Don Giuseppe Ferretti – Dialoghi; Siracide Cap. 3 versetti 30 – 31 L’acqua spegne il fuoco che divampa…

2023/02/21, Vergato – Riprendiamo le pubblicazioni delle meditazioni guidate da Don Giuseppe Ferretti, il parroco di Grizzana che guida gruppi settimanali di persone che vengono anche dalla pianura per seguire, ascoltare, imparare, conoscere, partecipare a quello che sembra ogni giorno più inutile…

Ci eravamo lasciati alle spalle tutto questo per occupare la mente con i COVID e avvenimenti di cronaca politica e vicende internazionali. Forse è meglio così… fermiamoci tutti e meditiamo un po! 

CAP. 3 versetti 30– 31

30L’acqua spegne il fuoco che divampa,
l’elemosina espia i peccati.
31Chi ricambia il bene provvede all’avvenire,
al tempo della caduta troverà sostegno.

CAP. 4 versetti 1-4

1Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita,
non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi.
2Non rattristare chi ha fame,
non esasperare chi è in difficoltà.
3Non turbare un cuore già esasperato,
non negare un dono al bisognoso.
4Non respingere la supplica del povero,
non distogliere lo sguardo dall’indigente.

SIRACIDE
Siracide CAP. 3 versetti 30– 31 Siracide CAP. 4 versetti 1-4

L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati. Chi ricambia il bene provvede all’avvenire, al tempo della caduta troverà sostegno.
Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. Non rattristare chi ha fame, non esasperare chi è in difficoltà. Non turbare un cuore già esasperato, non negare un dono al bisognoso. Non respingere la supplica del povero , non distogliere lo sguardo dall’indigente.

Francesca:. L’acqua che spegne il fuoco qui è il simbolo dell’amore, dell’amore fraterno che tutto copre, tutto spera, tutto sopporta; non pensa al male e cambia il male in bene (1 Corinzi Cap. 13.).
San Giacomo nella sua lettera (Cap. 3 v. 3) dice che anche la lingua dell’uomo è un piccolo fuoco che divampa se non è dominato verso il bene, l’uomo la usa nel mondo del male e incendia tutta la sua vita traendo la fiamma dalla Geenna, quindi la lingua dell’uomo può diventare la sua rovina o al contrario la sua benedizione se non pecca nel parlare. Costui, dice San Giacomo, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il suo corpo (V, 31) “L’elemosina espia i peccati “ richiama il Cap 3 v, 3) “Chi onora il padre espia i peccati” e il Cap. 1 v.. 21 “Il timore del Signore tiene lontano i peccati”; dalla riflessione di Don Giuseppe abbiamo colto questo insegnamento, cioè quando il peccato è espiato non riguarda solo il perdono dei peccati, ma anche la vittoria sulla forza del peccato. La remissione dei peccati ha in sé la potenza, la grazia di sradicare il peccato. In Matteo 6 Cap. 6 c’è un’altra ricchezza: “Mentre tu fai l’elemosina la tua sinistra non sappia ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; il padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà”
Quindi l’elemosina data senza suonare la tromba, cioè nel segreto, secondo la parola di Gesù, merita la ricompensa del Padre Suo e la ricompensa del Signore non è nemmeno l’ombra di quella terrena alla quale noi teniamo tanto, perché quando il Signore ricompensa si dona, dona sé stesso, si fa riconoscere (Apocalisse 3, 21) “Ecco io sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò a lui, cenerò con lui ed egli con me”.

