Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.9: Dalla camera dei novelli sposi giunsero per buona parte della notte sospiri, gemiti…

2024/08/19, Vergato – Capitolo 9: Vita in famiglia.

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Quella notte non fu certo caratterizzata dai soliti rumori della vecchia casa a cui nessuno più badava e che non turbavano certo il sonno dei giusti: scricchioli del legno nei vecchi armadi o nelle assi del pavimento, il rapido fruscio dei topolini nel “tassello”, qualche colpo di tosse, il russare della Cesira, le naturali flatulenze corporee, l’abbaiare del cane se qualche animale selvatico si avvicinava troppo, il bubolare del gufo che abitava in un buco del grande oppio vicino al letamaio.

Dalla camera dei novelli sposi giunsero per buona parte della notte sospiri, gemiti intervallati da soffocate risate ed accompagnate dall’allegro cigolio delle reti del letto, segno che per loro la festa continuava alla grande.

Troppo stanca per prendere subito sonno, accovacciata con la schiena contro Amerigo che l’accoglieva tra le sue braccia,  Elide ripensò sorridendo alla sua prima notte di nozze.

Durante il breve periodo di fidanzamento l’intimità tra lei ed Amerigo non era andata mai al di là di qualche bacio anche appassionato e a fuggevoli carezze, non è che mancava l’ardore dell’innamoramento, anzi a volte l’Elide sentiva crescere dentro di se il desiderio che quelle carezze si facessero più ardite e che Amerigo la toccasse ovunque, che la prendesse e la stringesse tanto da fondersi assieme a lui in un solo essere. 

Non potendo contare sulla mamma, su sorelle maggiori e non avendo la sufficiente familiarità con la sua padrona le informazioni in  possesso dell’Elide in tema sessuale erano limitate alle intime confidenze con la sua amica Fernanda che a sua volta le aveva orecchiate dalle chiacchiere sussurrate dalle donne nella bottega di sua mamma Peppina e che si potevano riassumere in semplici concetti: gli uomini sono tutti porci, pensano solo a quella cosa lì e al loro piacere e come aveva sentito affermare con decisione dalla Giulia, perpetua di Don Basilio “Non lo faccio per piacere mio, ma per dare un figlio a Dio ovviamente dopo il santo matrimonio”.

Inoltre si poteva correre anche il rischio di cedere ai desideri di un mascalzone che se ti metteva nei guai poi non voleva assumersi le conseguenti  responsabilità lasciandoti con il cerino in mano e meditando su questo aspetto l’Elide non poteva che pensare con tristezza e rabbia a sua madre.

Come era capitato alla Cecégglia dla Casleta ‘d Sovra, messa incinta da Gaitanèn ‘d Spezzla che aveva poi sposato un’altra ragazza, ma poi crescendo il figlio della Cecégglia era diventato la fotocopia esatta di Gaitanèn per cui, anche senza esame del DNA, era innegabile la paternità, tutti sapevano e il fatto costituiva oggetto di pettegolezzo, ma la maggior parte della gente non dava certo la colpa a Gaitanèn che era un uomo ed aveva agito di conseguenza alle provocazioni, piuttosto alla  Cecégglia che aveva fatto  la leggera, così andava il mondo.

Perciò l’educazione di quegli anni associata a molta timidezza da parte di entrambi avevano contribuito affinché l’Elide arrivasse vergine al matrimonio.

Quando alla sera del giorno delle nozze l’Elide ed Amerigo si trovarono soli nella camera da letto, lei fu colta dall’inevitabile turbamento e vergogna  di doversi spogliare per la prima volta davanti al suo sposo, ma le venne subito da sorridere nel rendersi conto che la stessa sensazione la stava provando anche lui.

Con la testa bassa, senza nemmeno guardarsi, si tolsero gli abiti velocemente e si infilarono subito sotto le coperte perché comunque in quell’inizio di primavera faceva ancora freddo, Amerigo si voltò vero il comodino dalla sua parte e spense la lampada a carburo.

Dagli scuri “in casona” trapelava anche quella notte  la lama di luce della luna piena e nella stanza in penombra  si distinguevano chiaramente i profili dell’armadio e del comò.

Si cercarono subito stringendosi in un abbraccio e in un bacio lungo e appassionato, si amarono non in modo convulso e veloce come ci si aspetterebbe dopo una lunga attesa, ma sommesso, colmo di tenerezza, assaporando ogni singola sensazione proveniente dai loro corpi che diventavano sempre più caldi.

L’Elide  sentiva che Amerigo non cercava solo il suo piacere, ma riversava in ogni carezza che le faceva, nei caldi baci che le dava sul viso, sul collo, sui seni tutto l’amore e l’adorazione che sentiva per lei e quando lui finalmente la prese si avvinghiò forte al suo corpo con le braccia e con le gambe perdendo la percezione di sé, ecco erano una entità sola e stavano volando assieme in un’altra dimensione  fino a quando un’esplosione di luce  e di piacere non li avvolse per poi dissolversi lentamente riportandoli ancora nella realtà.

