Luciano Marchi – Sogni veri e immaginari

2020/12/31, Porretta – Luciano Marchi – Sogni veri e immaginari

NEWSLETTER DEL 30/12/2020

 SOGNI VERI E IMMAGINARI Amava poterla salvare, prima di addormentarsi, anche se solo con l’immaginazione.
Non si trattava di un gesto eroico, ma di una circostanza occasionale: Lei avrebbe dovuto fronteggiare un momento difficile e lui sarebbe corso in aiuto. Sì, certo: Lei chi, però? Quella? No, un’altra. Era stato lasciato dalla compagna, per cui fantasticava su altri incontri, almeno in sogno. Tutto era iniziato mesi prima, con la paura della notte. Non era il buio a far sorgere i suoi timori, tanto meno il rumore dell’oscurità.

Rino dovette costatare come le ore piccole rappresentassero un ostacolo al suo vivere, un problema da superare; prima dell’arrivo dell’alba. Dormiva a fatica, ecco tutto; con un sonno che veniva interrotto ad orari precisi: generalmente alle due, poi ancora alle quattro.
Le prime luci del giorno accendevano una sorta di salvezza e Rino poteva concedersi un po’ di riposo.“Pensa a delle cose belle”, gli disse una volta sua madre quando era ancora bambino; e lui fece suo quel consiglio, anche in questo dicembre infreddolito, con l’età adulta a gravare sulle spalle. Si coricò su un fianco, strinse il secondo cuscino e si mise a pensare.
 “Ciao Rino, come stai?” “Io bene, e tu Rita?” “Ti telefono per un consiglio”. “Sono a Ponte della Venturina, con la macchina in panne”. “C’è tanta neve ed è buio, chi posso chiamare?”. “Io sono a Porretta; se vuoi, ti vengo a prendere”. 

 

Nei pensieri immaginari, qualche licenza è ammissibile. L’automobile era adeguata alla circostanza: un piccolo fuoristrada, nulla di esagerato; comunque solido. Anche l’abbigliamento avrebbe fatto da contorno: giubbotto pesante, guanti, cappello, scarponcini. Niente male. Ed eccola lì, Rita, nello spazio di fronte l’albergo. “Per stanotte la macchina lasciamola lì”, disse Rino. “

Andiamo in Albergo” “Dove mi porti?, chiese Rita. Già, dove? In capo al mondo l’avrebbe portata, ma forse anni prima. Non era tempo, adesso; se non per raccontarsi a vicenda. Sopraggiunse il sonno, quello vero. Seguirono altre notti, iniziate col solito sistema.
Si avvicinava il Natale e l’albero in giardino proiettava lampi intermittenti sul soffitto. Sempre di più Rino si rese conto che voleva parlare, a lungo: di sé, delle sue cose, di quelle passioni che ancora gli premevano il petto. Sempre immaginando, ne fece cenno a Carla, compagna di scuola, e ad Annarita, coetanea di un paese lontano.

Venne fuori un po’ tutto, con anche i fallimenti: troppi; fantasticamente colorati da scelte sbagliate. No, basta! Occorreva un po’ di audacia, un destino differente, un finale diverso. Rino immagina ancora. Suona il telefono.
Numero sconosciuto.“Sono Raffaella, l’amica di Rita; ti ricordi di me?”. “Eccome: ciao, come stai?” “Sono in mezzo alla bufera, sulla Porrettana; non riesco ad andare avanti”. “Dove ti trovi?” “Fammi vedere … a Vergato, in uno spiazzo di fronte a un bar chiuso”. “Rita mi ha detto che sei della zona, quindi puoi darmi qualche indicazione per chiedere aiuto”. “Mi trovo lì vicino, posso venirti a prendere se vuoi”. “Sarebbe fantastico, grazie”.
 


Rino ripensò alla strada, alle curve. Le rivide quasi tutte, come se fosse stato alla guida. Nevicava con insistenza, ma lui procedeva sicuro, senza esitazioni. Strinse maggiormente il cuscino.
A Vergato, ecco Raffaella, in piedi, di fianco alla macchina parcheggiata.
Era bella ed elegantissima, come quando l’aveva conosciuta tramite Rita: cappotto attillato, bavero alzato, capelli biondi, calze scure, tacchi alti.“Ciao Raffaella, come stai?”. “Ho freddo”. “Sono inzuppata”, e salì di corsa sull’auto di Rino.“Togliti la roba bagnata”, suggerì lui. “Non ce la faccio”. Rino azzardò. Aprì lo sportello di destra, allungò le mani sulle gambe di lei e le sfilò le calze bagnate.

Nel farlo, percepì la pelle e ne intravide il colore chiaro. I due si guardarono, stupiti entrambi; ma anche complici. In albergo, lei corse a farsi una doccia calda. Era bello vederla da dietro il vetro: più che le forme, s’intuivano i gesti consumati, il gioco delle mani. Uscì avvolta dall’accappatoio, sfregandosi i capelli.Rino cadde nel sonno: ancora quello vero.

