Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.21: “Va là..va là, saviv cusa l’è la Iolanda? ‘Na drezza ôca ‘d prémma categoria! “
2024/10/07, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 21 – Voglia di rosso
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Capitolo 21 – Voglia di rosso
Nel febbraio dell’anno 1957 Diego, il primogenito della Iolanda e di Berto, compì un anno e nel mese di aprile la Iolanda, questa volta regolarmente a termine, si sgravò e il parto fu talmente veloce che non riuscì nemmeno a salire in camera da letto.
Ermes non vide la luce ma venne letteralmente abbagliato dal sole di mezzogiorno perché sua mamma lo scodellò direttamente nell’orto, dove era andata a zappettare le piantine di insalata trapiantate da poco, su un sacco di iuta steso in tutta fretta sulla nuda terra quando si era sentita la testa del bambino dentro alle mutande.
Alle sue grida accorsero fuori di casa spaventatissime la Cesira e l’Elide, quest’ultima quando vide la situazione corse di nuovo in casa a prendere degli asciugamani puliti, un paio di forbici, dello spago e dell’alcool, urlò a Berto che avvertisse immediatamente la Natalina e tornò nell’orto a improvvisarsi ostetrica giusto per tagliare il cordone ombelicale.
Quando arrivò la Natalina mamma e bambino erano già a letto e all’ostetrica non le rimase di verificare che tutto andava per il verso giusto, controllare lo stato di salute del neonato e della Iolanda cercando, per quanto le era possibile, di calmare le proteste della stessa che sentendosi benissimo non aveva certo intenzione di stare a letto perché doveva andare ad annaffiare l’insalata trapiantata.
L’insalata ed il resto delle produzioni ebbero però un triste destino perché, come chi vive di agricoltura purtroppo ha imparato, alla Natura non si comanda e il 6, 7 e 8 maggio del 1957 il Generale Inverno ritornò prepotente su tutta l’Italia proprio quando mancavano una ventina di giorni all’inizio dell’estate.
Nei mesi precedenti vi era stato un periodo di caldo più estivo che invernale che aveva risvegliato la Natura anticipatamente, quindi l’arrivo prepotente di un freddo artico entrò in collisione con l’aria calda provocando contrasti termici estremi: temporali violenti con grandinate e nevicate tardive a quote bassissime con temperature sotto lo zero che andarono ad imbiancare e gelare le anticipate fioriture e le gemme gonfie di linfa delle coltivazioni.
L’anno precedente l’ondata di freddo c’era stata in pieno periodo invernale, questa purtroppo avrebbe provocato danni molto più consistenti.
La Brigida stava crescendo e diventando proprio una bella bambina con gli occhi azzurri come quelli della mamma e i capelli neri ebano del babbo, sulla guancia diventava sempre più evidente quella voglia a forma di cuore color rosso fragola e un giorno guardandosi allo specchietto appoggiato sul davanzale della finestra che Amerigo aveva utilizzato mentre si faceva la barba, indicò il cuoricino e chiese al padre: “Cos’è?”
Amerigo la guardò, sorrise e mentre si toglieva con l’asciugamano le tracce di sapone dal viso appena rasato le raccontò: “Brigida devi sapere che quando sei nata eri piccolina come un gattino e ci avevano detto che forse volavi in cielo, allora io e la tua mamma abbiamo detto che non poteva essere così e che ti avremo curata giorno e notte fino a quando non saresti cresciuta abbastanza. Una notte che piangevi io ti ho dato un bacino sulla guancia mettendo tutta la forza del mio affetto ed il mattino dopo ti sei svegliata con quel cuoricino che ti ricorderà finché vivi tutto il bene che ti voglio”.
La Brigida abbracciandogli le gambe sorrise felice e scappò subito fuori, mentre sua nonna commentava: “Propri ‘na bela fantasia!”.
La Brigida stava più volentieri fuori che in casa dove c’era troppa confusione tra gli strilli, i pianti dei cuginetti e il chiacchierare continuo della nonna e della zia.
Ormai i suoi parenti ci avevano fatto l’abitudine a non vederla in cucina perché stava fuori con qualsiasi tempo, se pioveva o faceva freddo si rifugiava nella stalla o nel fienile, preferiva la compagnia di tutti gli animali della fattoria, molto più gradevole del parlare umano il chiocciare delle galline, lo starnazzare delle oche, il pigolio dei pulcini, il grufolare del maiale, il tubare dei colombi, il muggito delle mucche …quante cose aveva imparato da loro e dal nonno!
Rientrava quando si desinava e per andare a dormire, quindi all’arrivo finalmente della bella stagione iniziò a rimanere fuori ancora più a lungo, nessuno ci fece caso più di tanto occupati com’erano tutti nei lavori estivi, a quei tempi poi era così, un bambino imparava presto a badarsi da solo e a capire, a sue spese, dove potevano esserci pericoli, in particolar modo se viveva in campagna.
