Rita Ciampichetti, storia e tradizione – A Natale con i tuoi a Pasqua con chi vuoi
2022/04/17, Vergato – A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi
Sia nella mia famiglia da giovane che in quella da sposata questo proverbio non l’abbiamo mai applicato perché il Natale e la Pasqua si festeggiavano sempre in casa o al limite presso i parenti più stretti. Le giovani generazioni, vale a dire le mie figlie, iniziano ad osservarlo forse perché la Pasqua ha meno fascino emotivo e la bella stagione stimola di più verso altri luoghi che non il ritorno alla casa avita.
In realtà dal punto di vista della religione cristiana la Pasqua si può considerare più importante del Natale in quanto celebra l’avvenimento più saliente della vita di Gesù Cristo che conferma la natura sia umana che divina del Redentore: infatti come un qualsiasi uomo Gesù è morto sulla croce riscattando l’umanità dai suoi peccati e come Dio è risorto sconfiggendo la Morte.
Pasqua, in greco “pascha” significa “passare oltre” ed in effetti la Pasqua cristiana indica il passaggio dalla morte alla vita e il passaggio ad una nuova vita per i credenti che sono stati liberati dal peccato grazie al sacrificio sulla croce di Cristo.
La Pasqua viene festeggiata anche dagli Ebrei, ma per loro ha un altro significato in quanto non credono nella resurrezione di Gesù.
La Pasqua ebraica, chiamata Pesach, commemora la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egizia ad opera di Mosè. Ricorderete, poiché rappresentato in numerosi film, il racconto biblico dell’Esodo ed in particolare l’episodio delle dieci piaghe mandate da Dio per convincere il faraone a liberare il popolo eletto? La decima e terribile ultima piaga che convinse il faraone a liberare il popolo ebreo era quella che Dio sarebbe passato per il paese d’Egitto e avrebbe colpito ogni primogenito di uomo o di animale, ma sarebbe “passato oltre” tralasciando le case degli ebrei che avevano gli stipiti delle porte segnate con il sangue di agnello.
Mentre il Natale cade tutti gli anni il 25 di dicembre, la data della Pasqua è calcolata in base al ciclo lunare, infatti cade la domenica successiva al primo plenilunio della stagione primaverile e quindi successivamente al 21 marzo, di conseguenza viene anche determinato il calendario liturgico per altre celebrazioni come il periodo precedente di Quaresima e la Pentecoste.
Da questa variabilità derivano i modi di dire “Pasqua bassa” se cade dal 22 marzo al 2 aprile, “Pasqua media” dal 3 al 13 aprile e “Pasqua alta” dal 14 al 25 aprile, come quest’anno.
Invece nella Chiesa ortodossa usano come base per il calcolo il calendario giuliano e quindi la Pasqua può cadere tra il 4 di aprile e l’8 di maggio.
Una festa così importante non può che essere ricca di tradizioni e la prima cosa che viene in mente è il simbolo per eccellenza della Pasqua: l’uovo.
Non è banale in quanto il prezioso dono della gallina è denso di significati in quanto per la sua forma non ha né un inizio né una fine e rappresenta la rinascita, la vita che ricomincia, è sempre stato un simbolo di fertilità, infatti i contadini dell’antica Roma seppellivano nei campi un uovo dipinto di rosso per favorire un buon raccolto.
Con il Cristianesimo l’uovo è quindi diventato il simbolo della rinascita dell’uomo stesso e Cristo risorto esce dalla tomba così come il pulcino esce dall’uovo.
Vi è anche una spiegazione molto concreta, dal momento che una volta durante la Quaresima , periodo di penitenza e digiuni, era anche proibito mangiare le uova, le galline che ignoravano tale divieto continuavano imperterrite a scodellarle e quindi quando arrivava Pasqua ci si trovava con un numero molto elevato di uova che dopo essere state colorate e decorate venivano regalate. Nel Medioevo venivano c’era l’usanza di donarle ai servi di casa.
Da noi la tradizione, almeno quella di una volta, vuole che le uova per Pasqua siano benedette.
Mia suocera Rosita, terziaria francescana, era profondamente credente e seguiva diligentemente precetti e tradizioni religiose e tra le tante assumeva per lei un’importanza vitale il mangiare come primo alimento a colazione la mattina di Pasqua l’uovo benedetto. “La matenna ‘d Pascua bsogna magner l’ov dur bandàtt!!”
Si procurava per tempo un certo numero di uova freschissime che collocava in un bel cestino di vimini sulla tavola il giorno della benedizione pasquale e che venivano benedette a parte dal “Sgnour Arziprit” come lo chiamava lei, generosamente ricompensato dalla Rosa per il servizio aggiuntivo .