  

I finti soccorsi continuarono per qualche notte, poi iniziarono i sogni veri, quelli che ti fanno svegliare di soprassalto. Ed erano concreti, precisi, dettagliati; tanto reali che Rino si sentiva costretto a girare la casa per controllare che tutto fosse come prima.
Di solito si trattava di furti, durante i quali sparivano oggetti cari, soprattutto a livello affettivo. Ne parlò col medico, riferendosi anche alle aspirazioni prima del sonno. La risposta si concretizzò con un trattato semi scientifico sulla vita salutare. “Devi volerti bene”, fu il suggerimento finale; e non era certamente ciò che Rino si aspettava. Avrebbe voluto chiedere: “Lei, Dottore, è soddisfatto di se stesso?”, “Della sua vita?”. Non si azzardò a porre la domanda. Pensò viceversa alla sua esistenza, cercando di evitare i fallimenti, con anche i debiti esistenziali. Ed era lui ad aver bisogno d’aiuto, non le donne occasionali. Telefonò a Luciano. “Ciao Rino, come stai?”. Difficile rispondere, per cui lui si rifugiò in un classico: “Benino”. “Cosa vuol dire?”, richiese Luciano. “Non lo so nemmeno io, vivo a disagio con me stesso”. “Abito male la mia vita, ecco tutto”. “Prova a raccontarmela, almeno quella recente”, suggerì l’amico.

Rino non se lo fece ripetere e iniziò una lunga narrazione. Ogni tanto si fermava per controllare che Luciano lo stesse ascoltando. Naturalmente parlò di Rita e Raffaella, con anche gli incontri inventati; e pure degli incubi più recenti, quelli dei furti. “Devi cambiare atteggiamento”, caro Rino. “Da che ti conosco, percorri strade che non ti sono congeniali: vuoi essere ciò che non sei”. “Credi?”, domandò Rino. “Cosa potrei essere se non ciò che vorrei?”. “Oggi, poi, quando c’è chi conosce il mio algoritmo e non la mia faccia?”. “Io ti conosco, Lei ti conosceva; poi hai degli amici”, disse Luciano.“Non ho più niente da dire, ecco tutto”, aggiunse Rino.“Non fai niente per stupire, sorprendere, meravigliare”. “Cosa vuoi dire ?”. “Dove sei, non ti sento più?”.“Sono qui fuori, stupido; sotto casa tua”. “Sono venuto a trovarti”. 

I due, Luciano e Rino, parlarono a lungo. La scena aveva un che di giovanile: i cristalli appannati, un vetro semiaperto, quel filo di fumo che usciva dal finestrino. “C’è una parte migliore in ognuno di noi”, disse Luciano. “E spesso la scacciamo senza accorgercene, così: solo per seguire la consuetudine”. “Oggi siamo chiamati a cambiare, in meglio, tutti: non solo tu”. “Ascoltati, cercati, respira la tua anima e fai ciò che senti: segui il tuo sogno, ma senza immaginarlo”.Rino non disse nulla. Le parole di Luciano non lo convincevano del tutto, eppure non volle ribattere. Si mise a posto la mascherina (mai tolta) e scese dalla macchina.

Salutò Luciano solo con la mano, poi lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava guidando. Lo vide frenare, all’ultima curva, con un bagliore rosso dei due fanalini. Era di nuovo solo. Aprendo la porta, riconobbe la casa di sua madre già dall’odore. Si era rifugiato lì dopo essere stato lasciato da Lei, e già questo rappresentava un’aggravante. “I ritorni sono le fughe più grandi”, gli avevano detto un giorno. Senza accendere le luci, si coricò nel letto.
Era il momento dei sogni immaginari, che volle evitare. Prese in mano il cellulare e compose un numero, quello. Dall’altra parte una voce disse:“Pronto?”.
Rino premette il tasto rosso; ma poi richiamò.
Pronto, Rino?”. “Sì, sono io”, rispose. “Lo vedoperché mi hai chiamato?”. “Volevo parlarti, tutto qui”, aggiunse lui. Rino e l’altra parlarono a lungo.

   

Nota dell’autore Non vorremmo che i due, finalmente, si siano spiegati, per il meglio ovviamente, con una storia a lieto fine. La pandemia, al di là dei problemi, ci ha posto di fronte a noi stessi, cristallizzando ogni situazione.
Pur tra le difficoltà, tante cose si sono chiarite ai nostri occhi, e oggi possiamo migliorarle col minimo sforzo: basta un’iniziativa diversa, mai percorsa, forse originale.
Così facendo, il 2021 non si presenterà “come prima”, ma migliore rispetto alle annate precedenti. ************ “Lo sai che siamo al telefono da un’ora?”, chiese Lei. “Non me ne ero accorto”, rispose Rino. “Scusa, buona notte”. “Dai, domani ti vengo a prendere”. “Ciao”. 
Si avvicinava il Natale. L’albero addobbato del giardino proiettava lampi intermittenti sul soffitto. Rino strinse il cuscino e si mise a sognare.                                                               Luciano Marchi
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