Rino Nanni – Ricordi del passato: Vergato nel movimento operaio
2023/02/25, Vergato – Un’altra pagina da “leggere” oltre le cartoline, le immagini bruciate dalla fretta, vale la pena di spendere due minuti per una lettura che parla di fatti, persone, luoghi e non ti lascia indifferente.
VERGATO NEL MOVIMENTO OPERAIO (pag.38 – 49)
Ma, seppure in ritardo rispetto alla pianura, anche il movimento operaio, tramite le Leghe, le Cooperative e le Sezioni Socialiste, ebbe in montagna ed a Vergato una sua storia ed un suo ruolo.
A Castiglione dei Pepoli, per iniziativa di Mariano Girotti la prima Sezione Socialista viene costituita nel 1898. Successivamente esse sorgono anche a Lagaro e Baragazza. Nel 1911 viene conquistata l’amministrazione comunale e dopo qualche anno Girotti sarà Sindaco e vi resta fino all’avvento del fascismo, per tornarci ancora nel 1960.
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Le prime lotte sindacali nella zona si svolgono già nel 1910-1911 attorno ai primi lavori di costruzione della Direttissima e del bacino del Brasimone. Le conquiste sono importanti: l’assunzione e il licenziamento degli operai avverrà attraverso l’ufficio di collocamento, gli operai in cava lavoreranno solo 6 ore, le tariffe sindacali saranno applicate e rispettate.
Dopo il Congresso di Livorno (1921) a Castiglione dei Pepoli nasce la Sezione del P.C. d’Italia, Sezione dell’Internazionale Comunista.
A Campolo la Lega degli Scalpellini viene costituita nel 1905. La Lega avrà una sua bandiera rossa con “scalpello, squadra e martello” che è l’insegna della categoria. La lega formerà successivamente una cooperativa e una squadra bandistica locale. Nel 1918 sarà poi costituita la Lega dei Manovali.
La Sezione Socialista nasce nel 1910 e la Lega delle donne che lavorano a domicilio nel 1914.
Anche a Campolo si svolgono dure lotte, prima contro i proprietari delle cave che organizzano il crumiraggio per tenere basse le tariffe, poi contro il Comune di Grizzana per la costruzione della strada Vimignano – Riola.
Le leghe di Campolo parteciparono anche alla lotte agrarie. Scontri vi furono per il rifiuto di falciare il fieno e di trebbiare il grano. A Campolo ebbe vita anche un gruppo di Arditi del Popolo che per tre volte misero in fuga i fascisti provenienti da Riola e Savignano.
Vanno ricordati fra i promotori Gaetano Vannini, Pietro Venturi e il Segretario della Lega dei manovali che nel 1920 venne ucciso dai fascisti.
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A Vergato, il 1° maggio del 1912 gli operai degli stabilimenti dei Serrini (in maggioranza donne) decidono di cessare il lavoro all’1 perchè “era la festa dei socialisti”. La Lega dei muratori aveva cessato il lavoro fin dal mattino e partecipato ad un comizio socialista .
A Marzabotto le Leghe contadine sono fra le più forti della montagna e nelle lotte agrarie si conquistano largo prestigio e credibilità, mentre il Comune è conquistato dai socialisti.
Uomini di coraggio, anche se non sempre con idee chiare e preparazione politica adeguata, guidano in tutti i Comuni le lotte che vanno sviluppandosi. Sangiorgi a Vergato, costretto poi all’emigrazione dai fascisti e morto in America subito dopo la liberazione; il geom. Arnaldo Corazza noto nel vergatese e a Castel D’Aiano; Nerozzi a Marzabotto che diventerà Sindaco e morirà in Spagna combattendo contro il fascismo; Lenin (Sabattini) al Vizzero ; Cerbai e Girotti a Castiglione dei Pepoli; Quadri Antonio, Sabbioni Primo, Nicoletti Aldo, Cassani Andrea e successivamente Arturo Colombi per la cui biografia basta leggere il suo libro “Nelle mani del nemico”. E sono solo alcuni di quel periodo di lotta che precede l’avvento del fascismo.
Nella vallata del Reno il movimento ebbe il suo centro vitale.
