Rita Ciampichetti – La Brigida, cap.25: Di che colore è il dolore?

2024/10/13, Vergato – Rita Ciampichetti – La Brigida – Vicende di una famiglia dell’Appennino Bolognese e non solo: Capitolo 25 – Di che colore è il dolore?

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Capitolo 25Di che colore è il dolore?

Il podere della Curia curato dai Veggetti a mezzadria era per la maggior parte coltivato tranne un piccolo appezzamento in pendenza e in prossimità del bosco che era stato sempre lasciato alla Natura la quale, nel corso degli anni, aveva provveduto a colonizzarlo in abbondanza con rovi, cespugli di rosa canina, acacie, sanguinelle, tutto intrecciato dalle lunghe catene delle vitalbe.

Le bocche in famiglia erano aumentate e già da qualche tempo Amerigo aveva lanciato la proposta di mettere a coltivazione quel campo.

Il lavoro manuale da fare per ripulirlo era notevole, occorreva munirsi di “sàgguel, pudàtt, fèr da sghèr, fåurca, rastèl” e assieme all’olio di gomito e tanto sudore   rimuovere tutta quella vegetazione estirpando anche le radici delle piante in special modo le acacie, un lavoro di pulizia del terreno che richiedeva abilità sia manuale che fisica.

Un po’ alla volta  erano riusciti a ripulirlo ed ora occorreva provvedere al dissodamento attraverso una aratura profonda, a togliere i sassi più grossi, alla fresatura e ad una abbondante concimazione di maturo letame prima della semina.

Una domenica, alla fine della messa, Adolfo con Amerigo andarono in sagrestia dove Don Basilio si stava spogliando dai paramenti sacri e gli domandarono se quell’anno poteva chiamare Dionigi Conti, Diunîṡ  il trattorista per sollevarli dalle operazioni di aratura, con le bestie quel pezzo di terreno era impossibile ararlo in profondità ed ormai che il mezzo meccanico era sul posto poteva provvedere anche per gli altri appezzamenti, alle fasi successive avrebbero poi pensato loro nel solito modo con le bestie.

Mo quanto verrà a costare?” chiese Don Basilio mentre Faustén lo aiutava a sfilarsi la casula.

Ci sarà un risparmio di tempo e di lavoro fisico sia umano che animale, ormai Diunî con il suo trattore viene chiamato per l’aratura in quasi tutti i poderi, addirittura alla Pianella ne hanno comprato uno loro.  Insomma Don Basilio occorre stare al passo con i tempi, solo quassù da noi continuiamo a fare i contadini come duecento anni fa!” esclamò Amerigo.

Va bene…va bene…non scaldarti adesso….chiamate il trattore e poi dite che mi porti il conto in canonica!” accondiscese Don Basilio riflettendo che in fin dei conti i Veggetti non avevano mai chiesto niente ed anzi alcune migliorie alla proprietà le avevano fatte loro senza domandare niente.

Venne contattato Diunîṡ e stabilito nel  lunedì della seconda settimana di ottobre l’inizio dei lavori.

Quel giorno l’Elide si era messa d’accordo con la Natalina per andare assieme al mercato del paese e dal momento che alla Brigida, andata scalza tutta l’estate, il paio di scarpe invernali dell’anno precedente non andavano più bene avrebbe portato con sé anche la bambina.

Alla notizia la bimba iniziò a saltare attorno alla tavola assieme alla Gigia che faceva “Cra, cra!”, ma alla richiesta di portare anche la cornacchia con loro l’Elide rispose fermamente di no: “In corriera con noi non può certo venire!” disse, “Ma vola fuori!” rispose la Brigida, “Non se ne parla nemmeno, la Gigia ti aspetta a casa!” e sottovoce per non farsi sentire dalla Cesira le bisbigliò: “Diglielo che stia qui!”.

Si prepararono e si avviarono verso il Borgo per prendere la corriera per il Paese, al mattino all’alba era arrivato Dionigi Conti con il suo mezzo e gli uomini e la Iolanda erano già nei campi, arrivava fino a casa il rumore scoppiettante del motore Fiat 60 C del trattore che già lavorava.