Rimasero così abbracciati, in silenzio senza dirsi una parola fino a quando il desiderio zittito nei mesi precedenti non riesplose nuovamente con tutto l’impeto della reciproca passione che li portò a cercarsi reciprocamente più volte nel corso di quella loro prima notte assieme.

Pensando a quella notte l’Elide si sentì eccitata e si strinse in modo provocante di più contro Amerigo che evidentemente non dormiva neppure lui e che le sussurrò piano all’orecchio per non svegliare la Brigida che dormiva in una brandina lì accanto: “Non riesci a prendere sonno? Non sei troppo stanca?”, l’Elide scosse la stessa, si girò e lo abbracciò baciandolo con passione, “Oggi eri bellissima!” disse Amerigo ricambiando il bacio ed iniziando ad accarezzarla, quelle grandi mani, rese ruvide dal lavoro dei campi,  in quei momenti di intimità si ammansivano diventando leggere come piume sul corpo nudo dell’Elide e lei sentiva ogni parte di se vibrare e liquefarsi al piacere come fosse sempre la prima volta.

Alla mattina del giorno dopo l’Elide e la Cesira si alzarono presto, oltre a riordinare dovevano preparare la colazione per i giovani sposini che sarebbero partiti per il viaggio di nozze e per Carlino che tornava a Torino.

Mo na vôlta al n’éra brîa acsé! Al viâż ed noz adèsa! Par spènder di quatren ecco!” iniziò a brontolare la Cesira.

Ma no Cesira, vanno ospiti tre giorni a Firenze da uno zio della Iolanda, è il suo regalo di nozze ospitarli a casa sua e provvedere a tutte le loro spese. Berto dovrà solo comprare i biglietti del treno e non è una grossa cifra!” le rispose l’Elide mentre metteva su il caffè.

Al zio ‘d Firenze psèva fèr un èter regàl ed noz: ‘na bustarèla, un sarvézzi ‘d piatt, un pèr ed’ schèrp cômdi….quand al finéss al viâż ed noz csa rèsta?” chiese la Cesira che evidentemente apprezzava di più quello che si palpava con le mani che l’immaterialità di una ospitalità.

L’Elide non le rispose e continuò nelle sue faccende, non aveva voglia quella mattina di innescare inutili battibecchi, la Brigida, svegliata dal trambusto, arrivò scalza ed in sottoveste giù in cucina chiedendo a gran voce il “titto”, l’Elide si asciugò le mani, si sedette su una sedia, prese la bimba in braccio e le offri il seno gonfio di latte, la Brigida diede due o tre ingorde tittate fino a quando il latte non le colò dai lati della bocca, poi soddisfatta scese giù dalla sedia, prese la fetta di ciambella che le porgeva la mamma e se l’andò a mangiare nella corga dividendola fraternamente con Fufi il gatto fino a quando l’Elide, dopo avere apparecchiato per le colazioni, la riprese in collo e la riportò su in camera per lavarla e vestirla.

Intanto anche gli sposi erano scesi giù in cucina già pronti per il viaggio e con la valigia, Carlino, scherzosamente prese la mano a suo fratello Berto e dopo averla fuggevolmente stretta, fece il gesto di ritirare la sua di scatto esclamando: “Uh l’é guzè ed frassc…”, Berto si mise a ridere e la Iolanda molto assonnata sussurrò con voce impastata e un po’ lagnosa all’orecchio di Carlino: “A tal dég! An riuscess gnanc a stèr a sëder int’la scrâna” e poi si mise a ridere mentre addentava con appetito uno zuccherino delle nozze.

Amerigo rientrava in quel momento da fuori  dopo avere fatto il consueto giro di ispezione mattutina ai campi e ai frutteti, alla stalla, alla vigna e all’orto ci pensava Adolfo, si sedette al tavolo e disse: “Spero Berto che torniate dal viaggio di nozze con la voglia di lavorare, siamo alla fine di giugno e ci sarà da mietere e trebbiare il grano, poi ci saranno le patate…”

Non ci siamo mai tirati indietro con il lavoro, non ti devi preoccupare e poi ora c’è la Iolanda e lei in campagna ci sa fare e non la spaventa certo la fatica!” gli rispose Berto mentre sua moglie assentiva con il capo e la bocca piena.

Poi i viaggiatori si accinsero a salutare tutti, sarebbero scesi in paese a prendere i treni: Carlino quello per Bologna e da qui avrebbe proseguito poi per Torino, mentre gli sposi avrebbero preso quello per Pistoia e da qui la coincidenza per Firenze.

Il resto del giorno e quelli seguenti, dopo la sistemazione del caos matrimoniale, proseguì con gli abituali lavori fuori e dentro casa.

