Don Anselmo Cavazza – Un raccontino di Italo Brizzi

2012/12/06, Vergato – In questo “raccontino” Italo Brizzi, ha anticipato quello che era emerso nella lunga intervista che ci aveva concesso alcuni anni or sono. Eravamo andati da lui perchè ritenuto custode dello spartito del canto che accompagnava la statua di santa Margherita nelle processioni e che è riportata nel retro del santino che vi mostriamo. Purtroppo le nostre informazioni erano inesatte, lo spartito non c’era ma il viaggio non è stato vano, l’intervista, i libri, i suoi disegni e soprattutto il ricordo di un amico vero, Don Anselmo Cavazza, che scherzandoci sopra, lo accusava di averlo sposato con la moglie un pochino invadente… pronta la risposta di Don Anselmo: Io ti ho sposato… ma la moglie l’hai portata tu!… e giù a ridere.

DON ANSELMO CAVAZZA
La prima cosa che Giorgino imparò a Vergato, fu riconoscere Carviano: basta tirare su il naso a mattina ed eccolo lì di fronte un borgo medioevale sotto la cresta dei monti. Girando le spalle sempre con il naso per aria ecco monte Pero che incombe.
Quando aveva poco più di nove anni, nell’estate del 1935 suo padre lo mandava tutte le mattine dalla signorina maestra Zorca Niccolini che lo preparava per gli esami di stato e lo chiamava figlio mio; a Carviano.
Seduto sulle bozze di fiume si toglieva le scarpe. Annodava fra loro i cordonetti, o le stringhe, che sistemava sul collo in modo che le scarpe penzolassero sul petto, una a destra ed una a sinistra; guadato il fiume camminava scalzo fin quando i piedi non si erano asciugati; si sedeva sull’erba, rimetteva a posto calze e scarpe e cominciava la salita che dopo un paio di chilometri lo avrebbe portato dalla maestra.
A mezza via, a metà dell’erta, c’era un buco in terra che soffiava metano. Accendendo un fiammifero si otteneva una fiamma alta più di uno spanno; solo il vento la spegneva. Lì vicino c’era un grande sasso tondo e di superficie piatta. Vicino aveva nascosto la boccetta d’inchiostro copiativo viola e la cannetta. Sul sasso faceva il compito assegnatogli il giorno prima dalla maestra poi, nascosti penna e calamaio, rimesso il quaderno in saccoccia, riprendeva la salita.
– Figlio mio hai fatto bene il compito, bravo ma come mai hai sempre le dita inchiostrate? Non ti lavi mai?-
Don Anselmo Cavazza doveva essere già parroco di Carviano ma Giorgino non lo conosceva. Lo conobbe anni dopo, sul finire dell’estate 1948. Tutti i lunedì, giorno di mercato, capitava al bar di Marino; lì parlava d’affari ma raccontava anche storielle da ridere; oppure entrava nella bottega di suo padre a parlare di politica. Diventati amici gli chiese se la preghiera poteva salvare dalla pazzia e lui raccontò di un parroco che, viste fiorire alcune crepe nella sua casa, si angustiò tanto da dovere essere ricoverato. Non guarì mai del tutto. La casa non ebbe altro danno oltre le crepe presto riparate.
A mò di contentino Don Cavazza aggiunse che credendo fermamente ci si salva da tutti i mali, fino ad approdare alla vita eterna. Cinque anni più tardi Giorgino gli chiese di sposarlo e così il quattordici di febbraio lui, la fidanzata, Saverio, la zia Anna, suo padre e le sue sorelle andarono alla chiesa di Salvaro. La notte aveva nevicato; dovette montare le catene ma non schivò la ventina di giorni di influenza come viaggio di nozze. Nevicare il giorno di San Valentino! Una congiura, un tradimento!
Inginocchiato sui gradini dell’altare pensò all’enormità di quello che stava facendo, alla estrema responsabilità che stava per assumere e vide tutto nero. Recitò un’Ave Maria e piano piano la chiesa schiarì: La ragazza, sua moglie diciannovenne, era sorridente, bellissima.
Tornò a frequentare Don Anselmo trentacinque anni dopo, quando prese a recarsi a Carviano negli anniversari della morte di un amico. Don Anselmo ne celebrava le messe di suffragio e dopo tutti quanti, parroco compreso, si recavano a casa della vedova, anche lei un’amica d’infanzia.