Silvio: Il testo dice Chi ricambia il bene provvede all’avvenire, al tempo della caduta troverà sostegno. Abbiamo già trovato una cosa simile e anche allora mi venne lo stresso pensiero: ci può essere solidarietà umana, ma non è detto, umanamente parlando, perché se uno ricambia il bene poi, forse, avrà un certo riconoscimento sul piano umano, invece certamente questo lo vedo riferito al Signore, noi troveremo sostegno in avvenire. In seguito ci sono tutta una serie di attenzioni verso il povero e io lo vedo ancora in questa chiave di lettura, cioè quello che il Signore chiede a noi, in realtà rivela il cuore di Dio che non ci rifiuta il necessario per la vita e, al momento del bisogno, certamente avremo il Suo sostegno. Nello stesso tempo c’è questo insegnamento che è anche una garanzia di ottenere la capacità di avere attenzione verso i poveri, perché vengono fatti dei richiami severissimi e molto difficili, come l’ultimo che abbiamo letto questa sera, “non distogliere lo sguardo”; questa capacità di guardare, di posare, di non distogliere lo sguardo da chi è povero, da chi ha bisogno, da chi chiede a noi qualcosa è veramente difficile, siamo davvero più portati a distogliere lo sguardo ma, nello stesso tempo, abbiamo grande fiducia perché sappiamo che il Signore con noi è così e questo invito è garanzia di dono, cioè ci dona queste capacità se cerchiamo di obbedire a questa parola.

Don Giuseppe: L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati.
Perché mai, possiamo chiederci, il saggio paragona l’elemosina all’acqua e i peccati al fuoco? C’è chiaramente un parallelo, un confronto per insegnarci l’efficacia dell’elemosina che espia i peccati, ma c’è anche un rapporto intrinseco che è questo, cioè il peccato è frutto di un incendio spirituale che è l’incendio delle passioni che sono nell’uomo: l’ira, la concupiscenza, l’avarizia e le altre assomigliano a un fuoco che brucia dentro e che quindi incendia, come è già stato citato nell’Apostolo Giacomo, la ruota della vita, il ciclo della vita. Ora l’acqua spegne il fuoco, quindi l’elemosina spegne l‘ardore dei peccati, delle passioni e spegne l’ira divina che il peccato stesso accende nei confronti di colui che offende il Signore. Questo ci insegna la Divina Scrittura, dobbiamo sentire questo secondo battesimo, come dice Agostino:“Dio ci ha dato un secondo battesimo” infatti “come l’acqua estingue il fuoco, così l’elemosina estingue il peccato, nei nostri granai abbiamo abbondanza che estingue le nostre fiamme con l’oblazione di un solo pane, davanti alle porte della Geenna sta la misericordia che non permette a nessuno di entrare”, quindi dobbiamo credere molto al significato dell’elemosina, alla forza espiatrice dell’elemosina.

Chi ricambia il bene provvede all’avvenire, al tempo della caduta troverà sostegno.
Il nostro traduttore ha scelto un interpretazione di un testo greco che, pur essendo facile nella sua traduzione, non è facile nella sua interpretazione. Dice appunto alla lettera: “Colui che retribuisce le grazie se le ricorda alla fine” Ora, stando a questa traduzione, colui che retribuisce le grazie è Dio, Dio elargisce i suoi benefici a colui che fa l’elemosina e se la ricorda alla fine, quando appunto si giungerà a una situazione critica, diremmo insolvibile, Dio si ricorda dell’elemosine che tu hai fatto, perché Egli fa grazia a coloro che hanno misericordia “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Per questo noi cristiani dobbiamo combattere una paura che abbiamo, condivisa con tutti, che è quella di dire: “Ma come posso in questo tempo critico, in questa contingenza critica fare l’elemosina?”. Allora tu devi riflettere, come ti dirà in seguito il testo: se tu non dai altro che il superfluo, che le briciole, d’accordo, dai più del ricco che nemmeno dava al povero Lazzaro i pezzi di pane che cadevano dalla sua mensa perché egli era paralizzato e i cani arrivavano prima a mangiare quei pezzi di pane che i ricchi usavano per pulirsi le mani e poi li gettavano sotto la tavola, e quindi il cane arrivava immediatamente e il povero avrebbe desiderato mangiarli ma non riusciva perché paralizzato, ma non è abbastanza. Quindi qui la scrittura ci invita veramente a creare un punto di contatto con Dio, che è questo, è appunto il rapporto con Lui di fiducia: nel momento in cui possiamo essere in profonda necessità dobbiamo ricordarci di chi è povero.