La mattina di Pasqua, si alzava per tempo, le bolliva, apparecchiava la tavola per la colazione ed ognuno di noi trovava il suo uovo benedetto. Il rito consisteva nello sbucciare l’uovo, irrorarlo con un po’ di sale e pepe secondo i propri gusti, farsi il segno della croce e mangiarlo a digiuno come diceva lei “par divuzián”.
Nell’Appennino modenese è tradizione il lunedì Pasqua giocare nelle piazze a “scoccetto” che consiste nel cercare con il proprio uovo sodo di rompere il guscio a quello dell’avversario e vincerlo. Mio suocero raccontava che quando era ragazzo usava anche qui e lo chiamavano “scuzzet”. Ricordava anche che qualcuno barava spudoratamente utilizzando uova di faraona notoriamente dal guscio più duro oppure prendevano l’uovo di legno, quello usato dalla mamma per rammendare le calze, e lo dipingevano di bianco. Però veniva quasi sempre scoperto il trucco.
Dopo le uova di gallina decorate è arrivato l’uovo di cioccolato. Pare sia stato addirittura Luigi XIV di Francia, il famoso Re Sole, ad essere il primo agli inizi del Settecento a fare realizzare un uovo di crema di cacao al suo pasticcere di corte.
Da bambina invece aspettavo la fine del pranzo per aprire il mio unico uovo di cioccolata.
Se ricordate bene allora le uova erano fatte con una cioccolata fondente, durissima e amarissima, non certo come quelle di oggi preparate con tutti i tipi di cioccolato: al latte, pralinato con le nocciole, bianco. Fatto sta che quel cioccolato non mi piaceva per niente, ero soltanto impaziente di scoprire la sorpresa che si celava al suo interno quasi sempre costituita da un pacchettino di carta appiccicato nella parete dell’uovo, difficilissimo da scartare e contenente un ciondolino o qualche altro oggettino di poco valore.
Molto diffuso all’estero, ma ultimamente sta prendendo piede anche in Italia, è il gioco della caccia alle uova. Solitamente si svolge all’aperto e consiste nella ricerca, da parte dei bambini muniti di cestino, delle uova decorate che sono state abilmente nascoste nei posti più disparati. Vince chi ne trova di più.
Vi siete domandati perché negli ultimi anni nelle vetrine dei negozi oltre alle tradizionali uova di Pasqua fanno bella mostra di sé anche dei coniglietti di cioccolato?
Non è una tradizione italiana, ma prende spunto da un coniglio immaginario che lascia doni ai bambini a Pasqua e che ha origine nelle colture dell’Europa occidentale.
In Inghilterra e negli Stati Uniti viene chiamato Easter Bunny (coniglietto di Pasqua), in Germania Osterhase (lepre di Pasqua), infatti la lepre, animale molto prolifico, agli inizi della primavera si vede nei prati impegnata nei duelli d’amore e nell’antica cultura europea è diventata anche lei come l’uovo un simbolo di questo periodo dell’anno caratterizzato dalla rinascita della natura e dalla fertilità.
Naturalmente in tutte le regioni italiani vi sono numerose tradizioni spirituali che caratterizzano l’atmosfera della Settima Santa e che vengono vissute con profonda devozione: Via Crucis, processioni di penitenza, pellegrinaggi ai luoghi di culto più famosi, visita ai Sepolcri cioè a quelle cappelle laterali della Chiesa che vengono abbellite con piante e fiori e nel cui tabernacolo sono conservate le ostie e gli oggetti consacrati.
Mia mamma, di origine ferrarese, racconta che durante la Settimana Santa le campane della chiesa del suo paese erano legate e venivano liberate il Sabato Santo scampanando a festa. Allora la nonna prendeva lei e le sue sorelle e le portava fuori in cortile dove c’era la pompa dell’acqua e diceva loro di bagnarsi gli occhi, così non avrebbero avuto problemi di vista.
Passiamo ora alle tradizioni culinarie, così diverse in ogni Regione che rendono il nostro Bel Paese tanto famoso e disastrosamente copiato in tutto il mondo.
Nelle Marche, terra di origine di mio babbo, viene tradizionalmente preparata per Pasqua una torta salata che è chiamata pizza al formaggio in quanto il suo ingrediente principale è proprio un mix di formaggi sia grattugiati che a cubetti: parmigiano, pecorino, romano o altri formaggi a proprio gusto. Il risultato finale è una sorta di panettone molto alto, spugnoso dal gusto molto saporito che la mattina di Pasqua accompagna perfettamente la colazione tipica marchigiana costituita da salumi e vino o da gustare durante i pic-nic di Pasquetta.
Come tutti i piatti tradizionali ogni paese ed ogni famiglia ha la sua ricetta particolare, le mie zie ne sfornavano dal forno a legna di buonissime, ma l’abilità e destrezza era tale che come capitava allora “andavano ad occhio” e quindi non sono state tramandate ricette precise nei quantitativi dei diversi componenti.