Lo dobbiamo confessare quando l’Elide stringeva tra le braccia la Brigida piccolina e lasciava campo alla sua immaginazione, la vedeva già grandicella simile alle bambine della famiglia dove era a servizio: bianche e rosee come delicate roselline, nei loro bellissimi e immacolati vestitini corti a palloncino resi rigidi dalla “salda” che facevano intravedere i pizzi delle mutandine, calzini bianchi, scarpine alla bebè e i capelli legati con un bel fiocco.
Si dovette ben presto rassegnare perché la Brigida, nonostante tutti gli sforzi iniziali della mamma per mantenerla in ordine, aveva assunto ben presto l’aspetto della maggioranza dei ragazzini di quei tempi in campagna: carnagione abbronzata dal sole, guanciotte rosse strinate dal freddo ma abbellite dalle iridescenti striature di moccoli sapientemente spalmati dal dorso di manine non troppo pulite a destra e a sinistra del naso gocciolante, le unghiette delle mani e d’estate anche quelle dei piedi rigorosamente listate a lutto, braccia e gambe graffiate e ginocchia timbrate con le croste risultanti dalle ripetute cadute nel tempo fortunatamente diradatesi per esperienza acquisita.
Non parliamo poi della capigliatura! L’Elide la pettinava ogni mattina e le legava il ciuffo dei bei capelli neri con un nastro, se andava bene tornava tutto slegato tra una massa informe di capelli intrecciati in bacchetti e fili di paglia, fino al giorno che iniziarono a sparire del tutto.
L’Elide iniziò a cercare in giro senza risultato i nastri, anche quelli, per quanto poco, costavano, fino a quando una sera Adolfo tornò dalla stalla ridendo come un matto e le disse di andare a vedere.
L’Elide andò e rimase impalata sulla soglia quando la Bianca si voltò a guardarla mostrandole soddisfatta le due corna sapientemente infiocchettate.
Alla fine l’aveva presa persa e si limitava alla sera, prima di andare a letto, a scaldare l’acqua nel camino, vuotarla del secchiaio chiuso e strigliare di santa ragione la Brigida che invariabilmente strillava come un’ossessa.
“Mo sócc’mel Elide a forza ‘d sgurèr ti cav vì la prèmma pèl a cla patoza” commentava la Iolanda scossando la testa.
La zia Iolanda era tornata a lavorare nei campi, di starsene chiusa in casa non ne volle più sapere, portava il piccolo Ermes con sé, lo metteva in una cesta sotto l’ombra di un albero e se piangeva lo andava ad allattare. Diego rimaneva in casa con la nonna e con l’Elide che avevano iniziato a svezzarlo.
Il povero Diego aveva dovuto rinunciare presto al seno della mamma perché in quegli anni non si riteneva possibile allattare mentre si era incinta perché il latte sarebbe diventato come “veleno” per il bambino e contemporaneamente si sarebbe tolto nutrimento al nascituro e quindi Diego si dovette abituare presto al latte di mucca diluito, alle pappe fatte con la farina tostata nel forno e cotta nel latte, alle mele cotte e soprattutto ai “biàsott” della Cesira.
Quello dei “biàsott” dal verbo “biasèr”, masticare, era un metodo oggi criticabile, ma quanto mai efficace in quanto non serviva solo a rompere in piccoli pezzi la carne, ma aveva anche il vantaggio di iniziare il processo digestivo con l’aggiunta della saliva dell’adulto rendendo più digeribile il cibo da dare al bambino da svezzare.
Diego, a qualsiasi ora sempre affamato, quando vedeva passare la nonna apriva la bocca e la Cesira, nel timore che quella creatura alla quale era stato tolto troppo presto il latte materno potesse crescere patita, prendeva un po’ di quello che c’era in cucina tipo pane, polenta, un avanzo di carne, un po’ di formaggio, se lo metteva in bocca, lo masticava e impastava ben bene con la lingua e quando il boccone era diventato morbido e omogeneo lo prendeva fuori con un dito e lo infilava nella bocca spalancata come quella degli uccellini nel nido del nipote…. se aveva le mani libere, perché se le aveva occupate si chinava e glielo passava direttamente bocca a bocca fregandosene dell’espressione un po’ schifata dell’Elide.
L’Elide si era sempre rifiutata di fare i “biàsott” alla Brigida anche perché non ce n’era stato bisogno, l’aveva allattata anche dopo che aveva messo su tutti i denti e diventata autonoma per la masticazione del proprio cibo.
A quel ritmo di dieta nel giro di qualche mese Diego era diventato un bambinone con le bracciotte e le cosce a forma di anelli concentrici di ciccia, per il peso faceva fatica a stare in piedi e non camminava ancora.
Mano a mano che il tempo passava quel bambino assumeva caratteristiche fisiche non proprio famigliari, in particolare saltava subito agli occhi di chi lo guardava una fitta capigliatura rosso carota che strideva particolarmente con i capelli scuri di ambedue i genitori.
Questa particolarità, oltre alla sua improbabile nascita prematura, aveva ovviamente iniziato a generare spiacevoli pettegolezzi nel gruppo delle solite comari.
