Rita Ciampichetti – Quando i virus avevano nomi buffi

2022/01/21, VErgato – Ritorna Rita Ciampichetti con uno dei suoi racconti tra “favola” e realtà, storie di tempi non troppo lontani che incantano ancora chi li ha vissuti; Quando i virus avevano nomi buffi

In un tempo, nemmeno troppo lontano, era normale che in determinati periodi dell’anno arrivassero puntualissime le solite epidemie di malattie infantili:  “Hai sentito?? C’è in giro la varicella, in terza sono già a casa in otto!”.

La varicella, il morbillo, la rosolia gli orecchioni, la tosse cattiva erano per noi bambini nomi buffi di malattie che eravamo rassegnati a prendere e che già per come erano chiamate facevano percepire più o  meno i sintomi che avremo dovuto sopportare, ma che in fin dei conti non ti facevano paura più di tanto.

Infatti, forse per ignoranza, forse perché inevitabili, non spaventavano poi troppo nemmeno i genitori, anzi spesso si assisteva a queste conversazioni durante gli incontri tra le mamme nella bottega per la spesa quotidiana, perché, sempre una volta, ci si andava tutti i giorni a comperare il pane fresco e il latte: “Ciao Maria, ho saputo che il tuo  Luigino ha il morbillo, ti dispiace se oggi pomeriggio ti mando il mio Mario a fare merenda in casa vostra? Non l’ha ancora avuto ed è meglio che lo faccia ora che è piccolo!”.

Erano malattie che si dovevano fare da bambini e quindi si cercava il contagio, i sintomi non erano così gravi e sinceramente, almeno per la mia esperienza, non ricordo tra i miei compagni infettati casi di esiti nefasti.

Solitamente ti alzavi una mattina sentendoti un po’ strano con il corpo pieno di puntini rossi o di altre schifezze e la mamma, guardandoti dietro le orecchie, o la lingua ed esplorando con attenzione le varie parti, sentenziava: “Hai preso la varicella, ritorna subito a letto, che vengo a provarti la febbre”. Se la febbre era molto alta, si chiamava il dottore che veniva a visitarti a casa e prescriveva la medicina per abbassare la temperatura e dava alla mamma qualche consiglio e poi si aspettava che la malattia facesse il suo decorso, anche allora in “vigile attesa”.

Poi interveniva la saggezza di nonne e zie con i loro consigli e rimedi antichi, ma sempre validi come il talco mentolato per alleviare un po’ il prurito provocato dalle vescicole della varicella o l’olio di mandorle per le lesioni, stare al buio perché il morbillo era pericoloso per gli occhi (chissà se era vero), andare in alta quota per placare gli eccessi convulsi della tosse cattiva e poi tante spremute di arance per la vitamina C.

I giorni seguenti, quando ti sentivi meglio, non stavi più a letto ed aspettavi che finisse il contagio e che il dottore scrivesse il certificato di fine malattia per ritornare a scuola, così potevi raccontare ai compagni la tua esperienza, esagerando sempre i sintomi per farti più grande e mostrando magari la cicatrice rotonda che ti aveva marchiato sulla fronte l’ultima pustola della varicella. Se poi la malattia ti aveva lasciato un po’ prostrato ed inappetente, beh allora interveniva purtroppo quello schifoso olio di fegato di merluzzo da ingurgitare a gogò. Dobbiamo essere molto grati ai poveri merluzzi che si sono sacrificati e si sacrificano per il bene dei bambini, allora per il fegato oggi per i bastoncini del Capitano Findus.

Nel frattempo ovviamente nessuno si sognava di chiudere le scuole, ma si proseguiva imperterriti a svolgere l’attività educativa indipendentemente dal numero dei contagiati, fossero anche il cinquanta per cento della classe.

L’unica forma di DAD, ma allora non si chiamava così,  era rappresentata dal tuo compagno di banco che ti veniva a trovare nel pomeriggio, intanto se non era stato ancora infettato era opportuno che si contagiasse, a portati i compiti da fare a casa e a raccontarti con parole sue cosa aveva spiegato la maestra, il resto delle lezioni e delle nuove nozioni, se non le avevi proprio capite del tutto,   le avresti piano piano recuperate al tuo ritorno tra i banchi.

Tutto direi molto semplice e lineare e le volte che ci penso mi rendo conto di come a quei tempi avessimo la capacità, ormai perduta, di non complicarci più di tanto l’esistenza.

Di tutte le mie malattie infantili ricordo ancora la pertosse, altrimenti detta tosse cattiva e che non è di origine virale, ma batterica.

Avevo quattro anni, ma me la rammento ancora perché per un lunghissimo periodo sono stata afflitta a qualsiasi ora del giorno e della notte da tanti episodi di tosse convulsa tali  da provocarmi il vomito, non mangiavo più e mia madre presa dalla disperazione ricorse all’ultimo rimedio di una volta che era quello di “farmi cambiare aria” e mi portò in Liguria da sua sorella. In effetti già dopo pochi giorni la tosse diventò più buona.

Altro ricordo invece è legato alla parotite, altrimenti detta “orecchioni” per l’infiammazione delle ghiandole salivari che, gonfiandosi, ti facevano assumere l’aspetto di un criceto con una scorta di noccioline nelle guance. Avevo circa dieci anni e la presi da mia sorellina più piccola, non potevo deglutire per il dolore. L’aspetto peggiore fu che contagiammo anche la mamma la quale si trascurò moltissimo,  essendo molto impegnata per il trasloco; le provocò una menopausa precoce con conseguenze abbastanza spiacevoli che dovette curare per tanti anni.