A tavola Don Anselmo voleva sempre Giorgino vicino a sé; era un commensale di media statura ma robusto nel mangiare e nel conversare, trattava con competenza tutti gli argomenti dal serio al faceto, dal religioso al mondano. Qualcosa, forse un ictus, gli aveva storto definitivamente la bocca ma questo non gli impediva la parola né la masticazione.
Una di quelle volte gli disse: – II tuo prete, Don Turrini, mi ha detto che gli hai restaurato un po’ di statue malandate. Sapresti rimettere in sesto Santa Margherita patrona di Carviano?-
– Reverendo, non sono poi tanto bravo e per dare una qualche risposta
devo vedere di cosa si tratta. –
– Ma tu che lavori hai fatto a Don Turrini? –
– Ho riparato due volte una madonna di cemento, rifacendo parte del viso, del manto e le mani congiunte; una Madonna di cartone snervato; una Santa Rita pure di cartone messo male come vernice e consistenza e poi una Santa Margherita di terracotta con il collo spezzato e sbriciolato -.
La Santa Margherita di Carviano era stata tanto nell’umidità da essere impregnata d’acqua e da cadere a pezzi. Don Anselmo disse: –
– Per favore, ricostruiscila, rimettila a posto; spendi tutto quello che vuoi perché ho avuto un lascito. –
– Se aggiusto la statua e lei la rimette allo stesso posto, dopo una settimana va tutto a farsi benedire –
Gli rispose che erano già iniziati i lavori per la ristrutturazione e il risanamento della chiesetta e dell’annessa piccola casa.
Dopo il tragitto di esatti trenta chilometri, da Carviano a casa sua, la statua aveva lasciato nel pianale della macchina, un bel pò di scorza, costituita da fogli di
un libro…..illustrato e indecifrabile..
Dopo tre mesi la chiesetta era nuova, nuovo il muro di sostegno della terra dietro l’abside; il pavimento in cotto; accurato il sistema di circolazione dell’aria anche a battenti ed infissi chiusi. Anche santa Margherita vergine e martire era pronta, con una veste rossa fiammante e ben salda sul basamento. Il drago sotto al piede e un braccio erano stati completamente rifatti; poi iniezioni di vinavil, di plastica che si espandeva e induriva; stuccature, rappezzi, ingessature, strati e strati di colla trasparente su tutta la superfice. Aveva anche aggiunto, a quella originale e piccola, una seconda aureola più grande e di lucido acciaio inossidabile.
Durante quel periodo Giorgino era stato due volte a trovare il parroco il quale era dispiaciuto per avere smarrito, durante la guerra, lo spartito della canzone dedicata alla Santa; testo dell’esimio cav. Emilio Veggetti, musica di D. Giovanni Tozzi Fontana.
Si munì di un registratore; nella chiesa del suo matrimonio, vuota ma preparata per un altro matrimonio, con tutti i banchi addobbati con bellissimi mazzi di fiori; registrò la canzone che Don Cavazza cantava e ricantava con impegno.
Un amico, un caro amico da tempo scomparso, Felice Magone, prof. d’orchestra, ascoltando la canzone ne scrisse le note sul pentagramma e sulle note, scrisse le strofe.
Quando riportò a Salvaro, statua e spartito, trovò Don Anselmo sul sagrato della chiesa tutto coperto da una palandrana nera in origine ma al momento, del colore dei calcinacci.