Durante la guerra, libica venne organizzata dai borghesi locali e dai nazionalisti una manifestazione a cui prese parte il corpo bandistico. Intonato l’inno di Tripoli i borghesi tentarono un applauso, ma furono zittiti dai muratori ed altri lavoratori intervenuti in massa. Vi fu un tafferuglio per l’intervento dei Carabinieri guidati da un Commissario di polizia. La manifestazione finì al canto di Bandiera Rossa a cui si associò anche la banda.
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In quel periodo entra sulla scena Colombi, manovale appena dodicenne che fa il diffusore dell’Avanti e di Avanguardia, giornale della Federazione Socialista. A 14 anni entra di diritto nella Lega dei muratori.
Lo scoppio della prima guerra mondiale costringe tutti gli emigrati a rientrare. Questo fatto aggrava la disoccupazione ed il malcontento nella zona. Fra coloro che rientrano c’è il gruppo degli “Anarchici Svizzeri” capeggiati da Giovanni Lenzi. Venivano chiamati così perchè avevano soggiornato a lungo a Zurigo. Lenzi si dava le arie del dirigente esperto. Riuscì a raccogliere attorno a sè una buona parte degli ex emigrati e della popolazione più povera ed arretrata della zona, soprattuto quella parte esclusa dalla cooperativa socialista.
L’inverno 1914-15 fu particolarmente duro. Disoccupazione, nessuna assistenza, malcontento per l’imminenza della guerra. I socialisti rimasero passivi e così i malcontenti si raggrupparono attorno agli anarchici.
I moti iniziarono con un comizio contro l’alcoolismo. Ma lo scopo era quello di assaltare il Comune. Solo che quando spalancarono il portone, tutto l’atrio era pieno di carabinieri. Lo scontro fu duro, ma l’intervendo di un gruppo di operaie tessili dei Serrini, ruppe il cordone e permise un parziale saccheggio del palazzo. Ma il Sindaco non era presente. Allora la folla si diresse verso la sua abitazione che era nello stesso palazzo del sottoprefetto. Si voleva l’apertura dei lavori di una strada che il Sindaco osteggiava perchè toccava la sua proprietà. I dimostranti tentarono di abbattere la porta e solo l’intervento del socialista Arnaldo Corazza, dirigente influente e consigliere comunale di minoranza, riuscì a riportare la calma.
Di ciò approfittarono gli anarchici per appesantire la polemica contro i socialisti, accusati di non occuparsi dei problemi reali e di presentarsi a cose fatte, nelle vesti del pompiere.
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Il Socialismo insomma aveva paura della piazza.
Forti di questo successo, la Camera del Lavoro Sindacalista ( di tendenza anarchica ) da poco costituita, lanciò un appello per una grande dimostrazione di vallata. La manifestazione riuscì con la presenza di persone da tutti i Comuni della montagna. Oltre 10.000 i presenti in un paese posto in stato d’assedio. I carabinieri avevano avuto l’appoggio dei soldati che appostarono le mitragliatrici nei punti strategici. I dimostranti si erano armati di vecchi fucili e di nodosi bastoni. L’intervento moderatore dei Socialisti evitò
lo scontro.
L’agitazione durò dieci giorni. Il nucleo centrale era rappresentato dalle 200 operaie tessili dei due stabilimenti della zona ( Serrini e Pioppe ). Queste impedirono la partenza dei sacchi di iuta, interruppero il carico dei vagoni di grano, strapparono arrestati dalle mani della polizia.
Fioccavano le denunce. I dirigenti non dormivano più a casa loro. Poi l’agitazione si spense. Le operaie ottennero un aumento di salario, gli edili la costruzione della strada, venne la dichiarazione di guerra e la mobilitazione generale. Tutti gli uomini validi dai 20 ai 45 anni partirono per il fronte come fanti o come alpini.
I borghesi che avevano trovato la via per imboscarsi rialzavano la testa.
Il partito Socialista non seguì, sulla via del tradimento, i grandi partiti socialisti dell’occidente che, nell’agosto del 1914, dichiararono la “Tregua interna” ed aderirono all’unione sacra con la propria borghesia.
