Rita Ciampichetti – Quando il moroso partiva per la “naja”
2022/09/30, Vergato – Ritorna Rita Ciampichetti con un tema di attualità rimarcato dai media nazionali e internazionali per quanto succede in Russia con l’interminabile fila di automezzi di giovani che fuggono per evitare l’arruolamento:
Quando il moroso partiva per la naja“.
È domenica mattina
Si è svegliato già il mercato
In licenza son tornato e sono qua
Per comprarmi dei blue jeans
Al posto di questa divisa
E stasera poi le faccio una sorpresa”
Nel 1972 cantava così Claudio Baglioni nel brano “Porta Portese”, lato B del 45 giri della ancora più famosa “Questo piccolo grande amore” e già perché in quegli anni in Italia il servizio militare di leva, altrimenti detto naja, era obbligatorio.L’obbligatorietà del servizio militare è nata con il Regno d’Italia, è stata confermata costituzionalmente con la nascita della Repubblica italiana ed è rimasta attiva per ben 143 anni, dal 1861 al 2004. Come funzionava? Se tra chi mi legge c’è qualche adolescente che non ha vissuto quegli anni ecco un brevissimo excursus sulla procedura seguendo lontani ricordi non di esperienza diretta, ma di riflesso poiché condivisi con l’allora mio “moroso” “chiamato alle armi” nell’anno 1973, quindi circa mezzo secolo fa.
Innanzi tutto nella disciplina normativa del servizio di leva non era contemplato la parità di generi e perciò venivano chiamati esclusivamente i cittadini italiani di sesso maschile, maggiorenni iscritti nelle liste di leva. Qualcuno era esentato per particolari condizioni famigliari quali orfano di guerra o di entrambi i genitori, con figli, con famigliari disabili non autosufficienti o il servizio militare poteva essere rinviato per motivi di studio. Nella normale prassi comunque arrivava il temuto giorno in cui il ragazzo in possesso dei requisiti per l’arruolamento si vedeva recapitare con la posta del giorno la cartolina di precetto che gli ordinava di presentarsi presso il distretto militare competente per essere sottoposto alla visita medica di leva che doveva stabilire l’idoneità al servizio. A quei tempi la domanda più diffusa tra i ragazzi che avevano raggiunto la maggior età era “Ti è arrivata la cartolina?” La visita medica era temuta, a parte il fatto che circolavano racconti leggendari sulle ispezioni non tradizionali alle quali saresti stato sottoposto che ti creavano una certa ansia, ma se la passavi avrebbe decretato la tua idoneità fisica per lo svolgimento del servizio militare e molti contavano su piedi piatti e deficienza toracica per essere riformati ed evitare l’obbligo.Iniziava quindi un periodo di trepida attesa dell’altrettanto famigerata “cartolina rosa” che avrebbe comunicato dove avresti fatto il CAR.
I CAR, Centri addestramento reclute, erano caserme dove i reclutati venivano addestrati per alcuni mesi per essere successivamente assegnati alle diverse destinazioni di servizio.Fino al 1975 la ferma di leva era di 15 mesi per l’Esercito e l’Aeronautica e 24 mesi per la Marina, in seguito ha subito riduzioni fino ad arrivare, prima della sospensione della obbligatorietà, a 10 mesi per Esercito, Aeronautica, Marina e 12 mesi nell’Arma dei Carabinieri quale Carabiniere ausiliario e 14 mesi per gli ufficiali di complemento. Quando l’attuale mio marito partì per il servizio militare nel 1972 eravamo già fidanzati ufficialmente. Eh sì…. allora usava così, se il rapporto con il “filarino” diventava più serio e stabile e quindi il ragazzo “voleva venire a morosa in casa”, era cosa opportuna che si presentasse ai genitori della ragazza chiedendo di poterla frequentare e diventava “fidanzato” con reciproco scambio di anelli. Quindi, come anche tante altre ragazze fidanzate ho vissuto l’esperienza di vederlo molto a malincuore partire con già la prospettiva di non potersi incontrare di nuovo fino alla prima licenza concessa.
Ovviamente non partiva per combattere una guerra o per essere destinato al fronte però i reciproci lacrimoni versati per il distacco me li ricordo ancora.Il servizio militare lo ha fatto nell’Arma dei Carabinieri e novanta giorni di CAR alla Cernaia di Torino sono stati veramente lunghissimi considerato che in quegli anni non esistevano cellulari, internet, ma solo la possibilità di qualche rarissima breve telefonata dalla cabina telefonica. Come si riusciva a sopravvivere alla lontananza? Scrivendo lettere ….. quante ne ho scritte e ricevute!
Ogni giorno il postino suonava alla porta consegnando lettere e cartoline e prendendomi in giro diceva: “Speriamo che ‘sto ragazzo torni a casa, perché ho già risuolato due volte le scarpe”. Le prime lettere erano assolutamente deprimenti, la descrizione di una realtà fatta di regole, di marce estenuanti sotto il sole, di esecuzione di compiti apparentemente inutili ma che servivano ad inculcarti in testa il concetto dell’obbedir tacendo, i capelli tosati, l’imparare a rifare il letto in forma di cubo perfetto, le inevitabili punizioni, il nonnismo esprimevano tutto il senso di disagio e di confusione di un ragazzo catapultato in una realtà ben diversa da quella famigliare.