Vado a salutare il babbo e il nonno” disse la Brigida a sua madre che le rispose: “No, no è troppo tardi non facciamo in tempo a prendere la corriera!” e presala per mano la trascinò velocemente sulla strada per il Borgo.

In effetti presero la corriera per un soffio, nel giro di un quarto d’ora erano già in paese dove li aspettava la Natalina.

Andarono prima alla calzoleria di Aldino Bernardi a comprare gli scarponcini per la Brigida e poi al mercato per  trovare nei vari banchetti qualche occasione a buon prezzo.

L’Elide stava valutando l’acquisto di uno scampolo di flanella per fare uno scamiciato alla Brigida quando volando quasi rasente terra la Gigia sfrecciò gracchiando come una forsennata fra i banchi e la gente andandosi a posare sulla spalla della bambina tra gli sguardi stupiti dei passanti.

Insomma… ti avevo detto di lasciarla a casa!” protestò l’Elide, ma si fermò subito di fronte agli occhi sbarrati della Brigida che iniziò a urlare: “Mamma andiamo a casa, voglio tornare a casa, mamma presto…. presto! Andiamo via …via di qui!” e presala per la gonna e puntando i piedi iniziò a tirarla con tutta la forza che aveva.

In un primo momento l’Elide la guardò stupefatta e molto imbarazzata, ma vedendo tanta disperazione e assalita da un inquietante presentimento si voltò verso la Natalina e le disse: “Dobbiamo andare….. dobbiamo andare!”.

Sta calma Elide, cosa è successo?” le chiese la Natalina, “Non lo so, ma dobbiamo tornare a casa… subito!” le rispose angosciata l’Elide, “Va bene vengo anche io con voi, ma sta tranquilla….non è successo nulla” le rispose l’amica non capendo da dove derivava tanta preoccupazione.

 Si avviarono velocemente  verso la piazza e presero il servizio pubblico di Romagnoli che nel giro di poco le scaricò nell’aia di casa, non c’era nessuno, nemmeno in casa

Fu la Brigida che lasciando la mano alla Natalina iniziò a correre dietro alla Gigia che gracchiava disperatamente verso i campi subito inseguita dalle due donne e fu allora che l’Elide si accorse di quel gruppo di persone riunite in un sol punto del campo al limitare del bosco, c’erano anche le due vacche al giogo usate per i lavori.

L’Elide con i cuore che batteva a mille raggiunse la Brigida, la prese al volo in braccio e continuò la corsa come una forsennata, vide una persona staccarsi dal gruppo e  iniziare a correre verso di loro, era la Iolanda che con il viso solcato dalle lacrime l’abbracciò e disse: “Elide non andare… che disgrazia… non andare, porta la Brigida a casa, non deve vedere!”, l’Elide le allungò fra le braccia la bambina che iniziò a scalciare e a strillare e disse: “Portagliela tu!”  e continuò la corsa sperando e temendo allo stesso tempo l’arrivo.

Ansante, con il cuore che le scoppiava in petto, i capelli sciolti non riconobbe chi si spostava in silenzio al suo passare, vide solo il trattore ribaltato sul fianco della scarpata.

Da sotto il mezzo si intravedevano i pantaloni di fustagno marrone che quella mattina aveva dato puliti ad Amerigo.

L’Elide sentì solo la testa girarle vorticosamente, un buio totale l’avvolse e perse i sensi.

La notizia della disgrazia accaduta al podere dei Veggetti fece in breve tempo il giro di almeno tre vallate, Amerigo era conosciuto da tutti come un gran lavoratore, esempio di correttezza ed onestà, benvoluto per la sua lealtà e disponibilità.

Come era successo? Era sul trattore con Dionigi che gli stava insegnando il suo funzionamento, quando il terreno della scarpata era improvvisamente franato ed il mezzo si era molto inclinato. Il trattorista aveva gridato: “Salta giù”, ma Amerigo aveva tardato quella frazione di secondo e il trattore gli era caduto addosso.

