Rita Ciampichetti – Quando a scuola si facevano le aste
2023/08/07, Vergato – Quando a scuola si facevano le aste
Nel mio solito scartabellare nei cassetti dei vecchi mobili di famiglia ho ritrovato un documento veramente interessante.
Su uno stampato ormai ingiallito dal tempo della Premiata Tipografia e Cartoleria G. Zambelli di Bologna, la Carta d’Ammissione al Regio Conservatorio S. Maria del Giglio di Sambuca Pistoiese della giovanetta Colombarini Alma alunna della IV classe elementare anno scolastico 1923-1924.
Ben 100 anni fa mia suocera Rosita fu mandata in quel collegio chiamato Regio Conservatorio ubicato lassù nel borgo storico di Sambuca Pistoiese, diretto dalla Maestra Teresa Bartoletti.
Ricordo che una volta la Rosita mi disse che era molto amica dell’Ermelinda, la mamma di Luigi Righi, perché era stata sua compagna di collegio a Sambuca Pistoiese, ma non mi ha mai spiegato la ragione per cui suo padre la mandò in collegio e non avendo in seguito più affrontato l’argomento questa curiosità è rimasta insoddisfatta lasciando spazio solo alle supposizioni.
Come già raccontato precedentemente mia suocera nacque a Olavarria in Argentina, la sua mamma Lazzarini Rosa morì di parto e il suo papà Colombarini Giuseppe, dopo due o tre anni tornò con lei in Italia stabilendosi a Castel d’Aiano e l’allevò da solo fino a quando non fu una ragazza, solo in seguito, dopo molti anni di vedovanza si risposò con la Veggetti Maria.
A quei tempi e dalle nostre parti presumo che le bambine frequentassero solo fino alla terza elementare, quindi penso che il padre, per farle continuare il percorso di studio e darle una istruzione spendibile, abbia deciso di mandarla ad una scuola privata e quindi volente o nolente la spedì in quel Collegio disperso sui monti di Sambuca Pistoiese, un periodo della sua vita che non amava ricordare.
Veniamo però al soggetto principale del racconto ispirato dalla lettura e dall’analisi della pagella rilasciata.
Se avete vista buona per leggere le AVVERTENZE apprenderete che il Regolamento per gli esami nelle Scuole Elementari, approvato con Regio Decreto 13 ottobre 1904, prevedeva che gli alunni erano dispensati dalle prove degli esami di promozione se avevano meritato nell’ultimo bimestre e nello scrutinio finale non meno di sei punti per il profitto e non meno di sette punti nella condotta.
Infatti nella colonna annotazioni della pagella della Rosita c’è scritto “dispensata” sottoscritta dall’insegnante il 26 luglio 1924 ed infatti i voti conseguiti meritavano tale dispensa.
In compenso oltre alla condotta sono elencate ben 18 chiamiamole materie oggetto di valutazione.
Ero convinta che a quei tempi doveva esserci anche Religione considerando che mia suocera disse che il Collegio era retto da suore, ma poi mi sono ricordata che fu nel febbraio del 1929, quindi quattro anni dopo, che vennero firmati i Patti Lateranensi tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica con i quali si pose fine alla così detta questione romana, quindi solo dopo il 1929 fu inserito l’insegnamento della religione cattolica alle elementari e alle medie.
Sono però alcune materie di insegnamento e d’esame riportate che mi hanno fatto sorridere non poco quali ad esempio igiene, economia domestica, lavori donneschi, educazione morale e istruzione civile, calligrafia.
La “calligrafia”, quest’ultima materia ha riacceso un’infinità di ricordi del mio periodo scolastico elementare, esattamente quaranta anni dopo gli anni scolastici di mia suocera, quando la calligrafia non costituiva materia di insegnamento e valutazione, ma alla quale veniva comunque dato ancora un certo valore.