Tu a tua volta rispondevi cercando di fargli coraggio, raccontando quello che era capitato in paese, ricordando i momenti passati assieme e sognando quelli futuri. Qualche volta nelle lettere trovavi anche delle foto, quelle piccole scattate con la Polaroid istantanea e allora avevi modo di verificare quanto era cambiato: “Mamma mia… si è fatto crescere i baffi! Ma come gli hanno tagliato i capelli!” e a tua volta andavi dal fotografo del paese, vestita di festa dopo essere stata dalla parrucchiera, a farti una bella foto, pensando già a come sarebbe stato contento di riceverla e supponevi che l’avrebbe senz’altro mostrata ai suoi compagni e volevi fargli fare bella figura.Il servizio militare era il banco di prova per verificare la solidità di un rapporto amoroso: “la lontananza sai è come il vento, che fa dimenticare chi non s’ama..” e quindi quella corrispondenza conteneva reciproche assicurazioni del sentimento che si provava che avrebbe fatto superare quei lunghi mesi di lontananza, però suppongo che molte relazioni sentimentali si sono inevitabilmente concluse durante i mesi di naja generando ulteriori sofferenze.
Però ci sono stati momenti di forte emozione: la partecipazione al giuramento che era la prima occasione utile per potersi rivedere, io purtroppo non ci sono potuta andare, la tanto agognata e sperata prima licenza breve. Iniziavi a contare i giorni alla rovescia e gli scrivevi pregandolo di stare attento a non fare della cavolate per cui poteva rischiare la sua sospensione.Infine arrivava quel giorno del primo ritorno a casa e quando lo vedevi ti rendevi conto di quanto quei mesi di naja lo avevano cambiato, ecco ricordo ancora che la mia prima impressione è stata quella che era partito un ragazzo ed era tornato un uomo, sarà stato per la divisa, la barba e i baffi cresciuti.
Poi arrivarono finalmente i giorni della “stecca”, il momento in cui si cominciava ad essere chiamati “nonni” perché si stava avvicinando la conclusione del servizio, si iniziava a spuntare sul calendario “quanti giorni all’alba” e finalmente il ritorno alla vita civile dopo il rilascio dell’agognato foglio di congedo illimitato, documento che veniva allegato alla documentazione per la partecipazione ai concorsi pubblici per dimostrare l’assolvimento dell’obbligo. Penso che la chiamata al servizio militare ha sempre suscitato opposti sentimenti di amore e di odio.
Nelle epoche in cui i ragazzi fin da piccoli conoscevano già la fatica del lavoro, la durezza della fame e il quotidiano sacrificio probabilmente la naja, ovviamente non in periodo di guerra, ha rappresentato l’occasione di un lavoro, l’opportunità di conoscere realtà diverse sia da un punto di vista geografico che di rapporti interpersonali. Mio babbo si arruolò nell’Arma dei Carabinieri, quando finito il periodo di leva obbligatoria ritornò a casa e si rese conto che lo aspettava il duro lavoro dei campi in mezzadria e che sarebbe stato una bocca in più da sfamare firmò la ferma definitiva. Anche se in quegli anni del dopoguerra il servizio da svolgere non era propriamente privo di rischi e ora mi rendo conto che i tanti suoi racconti sono pezzi di storia del nostro Paese.E’ evidente che il miglioramento della qualità di vita in seno alle famiglie, una maggiore criticità da parte delle giovani generazioni sulle motivazioni di dover obbedire ad ordini assurdi hanno portato a considerare il servizio militare una grande seccatura, la perdita di una anno della propria vita a fare attività inutili e spesso in aperta contraddizione con la propria filosofia pacifista.
Alla fine degli anni novanta episodi di “nonnismo” molto gravi alimentarono ulteriormente l’opinione pubblica sull’utilità o meno di obbligare i giovani a prestare servizio militare. I cambiamenti degli assetti geopolitici internazionali e le diverse esigenze militari portarono nel 2004, con la cosiddetta legge Martino, alla sospensione delle chiamate al servizio di leva che rimase sempre obbligatorio, ma che diventa operativo solo in determinati casi per esempio se viene dichiarato lo stato di guerra. Tale legge è stata a sua volta sostituita nel 2015 dal Codice dell’ordinamento militare, che ha riconfermato l’abolizione dell’obbligo del servizio militare al compimento dei 19 anni.
Quindi oggi la scelta di arruolarsi nelle forze armate è fatta su base volontaria e dall’anno 2000 in poi la partecipazione ai concorsi per l’accesso a tutte le forze armate è stato aperto anche alle donne senza alcuna limitazione di impiego, anche perciò con incarichi di combattimento.In diversi contesti sono riportate infinite argomentazioni sia a favore che contrarie alla reintroduzione dell’obbligatorietà del servizio militare e lascio ad altri questo delicato dibattito. Penso però che in tutti quegli ex ragazzi che hanno fatto questa ormai lontana esperienza oltre ai ricordi spiacevoli legati agli episodi di nonnismo, alla silenziosa sopportazione di inevitabili favoritismi e palesi ingiustizie, alla rassegnazione nell’esecuzione di attività inutili ce ne siano altri più positivi per le amicizie nate in caserma e che sono durate nel tempo, per lo spirito di cameratismo che inevitabilmente si creava e che dava la forza di reagire alle situazioni più critiche.
Il servizio militare è stata per molti una esperienza di vita fortemente impattante che li ha visti partire per la naja ragazzi e li ha fatti tornare per forza di cose un po’ più adulti e responsabilizzati. Anche noi, le fidanzate di allora, in fin dei conti abbiamo fatto un po’ di naja condividendo spiritualmente da lontano le loro esperienze sia positive che negative, supportandoli come meglio potevamo nelle loro crisi e per la varietà di emozioni provate e l’amore che sentivi comunque crescere nonostante la lontananza ti rendevi conto giorno per giorno che forse quel ragazzo poteva anche diventare al suo ritorno il compagno della tua vita.
Rita Ciampichetti 2022