A nulla erano valsi gli infiniti sforzi di tutti quelli che erano accorsi per liberarlo,  nemmeno la folle corsa di Adolfo a casa ad attaccare le bestie per spostare il trattore e tirare fuori quel suo povero figlio, quando era tornato giù nel campo era già troppo  tardi.

Amerigo non era morto sul colpo e per un tempo che parve infinito a chi era costretto impotente ad ascoltare per il podere echeggiarono le sue urla che invocavano il nome delle moglie e della figlia implorando che lo tirassero fuori da lì sotto perché non le voleva lasciare sole, fino a quando, a Dio piacendo, cessarono per sempre.

Dopo lo svolgimento delle inevitabili formalità burocratiche, la Natalina aiutata da alcune donne e con la morte nel cuore lavò e rivestì Amerigo per l’ultimo commiato, fu allestita la camera ardente nel magazzino dove era stato festeggiato il matrimonio di Berto e della Iolanda e che portava ancora appese alle pareti le ghirlande di spighe fatte a suo tempo dall’Elide.

L’Elide era stata trasportata di peso anche lei senza vita apparente e appoggiata sul letto dove rimase senza riprendere i sensi per un tempo talmente lungo che la Natalina voleva mandare a chiamare il dottore.

Riemerse dal buio per piombare nell’incubo del dolore.

Scese dalla camera come una automa, pallida anche lei come una morta, spettinata e chiese dove era suo marito, le indicarono il magazzino.

Lentamente entrò nel grande stanzone, avevano adagiato Amerigo su una tavola ricoperta da un lenzuolo bianco perché stavano aspettando ancora la cassa per comporlo dentro, gli avevano messo il vestito che aveva indossato per il suo matrimonio.

L’Elide attonita, senza lacrime, senza un grido girò attorno al corpo del marito facendo scorrere lievemente la mano in una lunga e interminabile carezza, gli aggiustò il nodo della cravatta,  gli scostò dalla fronte il ciuffo di capelli neri, poi prese una sedia, la mise accanto, si sedette e reclinò il capo sul petto di Amerigo,  lo abbracciò e restò così, immobile, con gli occhi chiusi, non rispondendo a tutti quelli che ormai stavano arrivando per vedere, per sapere.

Non si mosse nemmeno quando un commosso Don Basilio le mise una mano sulla spalla e le sussurrò parole di  consolazione che lei non udiva.

Il sacerdote la lasciò stare e si rivolse con gli occhi lucidi ed il pugno alzato verso Adolfo: “Dovevo dirvi  di no, dovevo dirvi di no! Accidenti a quelle macchine infernali!”

La Cesira era in cucina piangente circondata dalle vicine alle quali raccontava e ripeteva più e più volte tra i singhiozzi, asciugandosi gli occhi nel grembiule, quello che era successo.

Berto inebetito era seduto accanto al camino spento con le mani sulla testa, mostravano ancora le striature di sangue rappreso per le ferite che si era procurato nei tentativi forsennati di liberare il fratello.

La Iolanda si teneva stretti al seno Ermes e Diego fino a quando arrivarono la Gaudenzia e la Desolina a prenderli dicendole che era meglio portarli alla Serra con tutto il da fare che ci sarebbe stato nei giorni a seguire per il funerale al quale avrebbe dovuto pensare lei non potendo contare certo sull’Elide e sulla Cesira.

Nella inevitabile confusione di quei momenti sembrava che nessuno si stesse ricordando della Brigida, forse perché nessuno la vedeva e la sua mamma, l’unica che poteva essere preoccupata,  era chiusa in un dolore solo suo.

Fu Adolfo che, ridestandosi anche lui da una sorta di stordimento, si guardò attorno e si domandò dove era la nipote.

Si avviò verso il vecchio fienile e attraversando l’aia notò che era deserta.

Entrò nel rifugio segreto chiamando: “Brigida sei qui?” e nella penombra del fienile la vide singhiozzante sulla paglia circondata da anatre, galline, oche, conigli, colombi, gatti, il cane Reno, Fufi e con la Gigia sulla spalla. Tutti gli animali della fattoria tranne le mucche ed il maiale chiusi nelle stalle si erano radunati attorno a lei in un unico abbraccio di protezione e consolazione.