Con Don Anselmo che gli girava intorno scaricò Santa Margherita e la issò sul tavolo della canonica.
– Come è bella, come è bella -. diceva intanto che girava intorno al tavolo, – Come è bella. -.
– E’ anche forte -. Ripeteva Giorgino battendo le nocche qua e là su tutta la veste, i piedi, la testa della Santa, che rispondeva con un deciso suono di tamburo.
Esauriti i convenevoli infilò le mani in tasca e disse: – Quanto ti debbo dare Giorgino? –
Durante il viaggio anche lui si era posto la domanda. Pensando al
materiale usato ma soprattutto alle difficoltà incontrate ed al tempo impiegato gli pareva di dovere chiedere una somma esagerata.
Ma allora cosa chiedere? Il pensiero andava qua e là: alla chiesa del suo matrimonio, senza fiori; alle barzellette di Don Cavazza; al prete che lo aveva sposato; alla sua totale assoluta dedizione quando, pur con la bocca storta, celebrava la messa nella chiesa lillipuziana di Carviano; alla sua felicità per l’avvicinarsi del cinquantesimo anno di sacerdozio. Anche le occasioni per tentare di salvare l’anima doveva mettere in conto Giorgino che così decise di confonderlo: – Gli chiederò di dire per me una messa dopo che sarò morto, lui che ha dieci anni più di me -.
– Sì, sì – disse Don Anselmo con grande allegria, gratitudine e naturalezza , – te la dirò una messa anche due anche tre. –
Rimase deluso. Ma come? non pensa che ha dieci anni più di me e che per dirmi messe dovrebbe sopravvivermi? non pensa che dovrei sciaguratamente morire prima di lui? Questo è un augurio alla rovescia. D’altra parte, però, quale essere umano può conoscere la data certa della sua dipartita?
Settimane più tardi gli fece avere una bella, grande fotografia di Santa Margherita restaurata, sotto vetro e incorniciata. L’accompagna una letterina:
“Al carissimo Giorgine in segno di riconoscenza e benedizione da parte della Santa Vergine e martire Margherita, Patrona di Carviano.
L’Amministratore Pastorale D. Anselmo Cavazza”. Dentro la busta quattro santini con immagine, canzone e preghiera. Quando Giorgino rilegge, la lettera, si rendo conto, ogni volta, che nessuna cifra a compenso del restauro gli avrebbe procurato il piacere, la commozione, che quelle parole gli arrecano.
Adesso Don Anselmo Cavazza non c’è più.
Giorgino spera che quando verrà la sua volta sia lì a dire, a chi di dovere, una buona parola per lui, uomo di poca fede ma di grande grandissima speranza.
Loiano 14.7.99 ( da: Racconti e raccontini)

A S. MARGHERITA V. M.
PATRONA DI CARVIANO
Poesia del
Cav. Emilio Veggetti
Musica del Sacerdote
D. Giovanni Tozzi Fontana
Bella, clemente e vigile
Stella del nostro cuore,
Ardi noi pure o Vergine
Santa, di tanto amore.
Porgi gloriosa Martire
Pia la bianca mano
Del sangue ancora rorida
Sparso da Diocleziano.
Curva la fronte angelica
Ai nostri caldi Voti;
Mira ai tuoi piedi, umili
Noi tutti a Te devoti;
Togli da noi magnanima
Ogni pensiero insano;
Colma di grazie o Provvida
II fido tuo Carviano.
Sempre del Luglio torrido
Ove che il sole avvampi
Sopra i fecondi pampini
Ch’ombreggiano sui campi;
Mentre sui clivi fertili
Ondeggia aurato il grano
Sperdi nel ciclo i turbini
Proteggi il tuo Carviano.
Salva celeste Eterea,
Dona i lontani cari
Alle dolcezze intime
Dei nostri focolali:
Tieni le ree discordie,
Gli odi da noi lontano;
Immacolata Vittima
Proteggi il tuo Carviano.
Tu della Fede, intrepida
Nella nascente ora,
Fosti chiamata a tingere
Diva, l’ardente aurora;
Fa che il baglior mirabile
Di quell’albor cristiano
Gli animi nostri illumini
Patrona di Carviano.

Carviano, 25 Maggio 1940