Don Filippo Gasparrini – I paliotti di Liserna 1° parte
2014/07/16, Vergato – Abbiamo avuto la fortuna di conoscere don Filippo Gasparrini a Liserna diversi anni fa. Oratore senza confronto, intellettuale e predicatore ma soprattutto una persona normale che affascinava con il suo sapere. Le vicissitudini del tempo ci hanno impedito una frequentazione continuativa, ma quella settimana lisernese 2008 che Lui tanto amava ci ha lasciato le sue omelie che pubblicheremo e questa sua ricerca o come la definisce: relazione.
Ho redatto questa relazione stimolato dal nome e dalla data ancora oggi leggibili nel paliotto di scagliola ai piedi della Madonna del Rosario nella chiesa di Liserna. Caterina Palmieri Priora -1699.
A tre secoli di distanza ho visto in quella data un invito di tutte le generazioni lisernesi a scavare qualche relitto di storia sepolta perché ridoni ai nostri occhi la gioia di vederlo brillare con il raggio della riscoperta e la certezza della continuità.
Il gusto della ricerca, che diventa più audace quando l’obiettivo è microscopico, e la gioia di collocarlo nelle coordinate della grande storia, hanno aperto tanti percorsi per questa scheletrica ricapitolazione.
Le finalità sintetiche dell’esposizione e il tipo artigianale della stampa vietano il corredo ampio della bibliografìa raccolta e la compilazione almeno a breve scadenza di un grande saggio sull’argomento.
Ma una semplice prima lettura apre delle prospettive edificanti per uno spirito capace di leggere nel frammento il riflesso di correlazioni infinite.
Valga questa modesta rievocazione a sintonizzarci con tre secoli di Fede, che nonostante le apparenze devono proiettare il credente oltre lo spettro dell’eclissi verso il meriggio dell’umanità compiuta da Dio.
La spiritualità del Rosario, ripresentata al termine della relazione, ci porta in modo irresistìbile a condividere con la Vergine Madre la prima vibrazione del mondo nuovo che la trasfigurò nel giorno dell’Annunzio, e la nostra glorificazione suprema che già splende nella sua bellezza anticipatrice.
Liserna 8 agosto 1999
Don Filippo GasparrìniFILIPPO GASPARRINI LISERNA: UN ALTARE UNA DATA (1699-1999).
Liserna e Vergato.
Se poi attratto dai segreti della microstoria volesse ripercorrere da pellegrino curioso i meandri delle vicende che collegano i due nomi, concluderebbe che Liserna è il saluto primo ed ultimo di Vergato non solo per la posizione che la visibilizza, ma anche perché ne è il punto più originario.
Basta pensare che fino al 1578 la parrocchia di Liserna inglobava anche il territorio dell’attuale parrocchia di Vergato, e che fra le devastazioni belliche del biennio 1944-1945 le mura della sua chiesa a differenza di quella di Vergato sono rimaste praticamente illese.
Si direbbe che a quell’altezza, dopo le distruzioni trascorse che avevano lasciato solo nella tradizione orale le tracce dell’antico complesso e dei rifacimenti successivi, il ciclone della seconda guerra mondiale abbia voluto rispettare la parte estrema delle memorie vive. Sono poca cosa. Ma almeno non hanno bisogno di essere dissepolte dalle macerie, ed offrono la possibilità di ricostruire qualche secolo di storia.
Ma forse hanno anche aspettato l’attenzione di uno sguardo nuovo, tentato di raccogliere in un raccordo più incancellabile la vibrazione dei loro riflessi. Giacché il tema si trova alla confluenza di motivi estetici, spirituali, geografici, cronologici così connessi da esigere l’analisi delle loro interferenze.