Il babbo è volato in cielo? Non starà più con noi, vero? Non lo vedrò più..” domandò al nonno piangendo, Adolfo si avvicinò, l’abbracciò stretta e rispose: “Si, è volato in cielo, ma da lassù ti vede e ti proteggerà sempre, perché sei la sua bambina.  Vieni con me, andiamo a casa…. vuoi salutarlo?”

“Io..io .. lo volevo salutare questa mattina e la mamma non ha voluto! Mo’ se adesso è volato in cielo non mi risponde mica sai! Se non posso sentirlo più parlare allora sto qua con loro”.

Adolfo non trovò altre parole e la lasciò lì con i suoi amici, avrebbe mille volte preferito starsene in pace con lei, ma tornò mestamente a ricevere la lunga fila di persone che arrivavano di continuo al podere per offrire sostegno e conforto, perché da quelle parti la Morte che strappava gli affetti più cari riusciva però a ricucire i rapporti e i legami tra chi restava quasi come a voler compensare in parte la dolorosa perdita.

Alla sera di quel triste giorno ritornò Don Basilio seguito dal mesto corteo delle donne del Borgo: la Giulia, la Peppina, la Fernanda, la Pina, la Maria, la Noccia e tante altre  per la recita del rosario, l’Elide non si era mossa da quella posizione, fino a quando a viva forza la Natalina non la costrinse ad andare in casa almeno a bere, cosa che fece, ma per ritornare subito accanto ad Amerigo.

Alla notte arrivarono da Torino anche Carlino con la Cosetta e pur nel dolore cercarono di rendersi utili perché comunque gli animali dovevano essere custoditi e alcuni lavori non potevano essere abbandonati.

Il giorno seguente continuò il lungo via vai di parenti, conoscenti ed amici.

L’Elide vegetava in un’altra dimensione, una bolla invisibile che l’avvolgeva e sulle cui pareti scivolavano senza penetrarla le condoglianze, gli abbracci, i pianti le parole, non si scosse nemmeno quando da Bologna arrivarono per partecipare il loro cordoglio i signori dove era stata a servizio.

In tantissimi vennero al funerale, anche persone che i Veggetti non conoscevano.

L’Elide accompagnò il suo Amerigo composta, in silenzio, senza lacrime dando la mano alla Brigida in quell’ultima passeggiata assieme, in chiesa accanto alla bara immobile ed impassibile come una statua assistette alla messa di suffragio celebrata da Don Basilio che si interruppe diverse volte colto da una incontrollabile commozione, poi tutti accompagnarono Amerigo  fino al piccolo cimitero appena fuori dal Borgo.

Amerigo fu seppellito a terra e dal momento che il cimitero era collocato più in alto, da quella posizione per strana coincidenza si vedeva più in basso la casa e il podere dove lui aveva vissuto e lavorato per quella trentina di  anni che il Destino gli aveva concesso di vivere.

Al ritorno dal funerale la Natalina che in quei giorni non si era sentita di lasciare sola l’Elide la prese in disparte e le disse: “Elide ti devi fare forza, hai una figlia da crescere, cosa ti direbbe Amerigo?

L’Elide che non era riuscita ancora a versare una lacrima e a dire una parola la guardò e le rispose: “Senza Amerigo io non ho più nulla!

La Natalina l’abbracciò e la confortò:  “Ma hai la Brigida.. sua figlia… una parte di lui è in lei! Lo so quanto lo amavi, oggi il dolore è nero ma vedrai che giorno dopo giorno…

L’Elide si scostò dall’abbraccio, la guardò e gridò con rabbia: “No, ti sbagli …. il dolore non è nero, né grigio, né rosso  perché è provocato dall’assenza della persona a cui vuoi bene con tutta te stessa, è uno strazio che nasce dal vuoto che senti dentro e attorno a te ed il vuoto… il nulla lo sai anche tu che non ha nessun colore e ti dirò di più ha la capacità di ingoiare e spegnere tutti i colori che ti circondano.

