte di immediata apprensione per cui se troviamo qualcosa di oscuro diciamo è difficile, chi lo può capire? lo chiudiamo e lo congediamo. Questo è una stoltezza perché la parabola è volutamente oscura per sviluppare l’intelletto, la mente. Ora una mente passiva come quella bombardata dai continui messaggi manca dello scatto attivo della riflessione e dell’assunzione della parola compresa, impedisce questo processo di assimilazione profondo e, restando in superficie, resta continuamente esposta a ogni vento di dottrina, dice l’apostolo Paolo, “come una canna sbattuta dal vento”; invece il cuore sapiente no e quindi questa sapienza corrisponde anche alla domanda iniziale, è la consapevolezza del non sapere. Il saggio Socrate ha scoperto il principio della conoscenza umana: so di non sapere, questo è il punto rivoluzionario del pensiero umano nel quale non sono potuti stare i filosofi successivi, non ce l’hanno fatta, perché diventava un principio talmente analitico e critico che impediva il procedere della conoscenza. Invece il cuore saggio ascolta la parabola perché la parabola contenendo un significato misterioso sforza la mente a risolvere e a chiedere al Maestro ulteriori particolari per mettere in luce il contenuto. Infatti quando i discepoli vanno in casa e chiedono: “Maestro spiegaci la parabola”, il Signore dice: “anche voi siete senza intelletto”. Quindi il Vangelo è questo, chi parte dal dire che il Vangelo e che la scrittura è evidente è uno stolto, perché non è evidente un bel niente, sotto l’apparente semplicità del linguaggio, risiede un contenuto profondo che va indagato, che va cercato, su cui interrogarci e interrogare: un orecchio attento è quanto desidera il saggio. Il saggio che spiega la parabola che comunica l’insegnamento ama quando colui che ascolta è attento, proprio perché imprime nel suo animo la parola del Maestro. San Bernardo dice: “L’orecchio è la prima porta che si è aperta alla morte: Eva che ascolta la parola del serpente, ed è la prima che si apre alla vita: Maria che ascolta la parola dell’angelo.” Le due figure sono contrapposte quindi noi stessi dall’orecchio possiamo fare entrare la parola di morte come possiamo fare entrare la parola della vita, si tratta di un discernimento che dobbiamo operare. A questo punto il testo latino aggiunge questo versetto. “Un cuore sapiente e avveduto eviterà i peccati e avrà buon esito se agirà con giustizia”; possiamo dire che diventa la conclusione: il cuore sapiente e avveduto, quindi che è prudente e attento nella sua via, eviterà i peccati perché si accorge dove è presente il peccato e avrà buon esito se agirà con giustizia e per giustizia qui s’intende l’osservanza della legge del Signore. Ringraziamo il Signore che ci ha ammaestrati con la sua parola e cerchiamo adesso di mettere questa parola nel cuore e di fare come Maria: di meditarla ogni giorno.
Prossima volta Martedì 10/01/2012
SIRACIDE CAP. 3 Versetti 30-31
SIRACIDE CAP 4 Versetti 1-10