Per questo era meglio farle da bambini queste malattie, i virus erano più comprensivi per la tua giovane età.

Negli anni, con il progresso della scienza e l’avvento della statistica, ci si è resi conto della pericolosità di alcune malattie esantematiche come il morbillo che storicamente ha provocato lo sterminio di numerose popolazioni indigene del nuovo continente contagiate dal virus portato dagli esploratori Europei, la rosolia pericolosa per le donne in gravidanza, la scarlattina.

Fatto sta che è iniziata la pratica della vaccinazione e con essa le disquisizioni sulla legittimità o meno del loro obbligo.

La mia generazione invece è stata protagonista di quell’epoca nella quale ci si doveva vaccinare senza opporre nessun rifiuto, non esistevano i no-vax e penso che nessun dei nostri genitori si sia mai sognato di obiettare in merito, perché come minimo sarebbe stato “crocefisso in sala mensa”.

Siamo stati vaccinati contro il vaiolo e possiamo mostrare sul braccio la cicatrice tonda indelebile che diventa sempre più pallida con il passare degli anni, ma che rimane a testimoniare la sconfitta di una malattia che ha mietuto nei secoli migliaia di vittime senza distinzione di classe.

Un’altra terribile malattia virale per la quale siamo stati vaccinati è stata la poliomielite, che a quei tempi provocava paralisi infantili molto gravi e che grazie alla scoperta del vaccino da parte di Sabin, un dottore e virologo polacco che ne ha fatto dono a tutti i bambini del mondo, è stata debellata, almeno in Europa.

Ricordate quando il giorno della vaccinazione per la poliomielite, i maestri ci facevano mettere ordinatamente in fila e, come per una comunione, un sanitario ci diceva di aprire la bocca e posava sulla lingua una zolletta di zucchero con sopra alcune gocce di colore rosso acceso?

Non siamo stati vaccinati contro la tubercolosi, malattia batterica e non virale, ma negli anni sessanta esisteva un preciso e capillare programma di lotta e prevenzione di questa malattia. Chi si ricorda ancora di quella specie di camper con allestito sopra un apparecchio a Raggi X che effettuava a cadenza regolare un giro itinerante presso le scuole per effettuare una verifica dello stato dei nostri polmoni e scoprire così la presenza della tbc che era ancora abbastanza diffusa?

In Italia l’obbligo di vaccinare contro il vaiolo è stato sospeso nel 1977 e abolito nel 1981, mentre dal 1999 furono rese obbligatorie quattro vaccinazioni: anti-difterica, anti-tetanica, anti-poliomielitica, anti-epatite B.

Dal 2017 in poi  tutti i bambini nati sono obbligati a fare invece dieci vaccinazioni: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae B, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella.

Le mie figlie che ora hanno 45 anni, sono state vaccinate dalla rosolia, mentre hanno dovuto sopportare i sintomi del morbillo, della varicella, della pertosse e della quarta malattia.

Infatti l’aspetto che sempre mi ha fatto riflettere è che mano a mano che si procedeva con la vaccinazione di una malattia virale, dopo un po’ ne saltava fuori un’altra, infatti dopo la quarta sono arrivate anche la quinta e la sesta.

Mio nipotino Lorenzo, nato dopo il 2017,  ha fatto tutte le vaccinazioni e quindi non saprà mai cosa vuol dire sentire il prurito della varicella e le raccomandazioni della mamma: “Non ti azzardare a grattarti che dopo ti rimangono i buchi!!!”.

In compenso, qualche anno fa, mi telefona mia figlia e mi dice se potevo andare a badare il bimbo perché aveva preso “Bocca, mani e piedi”.

“Cosa ha preso Lorenzo??” le chiesi  stupita.

“Bocca, mani e piedi, mamma .. l’ha presa all’asilo, ci sono un mucchio di casi. E’ una malattia virale che si diffonde rapidamente da un bambino all’altro perché il contagio avviene con la saliva, in  poco tempo compaiono delle macchioline rossastre alle mani, ai piedi, alla bocca che si trasformano in piccole vescicole e che danno molto fastidio” mi rispose Laura.

“Boh quando eravate piccole voi questa proprio non c’era!”, replicai.

Senza alcun dubbio questi virus sono troppo furbi!

Noi troviamo il rimedio, il vaccino, per debellarli e loro si modificano, cambiano, si travestono e rientrano dentro di noi assumendo  un’altra forma, perché in fin dei conti sono dei parassiti e dal momento che gli serviamo per potere vivere dopotutto non possono fare a meno del nostro corpo ed  escogitano tutti i modi per approfittarne, in una lotta senza pari.

Questo specialmente da quando la razza umana pensa di essere diventata tanto onnipotente da poterli manipolare senza conseguenze per altri subdoli fini, da volere comandare e dettare legge nel loro sconosciuto ed ermetico mondo che dura dall’alba dei tempi quando l’uomo neppure esisteva, di pensare di avere capito il loro gioco ed accorgersi dopo un istante che hanno sovvertito con una pernacchia tutte le regole a favore loro come esperti bari.

Ora non ridiamo più e non ce la sentiamo nemmeno di dare loro dei buffi nomi.

“Viviamo in competizione evolutiva con microbi, batteri e virus. Non c’è nessuna garanzia che saremo noi a sopravvivere”  (Joshua Lederberg)

Rita Ciampichetti