“Zèrt che quel cinno an s’arvisa propi alla raza di Veggett!” esordì una mattina la Nóccia della Ca’ Nova, moglie di Giuseppe il lattaio, nella bottega della Peppina la quale, mentre attenta pesava mezzo etto di chicchi di caffè, le rispose sottovoce: “Só anca mé…l é tótt sô pèder, caghè e spudè” , la Giulia, seduta su una sedia in attesa del suo turno, disse: “Mo chi? Berto…. am per pròpi ‘d no!”
La Nóccia fece una risatina, ma non commentò, mentre la Peppina si rivolse di scatto verso la Giulia con le mani ai fianchi e le domadò a bruciapelo: “Dgiv mo’ so Gióllia, chi cgnusiv cla i cavì råss cunpâgn al pistinègh?”
“O Dio … ai n’è brîṡa dimóndi!….” ammise la Giulia sforzandosi nel pensare.
“Parchè ai n’è såul on.. al bèl Vitóri dal Pogg!” cantilenò la bottegaia.
“Mò no Pepppina, la Iolanda l’è un po’ alîgra, ma an cred che l é vaira quall ch’as dîs” commentò mestamente la Giulia che caratterialmente cercava sempre di trovare il bene o la giustificazione nelle azioni del prossimo.
“Bâsta ch’i n um véggnen a dîr däl virtó dla Iolanda, parché la l’à lèrga cunpâgna la miśericôrdia ed Crésst!” proruppe a questo punto la Nóccia che aveva il dente un po’ avvelenato con la Gaudenzia perché si mormorava che faceva gli occhi dolci a suo marito quando andava a ritirare il latte.
La Giulia si fece il solito segno della croce e la Peppina troncò il discorso perché nel frattempo era entrato in negozio Faustén il sagrestano a reclamare la presenza della perpetua in canonica.
Però, come dice la famosa aria del Barbiere di Siviglia ……
“La calunnia è un venticello
Un’auretta assai gentile
Che insensibile, sottile
Leggermente, dolcemente
Incomincia, incomincia a sussurrar”
quella chiacchiera passando di bocca in bocca arrivò poi all’orecchio dei diretti interessati che non poterono fare altro che buon viso a cattivo gioco.
La Cesira rispose piccata ad una vicina che le era maliziosamente andata un po’ sotto: “Chera la mi dôna, al ciàcher a gl’éin cumpagna al zrîs, a ciapèren só ónna a in vén só dîs”.
Le voci vennero un po’ messe a tacere dalla nonna paterna della Iolanda, la Desolina, che godeva tutto sommato della stima dei paesani e che fece ricordare ai più vecchi suo nonno Arduino, Arduén da tutti soprannominato al Rass ‘dla Balina appunto per il colore rosso fuoco dei capelli.
Quella brava gente non era a conoscenza della legge di Mendel, però sapeva benissimo che a volte negli incroci tra animali ne nascevano alcuni con colori molto diversi da quelli dei genitori, perché avevano preso da un lontano antenato.
Questa chiamiamola giustificazione venne accettata come credibile a livello di facciata, ma in ognuno rimase la convinzione che comunque quel colore rosso di capelli avesse origine dal Poggio e non dalla Balina.
Anche se le gravidanze ravvicinate avevano un po’ calmato i bollenti spiriti della Iolanda questo non toglieva il fatto che non aveva dismesso quel fare provocante con gli uomini fatto di battute salaci, di allusioni anche non troppo velate magari sussurrate con la voce un po’ roca ed accompagnate da inequivocabili occhiate e sospiri.
Cercava di trattenersi, ma suo malgrado in presenza di uomini le veniva d’istinto quel comportamento, era più forte di lei quel desiderio di mettere in campo tutte le armi di seduzione a sua disposizione e soffiare piano piano sulla brace fino a quando non si accorgeva che il fuoco era divampato.
L’unico deterrente a tale modo di fare era ovviamente la presenza dei Veggetti ed in particolare quella di suo suocero Adolfo.
“Va là..va là, saviv cusa l’è la Iolanda? ‘Na drezza ôca ‘d prémma categoria! “
“A tal dèg …con cal dåu tatt acsé gròsi s’ala fairmen i carabiner gli dmànden al documänt dal “porto d’armi!”
“La Iolanda l’é ónna da pôca pòra, s la s inbèlza anc int un pistulén an la câza mégga vî!”
dicevano anche non troppo velatamente gli uomini che avevano direttamente sperimentato gli effetti straordinari di quelle provocazioni.
All’osteria purtroppo anche non troppo velatamente Berto veniva sempre preso in mezzo quando si parlava di corna, ma lui ci faceva una risata sopra fino a quando con questa affermazione mise a tacere tutti: “S’la m i fà ch’a n al sèva, s’al só ch’a séppa cuntänt par psair vîver in pèś e chiêt mé, lî e ló” che faceva trapelare una pacifica rassegnazione agli eventuali comportamenti troppo libertini di una moglie così focosa, ma alla quale poi, in fin dei conti, voleva bene tanto da riuscire a perdonarle tutto.
Il colore rosso però quell’estate tornò in ballo per un’altra vicenda.
…. continua
Rita Ciampichetti, 2024
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