E’ decisamente anacronistico avere una “bella calligrafia” nell’era attuale in cui dominano tastiere e touchscreen dove le nostra dita danzano veloci, ora sono i nostri due pollici che devono muoversi vorticosamente sullo schermo dello smarthphone per inviare messaggi telegrafici corretti spesso a vanvera in tempo reale dal T9. Chi si sogna più di scrivere le romantiche lettere, chi prende ancora appunti a mano? Io stessa, in questo momento sto scrivendo utilizzando un sistema elettronico. Scrivo in bella calligrafia solo il libro di ricette di famiglia per essere omogenea con quelle redatte a mano da chi mi ha preceduto e i verbali delle assemblee del Circolo Bocciofila Vallereno di cui sono segretaria, verbali che amo iniziare con lo storico incipit “Addì sabato 5 agosto dell’anno del Signore duemilaventitre..” con tanto di svolazzi grafici.
Penso di essere comunque decisamente anacronistica perché rimango sempre colpita ed affascinata da una bella calligrafia nello scritto a mano, l’ammiro per la sua armonia e bellezza nel disegnare la forma delle lettere, per l’eleganza del corsivo e a volte confesso che mi diletto a scrivere su un foglio a quadretti l’alfabeto in lettere maiuscole e minuscole così come me lo hanno insegnato alle elementari quando dovevi stare attenta anche alle dimensioni e proporzioni delle lettere e venivi premiato se avevi un quaderno ordinato.
Questa perfezione come la riuscivi a raggiungere?
Non vi sembrerà vero, ma ho ben nitido, come se fosse avvenuto ieri, il ricordo del mio primo giorno di scuola: 1° ottobre 1963, data molto importante nel campo dell’Istruzione perché entrò in vigore il provvedimento che introdusse la scuola media unificata gratuita e obbligatoria.
Allora la prima elementare a Porretta Terme si frequentava presso l’ex Casa del Fascio, vecchio edificio che con quella torre che lo fa assomigliare ad un maniero incuteva un certo timore ad una bambina un po’ selvatica che non aveva nemmeno frequentato la scuola materna.
Comunque la maestra, Rita Brizzi dal volto solare e con un sorriso dolcissimo, mi ispirò subito quel senso di conforto da farmi superare l’inevitabile timidezza acuita ulteriormente dal fatto che quando andai in bagno mi accorsi che invece del water c’era una vecchia turca con i piedoni, intuì che dovevo mettere un piede di qua ed uno di là, ma purtroppo la distanza era troppa e finì che mi bagnai le mutande, per fortuna era quasi l’ora di fine lezione.
Quel primo giorno dovevamo fare un disegno a piacere sul quaderno a quadretti, io feci una casetta, con due alberi ai lati, finito e colorato il disegno, la maestra disse di iniziare a fare delle righe verticali sui lati dei quadretti, facendo attenzione a farle esattamente tutte uguali, le conosciutissime “aste”.
Dopo pagine di aste, si passò ai bastoncini, poi ai tondi, poi ai quadrati, fino a quando, dopo i pasticci iniziali fortunatamente cancellabili perché in prima elementare si scriveva solo con la matita, acquisivi una certa padronanza di gestione degli spazi.
Quando dopo un po’ iniziavi a scrivere sul quaderno le prime lettere dell’alfabeto, di solito evidenziate in un manifesto attaccato alla parete: l’A di Ape, la E di Edera, la I di Imbuto, la tua manina era abbastanza allenata per non debordare dai quadretti e per rispettare il corretto posizionamento dei diversi segni (gambette, trattini, ricciolini, puntini) nello spazio di competenza.
Una perdita di tempo? Forse, però la maestra apprezzava un quaderno ordinato senza buchi di cancellatura perché quando l’anno dopo in seconda elementare avresti abbandonato la matita ed iniziato ad usare la cannuccia con il pennino, la tenuta in ordine del quaderno sarebbe diventata più complicata.
Ma vi ricordate com’era scrivere con la cannuccia ed il pennino?
Rivedo ancora i vecchi banchi di legno con il piano nero un po’ in pendenza, un pezzo unico con il sedile reclinabile, con in mezzo il buco per l’inchiostro dove intingere il pennino. “Signora maestra, ho finito l’inchiostro!!!” “Rita, va a chiamare il Signor Doro” … e Doro, il bidello, arrivava con un provvidenziale nero bottiglione da due litri e rifaceva il pieno. Sotto al banco, il ripiano dove mettere la merenda che si faceva rigorosamente alle ore dieci per dieci minuti scarsi.