Berto e Iolanda tornarono dopo i tre giorni programmati stanchi, ma esaltati per le meraviglie vedute che diventò il soggetto preferito degli entusiasti resoconti che faceva ogni sera la Iolanda, dopo un mese però rimase solo la Brigida che l’ascoltava con attenzione anche perché quella zia le aveva portato da quel viaggio in quella città così lontana un piccolo giochino di latta, un bambino su un triciclo, di fianco una chiavetta per la ricarica a molla, una volta girata più volte la chiave e lasciato andare il giochino sul pavimento, questo  iniziava a girare tintinnando attorno fino all’esaurimento della molla e a quello di Fufi che non capiva se doveva acchiapparlo o fuggire. Alla Brigida era piaciuto moltissimo e la Iolanda si era conquistata la sua simpatia. 

Qualche settimana dopo il matrimonio una mattina la Iolanda disse: “L’è  bèli ora d’andèr a cà a tôr al vó”.

Sopravviveva ancora nella famiglia dei Fedeli una antica usanza contadina, ormai in quegli anni già in fase di declino, per cui i figli non sposati venivano trattati con il “tu” e quando una ragazza si sposava, dopo quaranta giorni dalle nozze, doveva appunto recarsi dalla vecchia famiglia per prendere il “voi” dai genitori in riconoscimento della sua nuova condizione di fronte alla società. 

 Con la Iolanda tutto sommato ci si andava d’accordo, era sempre di buon umore e tutto la faceva ridere, forse anche un po’ scioccamente, le piaceva molto stuzzicare l’interesse degli uomini e con il fisico provocante che si trovava la cosa le riusciva particolarmente bene. Molto probabilmente quel comportamento in lei era così naturalmente innato da non rendersi conto dei limiti e delle possibili conseguenze che poteva scatenare perché, è contradditorio dirlo, sembrava farlo con l’innocenza di una bambina.

L’Elide aveva ben presente il discorso che le fece qualche giorno prima del matrimonio la Desolina, nonna paterna della Iolanda, prendendola in disparte dopo che avevano stretto i tortellini: “Elide, m’arcmand a vó ca sî na dôna con dal giudézzi, par piaser stè drè alla Iolanda, an è brîa ‘na cativa ragazôla, ma dàl vòlt.. anzi spàss l’an capéss quèl cl’è giósst e quèl che an s pôl brîa fèr, al pèr chl èva dla śgadézza int al zarvèl! Só mèder la dveva èser piò severa, an l’ha mai bravè. Se l’êra mi fiôla la ciapeva di bi  smataflàn!”, l’Elide le promise che avrebbe fatto quello che poteva, ma che non voleva intromettersi più di tanto nelle eventuali questioni tra Berto e la Iolanda e che le avrebbe dato dei consigli da sorella sperando di essere ascoltata.

La Iolanda dimostrò subito di essere una gran lavoratrice in campagna, si alzava senza lamentarsi alla stessa ora degli uomini e li seguiva fuori nel lavoro più duro ridendo e cantando e resistendo fino al calar del sole. Sapeva fare di tutto, persino potare, per quel che riguardava i lavori domestici però occorreva calare un velo pietoso, non amava cucinare, la sua camera era nel disordine più completo, andava in crisi se doveva attaccare un bottone e per tale ragione si appoggiava completamente all’Elide.

La Cesira non si azzardava a criticare tali difetti primo perché le faceva più comodo che la nuora aiutasse gli uomini nei lavori dei campi così da risparmiarle la fatica di utilizzare  zappa e rastrello, poi perché la Gaudenzia e la Desolina, consce delle lacune di quella figlia, non lesinavano le visite al podere dei Veggetti portando pane appena sfornato, altri generi di conforto e dando una ripulita alla sua stanza da letto.

Un giorno la Desolina scossando la testa disse con la Gaudenzia: “L’è pròpri vera… la brèva spusléna la fa al lèt a la maténa, la dôna acsé acsé al le fa in t’al mezdé, la pôrca vacâza al le fa cuand  l a  s’azâca” “Mò c’sa dgiv nòna, l’è vostra anvoda!” rimbeccò la Gaudenzia, “Am spies dimondi, mo’ prémma de tótt la Iolanda l’è vostra fióla!

Quando tornava dai campi la Iolanda si comportava come gli uomini, si metteva a sedere a tavola aspettando che la servissero, dopo mangiato si fumava la sua bella Nazionale Esportazione senza filtro, mentre l’Elide e la Cesira rigovernavano la cucina, le piaceva molto giocare con la Brigida e la faceva ballare accendendo la radio  ed andando a sintonizzarla sulle frequenze dove trasmettevano della musica.

Lei e Berto solitamente alla domenica se non c’erano lavori impegnativi nei campi, dopo la messa andavano a pranzo a casa dei Fedeli e tornavano alla sera dopo cena. Alla Iolanda piaceva ballare e se in giro c’era una qualche festa o sagra riusciva sempre a convincere Berto, che a volte sarebbe stato volentieri a casa a riposare, ad accompagnarla. Le energie di certo non mancavano a quella ragazzona di diciannove anni e gli esplodevano da tutti i pori della pelle.

La vita famigliare quindi procedeva con l’avanzare delle stagioni seguendo il ciclo continuo dei lavori agricoli e venne il tempo della mietitura e della trebbiatura dei cereali.

……. continua

Rita Ciampichetti, 2024

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