Ogni anno, testardamente, mi cimento nella produzione di questa specialità e prima o poi raggiungerò il risultato sperato.
Invece il menù del pranzo di Pasqua di mia suocera Rosita comprendeva quasi sempre le lasagne al forno, per secondo arrosto e costolette di agnello, patate fritte e radicchi, per dolci una zuppa inglese da fare veramente “resuscitare” i morti ed anche la torta di riso, caffè e liquorini vari.
Io mangiavo il primo e il contorno, l’agnello mi rifiutavo categoricamente.
Così tutte le Pasque a tavola, mio suocero Gino non mancava mai di dirmi “Mo’ vút sénter såul un pzulein? L’è acsé bón e tander!” ed io “Non c’è dubbio, non mi piace, sa di lana” e lui “Mo stè da sènter anc questa qué!! C’sa cràddet patoza, c’la Rosa l’ha còt l’agnèl cun totta la plezza???” e giù una delle sue risatone.
Non c’era certo l’abitudine della colomba pasquale, oggi preparata in decine di gusti che spaziano dal limoncello al ripieno di crema di mango.
La colomba pasquale è un dolce abbastanza recente, si dice che è stato inventato a Milano nel 1930 dal Sig. Motta al quale venne l’idea di sfruttare i macchinari utilizzati per la produzione dei panettoni natalizi, in quel periodo dell’anno inattivi, per la fabbricazione di un dolce dall’impasto simile a quello del panettone per la festa di Pasqua, arricchito con quella speciale glassatura superficiale alle mandorle che ci si litiga fino all’ultima briciola.
Non so se corrisponde alla realtà ma c’è anche una bella leggenda su questo particolare dolce pasquale che viene fatto risalire al 612 quando era regina dei Longobardi la famosa Teodolinda. Un giorno La regina invitò alla sua corte San Colombano, un abate irlandese già allora in odore di santità e per l’occasione fece preparare un pranzo con numerose portate di selvaggina ed altre prelibatezze. I monaci però, essendo periodo di quaresima, si rifiutarono di mangiare quei piatti e la regina Teodolinda dimostrò di essersi offesa. San Colombano, dotato di non poca diplomazia, intervenne ringraziando la regina e spiegando che potevano mangiare tutta quella carne solo dopo averla benedetta. Il Santo quindi impartì la benedizione a quei cibi che si trasformarono via via in bianche colombe di pane.
Questo miracolò ebbe un grande impatto su Teodolinda, capì di trovarsi di fronte ad un Santo e decise di donare a quell’ordine il territorio di Bobbio dove troviamo appunto l’Abbazia di San Colombano. La bianca colomba è sempre raffigurata sulla spalla del Santo nelle sue rappresentazioni.
Speriamo che la bianca colomba ci porti finalmente la Pace perché purtroppo quella di quest’anno è veramente una Pasqua di passione per molti ed anche se ci riteniamo fortunati perché non viviamo direttamente gli orrori della guerra non possiamo rimanere certo indifferenti al dolore e allo strazio degli innocenti che la stanno subendo e siamo comunque assaliti dalla costante preoccupazione per le inevitabili conseguenze che coinvolgeranno tutti noi.
Che questa Pasqua possa essere davvero il passaggio e la resurrezione verso una vita più serena ed in pace.
Auguri di una Pasqua serena a tutti voi da trascorrere con gli affetti più cari.
PS. In coda, come d’abitudine, una raccolta dei proverbi (e ce ne sono veramente tanti) riferiti alla Pasqua:
Proverbi metereologici o della Natura
Pasqua voglia o non voglia, non fu mai senza foglia
Non è bella la pasqua se non gocciola la frasca
Se non piove il dì delle Palme, pioverà il dì di Pasqua
Carnevale al sole, Pasqua molle
A Natale sul balcone, a Pasqua col tizzone
La domenica dell’olivo, ogni uccello fa il suo nido.
A Natale mezzo pane, a Pasqua mezzo vino
Proverbi di costume
La Quaresima è corta per chi ha da pagare a Pasqua
Coi soldi in tasca è sempre Natale e Pasqua
A Natale la lepre, a Pasqua la quaglia
Chi vuol la moglie a Pasqua la Quaresima se l’accatti
Quando si bagnano le palme, si bagnano anche l’ova
Natale senza danari, Carnevale senz’appetito, Pasqua senza devozione
Chi vuole il malanno, abbia il mal’anno e la mala pasqua.
Chi da sé non ha e da altri non accatta Male il Natale e peggio la Pasqua.
Da Carnevale a Pasqua, c’è chi studia e c’è chi lascia
Non si può veder Pasqua, né dopo San Marco (25 aprile), né prima di San Benedetto (21 marzo)
La palma benedetta, buone novelle aspetta
Rita Ciampichetti, Pasqua 2022