II Socialismo italiano con la formula di Lazzari – Serrati del “non aderire non sabotare” fece il compromesso con gli interventisti, ma il gruppo parlamentare continuò a votare contro i crediti di guerra
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Per i lavoratori era chiaro che la guerra arricchiva la borghesia e avrebbero voluto un atteggiamento più deciso del tipo “nè un uomo nè un soldo per la guerra imperialista”.
D’altra parte l’organizzazione del Partito resa debole dalle partenze dei dirigenti e della parte più attiva, restava in attesa di presentare, a guerra conclusa, il conto sospeso.
Il malcontento più forte era fra i giovani. Essi accusavano il partito di tolleranza verso gli opportunisti e gli siovinisti, verso la FIOM che partecipava ai Comitati di mobilitazione industriale, verso i Sindaci che aderivano ai Comitati di mobilitazione civile.
Colombi che frattanto era stato eletto Segretario del circolo giovanile promosse un incontro con gli anarco-Sindacalisti per discutere iniziative comuni contro la guerra. Il fatto sollevò una serie di contestazioni di cui si fece portavoce Umberto Sangiorgi, Segretario della Sezione Socialista e si concluse con la destituzione di Colombi da Vice Segretario amministrativo della Cooperativa. Il Presidente della Cooperativa, Carisi, avrebbe accettato una dichiarazione autocritica, ma Colombi rifiutò e rientrò nel cantiere come manovale.
Intanto la guerra, presentata come una passeggiata militare, si protraeva nel tempo e nel fango delle trincee. La logica nazionalista voleva una guerra offensiva, ma si combatteva in una regione montagnosa contro posizioni forti e decisamente difese. Nelle frequenti offensive i soldati venivano lanciati all’assalto di un monte fortificato; scorrevano torrenti di sangue e quando la posizione era espugnata ci si trovava davanti ad una nuova analoga posizione. Il Comando Supremo inaugurò la tattica delle ondate successive, ottenendo valanghe di morti davanti ai reticolati e alle armi del nemico.
Nelle trincee, come è sempre avvenuto, si soffriva la fame e il freddo. Le promesse non erano mai mantenute.
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In compenso fioccavano le punizioni e i maltrattamenti. E intanto nel paese, ma in particolare nelle grandi città, la corruzione dilagava. La congiuntura di guerra favoriva gli arricchimenti scandalosi, permetteva alla gente priva di scrupoli di far soldi con facilità.
Chi aveva danaro riusciva ad imboscarsi. Crescevano così non solo il malcontento, ma le diserzioni e gli atti di autolesionismo, di rifiuto all’obbedienza fino a provocare in più occasioni, le note “decimazioni” che consistevano nel mettere il reparto in fila, nel contare fino a 10 e nel fucilare tutti i decimi senza alcun processo.
Anche i dirigenti socialisti subivano gli influssi di una situazione così difficile. Claudio Treves fu aspramente rimproverato per un discorso alla Camera ove affermò “non più un inverno in trincea” che venne ritenuto disfattista. Dopo Caporetto Turati dichiarò che “anche per noi socialisti la patria è sul Grappa” ed ebbe gli applausi dei borghesi e dei nazionalisti.
Furono così coniate le battute: “Socialisti del Kajser” “Austriacanti” ecc. .
Dopo Caporetto veniva trasferita da Verona, divenuta immediata retrovia, a Vergato una fabbrica di conceria delle pelli che dette un pò di ossigeno alla occupazione locale. Il lavoro alla conceria non mancava, per cui venivano chieste giornate di 12 – 14 ore di lavoro. Lo sfruttamento era al massimo livello, poiché gli operai potevano ottenere l’esonero dal servizio militare, e non era prevista alcuna protezione dagli infortuni.
Nacque così la Lega dei conciapelli. Ma i metodi padronali, a volte repressivi altre volte paternalistici avevano prodotto una situazione di apatia e di non partecipazione.
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Cosicché nessuna reazione si ebbe al licenziamento di Colombi dovuto ad uno scontro per una multa di due lire considerata ingiusta.
Ancora prima della guerra, una Lega nasce a Cereglio che durante e dopo la guerra avrà diversi momenti di importante presenza.