Mi guardo attorno e soltanto il riaccendersi di un piccolo ricordo diventa un dolore lancinante che mi urla dentro ed anche per me, che nella vita ne ho sopportate troppe, diventa intollerabile.

Amerigo è la mia vita, forse tu non puoi capirlo perché non sei sposata, ma lui è stata l’unica persona che per la prima volta si è accorto e preoccupato della mia esistenza e ha fatto splendere un po’ di sole anche per me. Mi ama profondamente ed io altrettanto, basta che ci scambiamo  uno sguardo ed anche senza parlare sappiamo se c’è qualcosa che non va. Se sono triste basta un suo sorriso, una sua carezza per ridarmi la felicità….. perché Amerigo è la mia forza, è l’aria  che respiro e senza l’aria è impossibile esistere per qualsiasi creatura… sento che senza di lui io non posso e non voglio più vivere!”

La Natalina si accorse che lo splendido colore azzurro degli occhi della sua amica che avevano conquistato l’estate di qualche anno prima il cuore di Amerigo  era diventato di uno spento grigio cenere.

Senza rivolgere altra parola con nessuno l’Elide salì le scale, si chiuse nella sua camera da letto e non scese più di sotto.

La Iolanda le portava su qualcosa da mangiare e da bere, quando ritornava a prendere il vassoio trovava solo la brocca dell’acqua vuota, il cibo pressoché intatto,  con compassione provvedeva anche a vuotarle e a ripulire il vaso da notte dove faceva i suoi bisogni, tentò più volte di sollecitarla a reagire, ma otteneva solo che si girava nel letto dall’altra parte abbracciando e sprofondando il viso nel  cuscino di Amerigo che probabilmente conservava ancora il suo odore.

Avevano tentato di farla chiamare dalla figlia, ma neanche a lei rispondeva ed ormai da quando quella camera era interdetta la Brigida si era rassegnata a dormire sulla brandina nella stanza dei nonni come quando veniva a trovarli lo zio Carlino.

Il nonno Adolfo si sentì in dovere, in assenza del suo papà ed ora anche della sua mamma, di fare dire le preghiere alla bambina prima di dormire, ma ritenendo che quelle in latino fossero ancora troppo incomprensibili le insegnò una vecchia invocazione in dialetto che aveva a sua volta sentito dalla sua nonna e che lui aveva continuato a recitare ogni sera perché gli infondeva tranquillità:

A lèt a lèt a voi andèr

tòtt i Sant a voi ciamèr

tri da cò e tri da pì

tòtt i Sant i én mi fradì.

Al Sgnor l’è al mi bàn  pèder.

La Madona la mi bona mèder.

San Josef al mi bàn parant

ch’a posa durmir

sicûrament…

Quater grazi vò an farì

cunfsiàn, comugnàn, ôli sant

e l’Alma mi

ch’a Dio a l’arcmand…

Chep spinos, pi trafè,

man inciudè,

av dmand pardàn d’tòtt

i me pchè.

Mèder del bon Gesù,

dès la bona e santa nòt a nò

ch’an sän daggn ed derla a vò!

La Brigida era riuscita ad impararla a memoria anche se così lunga però alla fine aggiungeva sempre la sua: “Madonnina proteggi anche……” e seguiva la lunga lista di tutti i componenti della famiglia e amici sia di genere umano che animale e finiva sempre con “…e, se lo incontri lì in Cielo, dà un bacino al mio papà e digli che gli voglio tanto bene

Ad una settimana dal  funerale di Amerigo l’Elide non si era ancora fatta vedere.

In una cucina particolarmente silenziosa tutti sussultarono quando la Cesira, si alzò di scatto dalla sedia e togliendosi il grembiule disse: “Adèsa po’ basta!  L’è aura ‘d catèr un rimédi!” e con decisione salì le scale seguita da quattro paia di occhi che si domandavano cosa stesse “strolgando

….continua…

Rita Ciampichetti, 2024

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