Dire “paliotto d’altare” già significa introdurre una dissonanza nel prassismo linguistico contemporaneo. Quale interesse può nutrire la mentalità attuale per quell’ornamento collocato sulla parte anteriore dell’altare ( chiamato latinamente antealtare, o frontale, o antependium, ) che significa rivestimento decorativo, e che persino la liturgia postconciliare ha messo in condizione di cadere in desuetudine?
Eppure l’evoluzione dai paliotti primitivi, fatti di stoffe preziose e di ricami, a quelli in avorio e metalli preziosi, a quelli di marmo e di pietra, ed infine a quelli di scagliola, forma un capitolo della correlazione Fede-fantasia, che definirei non soltanto interessante, ma addirittura raffinato. Come le altre testimonianze artistiche della Chiesa Cattolica canta le sue glorie di fronte alla barbarie miserabile dell’iconoclastia giudaica, islamica, bizantina, protestantica. La scagliola.
II paliotto di scagliola giunge dunque al temine dell’evoluzione.
Da quale motivo fu originato il ricorso a questa tecnica? Sono conosciuti con esattezza i metodi di esecuzione? In quale periodo è sorta? E’ comparsa inizialmente in una sola zona geografica, oppure si può parlare di una certa simultaneità in aree distanti fra loro? Come mai essa, utilizzata anche per i tavoli, le pareti, o altre superfici compatibili con l’ornamento, si è affermata soprattutto nella parte frontale dell’altare? Quali modalità stilistiche, e quali tipologie tematiche presenta? E’ una cornice di interrogativi inevitabile anche per questa esposizione laconica. In proporzione alla sua brevità basta rispondere che alla sorgente si trova l’imitazione dell’intarsio marmoreo. Ai costi eccessivi dei marmi e del loro trasporto, ed alla difficoltà intrinseca del loro taglio con il relativo inserimento nel punto previsto dal disegno, l’artigiano ha surrogato con un impasto di scagliole variamente colorate, più plastiche e docili sotto la mano che le stende sul piano. Da fonti settecentesche di Carpi si conosce con una certa esattezza il metodo usato dagli scagliolisti locali, e se ne indica in Guido Passi l’inventore. Il periodo iniziale dovrebbe trovarsi tra la fine del 1500 e i primi anni del 1600. Dal gesso ridotto in polvere e poi miscelato con i colori desiderati e con una colla speciale si produceva la scagliola che poi veniva stesa su una superficie di sostegno, incavata con spatole speciali per accogliere nelle zone concave la sovrapposizione delle scagliole colorate corrispondenti all’immagine programmata. Il lavoro si concludeva con una lucidatura particolare.
L’insieme di queste informazioni porterebbe a conclusioni perentorie attribuendo a Carpi ed ai suoi artigiani l’invenzione della scagliola policroma. Ma ad un vaglio più esteso delle fonti altri ricercatori invitano oggi ad essere più guardinghi per evitare contestabili rivendicazioni di primato. Lo studio delle scagliole bavaresi e austriache con la documentata datazione d’archivio per lo meno non lascia più sicura la risposta. Il pluralismo delle aree geografiche dilata così la ricerca degli stili e delle tipologie tematiche.
La tecnica della scagliola si polarizza sui paliotti d’altare all’epoca della riforma post tridentina e dello straripamento barocco. Ovvia la correlazione fra le istanze antiprotestantiche della teologia cattolica che dichiara la Messa vero e proprio sacrificio, non semplice banchetto, e l’esigenza di rivestire l’altare con una decorazione che lo indichi come il punto più decisivo e prezioso dello spazio sacro. Non bastano più i quadri con le ancone delle pareti o le statue. I colori dei paliotti, volute di fogliame, fasto di corolle, imitazione di pizzi, intrecci di segmenti, sfoggio di frutta e volatili di varie specie, diventano il basamento del mistero.
E poiché il tempio contiene, oltre l’altare maggiore, gli altari della cappelle laterali riferite a qualche santo, confraternita o gruppo di persone, il paliotto diventa un emblema araldico che ne specifica l’identità.