Difatti il punto di catarsi dei Promessi Sposi è quando Renzo fa quell’elemosina e dice la celebre frase: “C’è la provvidenza”: questo è il punto di catarsi, il libro inizia il nuovo cammino di restaurazione nel racconto e quello è il punto di leva di tutto il resto del romanzo. Penso proprio che nell’animo cristiano di Manzoni ci sia questo discorso, il punto di appoggio è la provvidenza di Dio. Non a caso il testo latino della Bibbia, “la Vulgata”, dice: “il Dio serva colui che rende grazie e se ne ricorda più tardi”; e l’Apostolo Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi al Cap. 9, quando invita i cristiani di Corinto che sono abbastanza ricchi ma un po’ spilorci, dice: “che ce ne facciano di una raccolta generosa? perché colui che somministra il bene al seminatore e il pane per il nutrimento somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia”.
La versione italiana, quella che è stata scelta dal traduttore, dice: “Chi ricambia il bene provvede all’avvenire” , quindi ci incoraggia, continua il discorso precedente, ci rassicura riguardo all’avvenire. È un pensiero tipico della scrittura questo: “Nascondi l’elemosina nel seno del povero e porterà i suoi frutti”. Infatti il testo ebraico del Siracide dice: “Chi fa il bene lo incontrerà nelle sue vie”, cioè chi fa il bene incontrerà Dio nelle sue vie e “al tempo della caduta troverà sostegno”, s’intende in Dio, e anche Tobia (4, v. 10) dice: “Poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre”. Così in questi due versetti l’autore sacro ci presenta tre frutti dell’elemosina: spegni i peccati come l’acqua e il fuoco; rimane nella memoria di Dio chi la retribuirà; se si cade essa è sostegno. Dopo aver espresso questi principi fondamentali al discepolo che Egli chiama figlio perché sta prendendo il suo insegnamento, ora viene a esaminare il comportamento che si deve avere con il povero ed è quello che è espresso in questi primi 10 versetti nel Capitolo 4. Noi ci fermiamo per la lunghezza del testo solo ai primi 4 versetti Figlio, non rifiutare al povero il necessario per la vita

Giusta questa traduzione, ma vorrei farvi sentire il suono letterale perché è molto denso, come si esprime il testo nella lettera: “Figlio non privare la vita del povero”, cioè di quello che è necessario per vivere quindi del vitto, del vestito, dell’alloggio. Questa è la linea concorde dei padri della Chiesa che condannano l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi. Il superfluo che si trattengono e sciupano non appartiene a loro, ma ai poveri ai quali è sottratto. Voi comprendete perciò come sia intrinsecamente peccaminosa una società basata sul consumo. È un peccato intrinseco della società, è una struttura di peccato, come diceva Papa Giovanni Paolo II, che porta una società continuamente a essere in stato di peccato perché obbliga a sciupare i beni della terra e crea un sistema tale che rapidamente consuma le risorse per produrre un’opera inefficace, generatrice di iniquità e di male quale è il danaro, il quale non diventa più un simbolo di scambio, ma un segno di potere, di dominio. A questo punto noi sentiamo come tale sistema economico sia iniquo e sotto la maledizione di Dio, sotto l’ira di Dio. Per questo se l’ente pubblico non garantisce il bene comune contribuisce a compiere una grave ingiustizia che è quella di accumulare le
ricchezze in mano di pochi sottraendole alla necessità di molti. È un sistema iniquo, peccaminoso, quindi quando tutto converge verso questa direzione e i beni primari non sono più quelli che direttamente servono all’uomo, ma sono i simboli del commercio e le istituzioni inerenti ad esso, significa che ci troviamo in una gravissima situazione d’ingiustizia che non può che generare nuove forme d’ingiustizia perché il peccato è la forza generante questo sistema. Questo è chiarissimo, è semplice; al di là di tutti i discorsi complessi che si possono fare riguardo alla situazione economica, c’è un peccato di origine che inficia tutto il processo e che quindi inesorabilmente porta a un sistema iniquo di ingiusta retribuzione. Per cui vedete, si allarga il discorso “Figlio non rifiutare, non privare la vita del povero e quindi non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi” È chiaro che dice la lettera:“non scostarti dagli occhi bisognosi o non scostare gli occhi bisognosi, posati su di essi, guardali per vedere l’anima e lasciarti impressionare dalla sofferenza che c’è in quello sguardo”, quindi è già un rapporto molto intenso che viene spezzato all’interno dei nostri rapporti intercomunitari e non dico solo cristiani, ma anche quelli puramente umani e sociali, questi rapporti vengono spezzati proprio dall’isolamento a cui contribuisce pesantemente la trasmissione dei mezzi di comunicazione, perché i mezzi di comunicazione non ci fanno vedere il volto reale, ma il volto filmato che non impressiona più in profondità e noi non viviamo più la realtà dei rapporti vicendevoli, non siamo più capaci di guardare negli occhi degli altri e se trattiamo di un problema è appunto un problema, non è uno sguardo, una presenza, per cui nessuno conosce l’anima dell’altro.
Allora qui dice “Non ti scostare o non scostare gli occhi bisognosi” e in Tobia (Cap. 4) il testamento del padre al Figlio dice: “Dei tuoi beni fai elemosina, non distogliere mai lo sguardo dal povero così non si leverà mai da te lo sguardo di Dio”.