Fra queste va ricordata la manifestazione dei reduci, che tornati dal fronte, si trovano disoccupati ed irrisi dagli imboscati e dai borghesi. Davanti alla manifestazione il sottoprefetto è costretto a cedere un sussidio di 3 lire al giorno per tre mesi che vengono poi pagati dal Comune di Vergato.
Sempre a Cereglio nel 1919 nasce la Cooperativa di consumo, come sezione di quella operante a Vergato.
Intanto la Lega è cresciuta e vi aderiscono lavoratori di tutta la zona ( Pieve Amore, Tolè, Prunarolo ). Anche qui si sviluppa la polemica fra socialisti ed anarchici, che viene affrontata con un referendum il quale deciderà se aderire alla Camera del Lavoro Sindacalista capeggiata da Borghi o a quella di ispirazione Socialista, nell’intesa che non vi sarà scissione, ma la minoranza accetterà l’orientamento maggioritario. La vittoria fu della corrente anarco-sindacalista. Sabbioni Primo è eletto Segretario e Comastri tiene le prime Conferenze. La bandiera rossa con nastro nero ed un trofeo di spighe di grano sarà l’emblema della Lega. A Tolè un comizio del maestro Martini è contestato dal Prete e dai Popolari, ma i giovani di Tolè capeggiati da uno di loro sopranno minato “il Merlo” riescono ad avere la meglio.
Col trasferimento di Sabbioni a Marzabotto che ha vinto un concorso da cantoniere provinciale, Segretario della Lega diventa Nicoletti Aldo di Susano conquistato al Socialismo quando era dirigente dell’Associazione Combattenti, altra figura luminosa di militante, socialista prima, comunista poi.
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A Marzabotto grosso sviluppo acquistano le lotte agrarie. Nerozzi, De Maria, Caroli, il Dott. Comastri e poi Sabbioni animano la lotta e l’associazione degli agricoltori reagisce escomian do tutti i mezzadri. La Lega però con un ampio appoggio popolare, impone ai proprietari il pagamento di una tangente come accettazione di un accordo. Da qui denunce ed arresti sotto l’accusa di estorsione.
Da ricordare ancora la manifestazione di Pioppe nel periodo della occupazione delle fabbriche. Le Leghe di Vergato, Grizzana e Marzabotto portarono in piazza 2.000 persone e attesero l’arrivo di Nunzio Bertini (Bentini?) che veniva da Milano ove si discuteva della lotta in corso. Bentini (Bertini?) arrivò nel primo pomeriggio ma l’ordine era di non occupazione. A Milano era prevalsa la posizione rinunciataria di D’Aragona e dei riformisti, i quali si accontentarono delle assicurazioni di Giolitti, allora Presidente del Consiglio.
I manifestanti reagirono con urla e fischi, molti piansero di rabbia. Comastri e Pini stigmatizzarono la decisione, ma ormai la resa era avvenuta.
Legata alla lotta agraria vi fu la campagna contro la trebbiatura del grano, quale momento di pressione per il rinnovo del capitolato colonico. L’iniziativa massimalistica e certamente non produttiva ( si trattava in genere di grano consumato direttamente dalla famiglia ) ebbe tuttavia delle manifestazioni importanti, come quella che impedì a Mascagni di Vergato di trebbiare a Prunarolo, perchè gli operai della zona, con le loro bandiere, percorsero 12 Km. per manifestare sul posto.
Sangiorgi parlò ai crumiri e le ragazze imposero al Prete di ascoltare il comizio. Non furono fatte violenze.
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Finita la guerra, con la firma dell’armistizio il 4/11/1918, la borghesia esultava, ma milioni di reduci erano ridotti alla fame. La terra, promessa ai combattenti da Vittorio Emanuele III, resta ben salda nelle mani dei vecchi proprietari.
Il costo della vita e la svalutazione procedeva con indici sempre più elevati; i pensionati, gli invalidi ridotti alla disperazione .
La vecchia classe dirigente fu costretta a qualche concessione.
La giornata di 8 ore, aumenti salariali, l’amnistia per i disertori. Ma il rancore cresceva e l’ondata rivoluzionaria era in aumento.