I due paliotti di Liserna.
Nella chiesa di Liserna, oltre l’altare maggiore privo di paliotto, si trovano due cappelle laterali con i rispettivi altari. Se non ci fossero le statue nelle nicchie della parete, ce lo ricordano i paliotti nel cui centro campeggiano con gli attributi inconfondibili, S. Lorenzo con la graticola, e la Madonna con il Bambino e la corona del Rosario.
Un’osservazione frettolosa li considererebbe somiglianti nei contenuti e nella disposizione decorativa delle parti, salva la diversità della figura centrale.
Un’analisi più attenta riscontra invece differenze notevoli.
Prima di tutto i paliotti sono leggermente diversi per l’altezza. Mentre hanno ambedue una larghezza di cm. 180, il paliotto del Rosario è alto cm. 95; quello di S. Lorenzo cm. 87.
Nel paliotto di S. Lorenzo lo scagliolista ha delimitato il perimetro con una prima fascia ornamentale che nella parte inferiore e superiore del centro è interrotta da una piccola cornice che racchiude l’imitazione di una frammento marmoreo, con le tipiche marezzature. Per di più la cornice stessa che circonda l’immagine del Santo, è realizzata con un modulo tutto diverso, in relazione allo sviluppo verticale della figura. Potrebbe racchiudersi nello schema di un ovale.
Nel paliotto del Rosario la superficie suscita un’impressione più ariosa perché non è compressa dalla fascia ornamentale periferica. Le foglie di acanto si dilatano con maggiore respiro, e la cornice che inquadra la Madonna si apre verso l’alto come un capitello. Non altrimenti l’artigiano poteva creare la proporzione con il volume della Madonna seduta, la quale dovendo reggere il Bambino presenta uno sviluppo orizzontale notevole, a differenza del profilo eretto di S. Lorenzo.
Non è l’unica differenza.
In alto le foglie di acanto sono congiunte da due grappoli d’uva, bianca e nera, che due uccelli, posati sulla cornice della Madonna stanno beccando. L’uccello di destra ha già staccato il chicco;
quello di sinistra sta per imitarlo. Altri due uccelli nella parte inferiore sono rappresentati nel medesimo atteggiamento, con il becco rivolto verso un fiore e verso una bacca di mirtillo.
La data del 1699.
Altra analogia. La Madonna di Liserna è raffigurata con la corona sul capo. In un paliotto di Grizzana che svolge il medesimo tema, la Madonna del Rosario è incoronata da due angioletti.
Quest’osservazione che sembrerebbe marginalissima, ricorda invece un’espressione devozionale sorta quasi contemporaneamente con i paliotti di scagliola, sotto il papato di Clemente VIII ( 1592- 1605 ). Si tratta della corona posta sul capo della B. Vergine, quasi ad esprimere otticamente quanto la Fede affermava da secoli cantando Salve Regina.
Coincidenza spaziale curiosa. Pare che l’uso di incoronare l’immagine della Madonna sia stato promosso inizialmente nell’Emilia Romagna, quindi nella stessa regione dove si propagavano i paliotti di scagliola.
Ipotesi storico-geografìche.
Le osservazioni precedenti ispirano una ricognizione su tre direttrici.
La prima concerne l’itinerario geografico percorso dai paliotti di scagliola per giungere a Liserna.
Poiché, come abbiamo visto, a Grizzana esistono paliotti datati 1680, spontaneo pensare che 19 anni dopo anche i Lisernesi abbiano voluto dotare la propria chiesa con il medesimo ornamento. D’altra
parte nella vicina Cereglio ( mi si dice ) è conservato un analogo paliotto di scagliola ugualmente dedicato alla Madonna del Rosario. Non è difficile quindi dedurre le ramificazioni del percorso cronologizzando per quanto possibile gli altari della zona.