Intingevi il pennino nell’inchiostro e scrivevi, stando attenta a non premere troppo per non incidere la carta e per non trascinare quei peluzzi antipatici che ti avrebbero fatto sbavare e poi via di carta assorbente, pressata bene per assorbire l’eccesso e non fare altri pasticci, difficilmente non ci eravamo fatti nel corso della giornata qualche macchia di inchiostro sul grembiule o sulle dita delle mani, se non addirittura sulla lingua per il vizio di mettere in bocca la cannuccia.
In commercio c’erano tanti tipi di pennino, ognuno aveva il suo preferito: la torre Eiffel, il gobbino, la manina; io usava la torre Eiffel perché mi garantiva un tratto sottile anche se si spuntava facilmente, amavo scrivere con l’inchiostro, con alcuni pennini potevi azzardare anche a fare qualche tratto più marcato garantendo alle lettere quell’elegante effetto chiaro scuro.
Poi è arrivata la penna biro e la scrittura ad inchiostro è praticata ormai solo dagli amanti dell’arte della scrittura a mano eseguita con precisione ed eleganza, infatti la parola greca kalligraphía è composta da kállos “bellezza” e gráphein “scrivere”.
Non conosco qual è oggi l’approccio didattico nelle scuole in merito allo scrivere però mi hanno confermato che purtroppo non si dà importanza allo scrivere in corsivo, che insegna ai bambini direzione, inclinazione e rapporti tra le lettere e costituisce la base della calligrafia.
Quindi l’insegnamento dello scrivere bene si è limitato solo allo scrivere tralasciando gli aspetti di una corretta impugnatura e del percorso per tracciare una lettera e provocando di conseguenza l’incapacità di percezione di ordine del foglio ed è veramente inquietante il dato che il 50% dei ragazzi di età compresa tra i 14 e i 19 anni non sa più scrivere in corsivo, ma solo in stampatello.
Ricordo invece la soddisfazione nel mostrare la buona tenuta del proprio quaderno, ordinato e ornato da quelle deliziose cornicette con cui separavamo i vari esercizi e che copiavamo dall’album Roselline assieme ai facili primi disegni.
Lo so che scrivere a mano è faticoso. Ricordate i lunghi temi di italiano sui fogli protocolli? Prima in mala copia e poi riscritti in bella, le ore piegati sul banco con la penna stretta tra il pollice e l’indice ormai indolenziti? Dicono che tra l’omero e il polso ci sono 29 ossa che devono coordinarsi in modo perfetto per ottenere una bella scrittura.
Quando ho iniziato a lavorare nella segreteria della Comunità Montana in Segreteria esistevano i registri degli atti deliberativi di Comitato Esecutivo e di Consiglio dove, a mano, dovevi trascrivere tutti i dati delle centinaia di delibere adottate, naturalmente nella tua migliore calligrafia. Mi impegnavo molto nel farlo perché la mia collega, diplomata maestra, aveva una scrittura in corsivo particolarmente elegante.
A volte mi fermo a pensare che se qualcuno farà nel tempo qualche ricerca storica nell’archivio cartaceo forse apprezzerà il modo in cui sono state trascritte le informazioni per renderle chiare e leggibili.
Quest’anno inizia la scuola mio nipote Lorenzo e riuscirò a farmi un’idea di come sarà il suo approccio all’apprendimento della scrittura, quello che cercherò di fargli comprendere è che cercare di scrivere a mano bene non è un inutile e faticoso esercizio, ma essendo comunque la scrittura uno strumento di comunicazione deve rispettare delle regole altrimenti corre il rischio di diventare illeggibile come purtroppo oggi avviene in molti casi che per assurdo, a distanza di tempo, molti non riescono più a decifrare cosa hanno scritto.
Ai miei tempi si diceva “chi non capisce la sua scrittura è un Asino di natura”, ma, come dicevo all’inizio, sono irrimediabilmente anacronistica e finirò prima o poi per rendermi antipatica nel rispolverare quello che è stato, perché comunque il tempo passa e va e quello che è stato è stato.
Rita Ciampichetti, 2023