L’esperienza sovietica, sia pure in modo epidermico, veniva vissuta come fatto travolgente. “Fare come in Russia” era una parola d’ordine che rapidamente si estese. Il nome di Lenin, dei Soviet, erano sulla bocca della gente semplice. Negli anni 1919-20 si ebbe il momento culminante dell’ondata rivoluzionaria. I dirigenti del Partito Socialista, a cominciare dal segretario Bombacci (che finirà per diventare Prefetto Repubblichino ed impiccato a Milano assieme a Mussolini a Piazzale Loreto) facevano sfoggio della retorica rivoluzionaria parolaia più inconcludente.
Così il Congresso di Bologna (1919) non pone il problema della conquista rivoluzionaria dello stato e della dittatura del proletariato, ma quello delle elezioni politiche del novembre che pur segnarono una grossa vittoria. Il PSI vede salire i suoi deputati da 48 a 156. A Bologna su 8 Collegi, 7 sono gli eletti socialisti: Bombacci, Bucco, Bentini, Zanardi, Graziadei, Marabini, Grassi.
In verità le masse lottavano. Scioperi per più adeguati salari, contro il caro vita, contro gli eccidi dei lavoratori, l’occupazione di terre e delle fabbriche, avevano anche il carattere di lotte per la conquista del potere, ma erano condotte in modo sparso, dominati dalla spontaneità, abbandonate a se stesse.
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La situazione era rivoluzionaria ma mancava il partito della rivoluzione.
Serrati Direttore dell’Avanti fa decidere l’incompatibilità fra la carica di Deputato e quella di membro della Direzione del partito. A novembre quasi tutti i membri della Direzione vengono eletti Deputati. Nessuno rinuncia, neppure Bombacci che è Segretario del P. e si deve costituire una nuova Direzione. I riformisti garreggiavano con i massimalisti nella retorica comiziale , ma assolvevano al ruolo di pompieri e di mediatori col governo. Turati non credeva nella rivoluzione e in “Critica Sociale” sosteneva che era assurdo pensare alla rivoluzione socialista in piena evoluzione borghese.
Serrati rifiutava i solleciti ad espellere i riformisti, in quanto alla vigilia della conquista del potere, non si poteva fare a meno dei capi, dei Sindacati, dei Comuni, di tutti coloro cioè che al Socialismo non credevano ed anzi lo sabotavano.
Il movimento abbandonato a se stesso se la prese con i bottegai, contro i quali decretò il sabotaggio, contro i militari e carabinieri che venivano sputacchiati ed insultati, contro la bandiera nazionale quale emblema dei guerrafondai. Tutto ciò offendeva molta gente che non era responsabile della situazione. Nell’agosto del 1920 ebbe luogo l’occupazione delle fabbriche.
I riformisti ne furono spaventati e rifiutarono di riconoscergli carattere politico, lasciandone la gestione al Sindacato. La decisione, rimessa all’Assemblea dei dirigenti sindacali, decretò, con l’apporto decisivo di 800.000 iscritti alla Federterra, che nessuno aveva consultato, che non si trattava di un movimento politico.
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Questa decisione segnò la sconfitta. Il movimento operaio perdeva la battaglia per il potere senza averla combattuta.
Nelle lotte agrarie le conclusioni non furono diverse. Lo scontro diretto dei riformisti fu aspro e senza esclusione di colpi.
I mezzadri vinsero imponendo un capitolato colonico che era inattuabile. Ma era proprio questo che volevano i riformisti, attestati su una politica di “bracciantalizzazione”, che avrebbe dovuto, secondo loro, costringere gli agrari alla rinuncia per arrivare alla conquista della terra con la cooperazione agricola e l’aiuto dello stato.
Si erano così esasperati i contrasti. La parola d’ordine della “socializzazione” della terra aveva spaventato i contadini, che ancora in questo dopo guerra li ha guidati in braccio alla DC.
La lotta era condotta contro tutti, anche contro i coltivatori diretti. Basti ricordare la campagna contro la trebbiatura del grano che anche nel vergatese ebbe serie e durature conseguenze negative.
Guarda gli articoli precedenti; https://vergatonews24.it//?s=rino+Nanni
Nella prossima puntata: L’AVVENTO DEL FASCISMO
Tratto dal manoscritto: Rino Nanni – ESPERIENZE E RICORDI DEL PASSATO – Aprile 1945 – Ottobre 1981
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