Ampliando l’estensione dei percorsi, si profila la domanda: i paliotti di scagliola giunsero in zona da Bologna, oppure direttamente dal territorio modenese, per es. attraverso Guiglia che ne possiede
ottimi esemplari?
La ricerca suggerita vorrebbe applicare a tutta la provincia bolognese il medesimo criterio, non solo per le scagliole in genere, ma per le singole immagini in esse riprodotte. La tipologia porterebbe a delle conclusioni almeno approssimate. E’ la seconda direttrice.
Per quanto riguarda la Madonna del Rosario di Liserna possiamo dire che non riproduce tipi artisticamente elevati, e allora diffusi mediante incisioni a stampa, alcuni dei quali si fanno risalire alla scuola di Guido Reni. Ciò è avvenuto in paliotti lontani dalla zona per opera di scagliolisti ben noti. A Liserna l’inclinazione del capo di Maria verso destra è conservato con troppa evidenza. Ma il livello mediocre dell’esecuzione non permette di risalire a qualche archetipo illustre dell’iconografia seicentesca..
In questo settore vanno studiati tutti i particolari dell’immagine, dalla nuvola sotto i piedi della Vergine alla corona del rosario pendula, distintivo inconfondibile del tipo. E vanno esaminati i dettagli decorativi e le tonalità prevalenti, in particolare le volute espanse dei rosa.
Ma la terza direttrice vorrebbe sondare i motivi spirituali che si trovarono alla sorgente del paliotto.
E’ la parte storicamente più collegata con la spiritualità cattolica.
Partendo dal nome della donatrice, è facile concludere che se Caterina Palmieri viene chiamata Priora vuoi dire che a Liserna nel 1699 esisteva una confraternita del Rosario.
La committente volle dunque rivestire con un paliotto di scagliola l’altare della propria confraternita, che formava la parte più sacra della cappella.
E’ logico supporre che il paliotto sia giunto più tardi, quando ormai da tempo nella piccola comunità parrocchiale doveva esistere un gruppo di persone organizzate in Compagnia o Confraternita del Rosario.
La documentazione di archivio convalida l’ipotesi.
Nell’elenco degli Instrumenti pubblici della parrocchia di Liserna è segnalato un rogito notarile,
datato 29 luglio 1640, riguardante proprio l’erezione dell’altare e l’istituzione della Confraternita del Rosario.
Dunque 59 anni prima del paliotto è attestata l’esistenza di un gruppo di Lisernesi iscritti a quel sodalizio.
- Anche dal punto di vista spirituale una comunità lontana dalle grandi vie di comunicazione, poteva registrare solo con estremo ritardo la nascita di un’istituzione che preesisteva da secoli. La storia delle Compagnie del Rosario è molto più nota di quella della scagliola.
Continua….
Abbiamo dato la notizia della sua morte, ora vorremmo condividere i suoi insegnamenti con chi non ha avuto la possibilità di conoscerlo.
Questo il comunicato ufficiale, della diocesi di Bologna:
La mattina di venerdì (17/02/2012) è deceduto don Filippo Gasparrini, officiante presso la parrocchia della Mascarella e postulatore della causa di beatificazione di Giuseppe Fanin. Era nato 87 anni fa ad Acquaviva Picena ed era entrato giovanissimo nella congregazione dei Passionisti. All’interno della comunità religiosa fu insegnante di teologia, di francese e di lettere. Visse alcuni periodi in Francia e in Germania per motivi di studio e si laureò in lettere a Bologna. Fu anche preside dell’istituto teologico di Chieti. Nel ’78 giunse a Bologna, nella comunità della Certosa e nel ’90 ottenne dalla Santa Sede la possibilità di essere iscritto nel clero della diocesi, servendo fedelmente la parrocchia della Mascarella. Autore di numerose pubblicazioni di carattere storico, partecipò anche alle indagini canoniche sui sacerdoti trucidati a Monte Sole. Le esequie sono state celebrate lunedì dal Vicario generale.