Non rattristare chi ha fame, non esasperare chi è in difficoltà
Questo versetto dice di non riempire di tristezza l’anima dell’indigente, la sua vita. Non esasperare, ma il verbo greco è più forte, non provocare l’ira nell’uomo che è in difficoltà e perciò è smarrito, non trovare gusto nel vederlo soffrire e non dargli risposte che amareggino talmente la sua anima che egli reagisce con ira nei tuoi confronti, ma al contrario abbi compassione di lui. C’è una barriera che dobbiamo superare di paura: il coraggio d’incontrare, di vedere oltre degli schemi, prima degli schemi c’è l’uomo, ha un nome, una storia, una patria, una terra, un’esperienza, cosa che non è facile perché anche Gesù che l’ha fatto sempre, non è che abbia trovato gratitudine nel suo rapportarsi con gli altri, tutt’altro, sono pochi coloro che l’hanno ringraziato e che lo ringraziano per il bene che fa, quindi il cristiano deve sapere che la gratificazione non è tanto la risposta al bene che fa, quanto un rapporto primario e fondamentale con Dio e quindi con Gesù che pronuncerà il giudizio nell’identificazione di sé stesso con i poveri, come ci dice il brano evangelico del giudizio.
Non turbare un cuore già esasperato, non negare un dono al bisognoso Esasperato è lo stesso verbo che abbiamo trovato prima, un cuore irritato, provocato all’ira dalla sua miseria; tu non turbare, ma qui il verbo è forte, non turbarlo in modo eccessivo, non stargli addosso, non umiliarlo, non approfittare di questa sua situazione e dice non negare, non differire il dono del bisognoso. Dice un testo dei proverbi: “Non dire torna domani” provvedi immediatamente, la scrittura e i padri esigono il pronto intervento.

Non respingere la supplica del povero , non distogliere lo sguardo dall’indigente.
Non respingere il supplice tribolato, dice alla lettera: lo vedi che è provato, che è nell’afflizione, nella tribolazione, non respingerlo e quindi “non distogliere lo sguardo dall’indigente”; insiste perché la tentazione d’indurirsi, di chiudersi anche di fronte a esperienze non buone d’ingratitudine, di non risposta, d’inganno è forte, poiché ogni uomo è menzognero, quindi è chiaro che quando il povero ti chiede finalizza sempre tutto quello che ti dice alla sua richiesta, questo ormai è noto, si vede, si tocca con mano, del resto facciamo così anche noi quando dobbiamo chiedere qualcosa, finalizziamo tutto a fare in modo che la nostra richiesta sia accolta e sia esaudita. È un atteggiamento dell’animo umano che difficilmente raggiunge la sincerità, figuriamoci poi la verità a cui, a livello oggettivo, storico della situazione è impossibile arrivare perché noi elaboriamo continuamente la situazione secondo i nostri schemi mentali, le nostre paure, le nostre condizioni, sono processi che abbiamo dentro, quindi è chiaro che sono anche in coloro che sono poveri. Ecco, vedete, l’autore sacro è molto fine, lavora moltissimo sul rapporto, sul rapporto tra colui che dà e colui che riceve, proprio perché su questo rapporto si fonda la capacità di saper intervenire in modo buono nelle situazioni.
Prossima volta Martedì : SIRACIDE CAP. 4 Versetti 5-10

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