Il postino Dolcisio tra storia e leggenda
2014/07/11, Vergato – Tra storia e leggenda, il postino che raccontava fiabe!
Il postino Dolcisio a cura di Umberto Bernardi
Le circostanze più significative in cui si attuano la creazione e la trasmissione proprie della favolistica in Romagna e in Emilia sono legate alle forme della cultura corale tradizionale.
Ai “treb” invernali (le veglie che si tenevano di solito nelle stalle) partecipavano tutti i componenti della famiglia. mentre i bambini giocavano, gli adulti lavoravano: le donne filavano, tessevano, cucivano, ricamavano; gli uomini intrecciavano vimini, giunchi o si occupavano degli attrezzi di lavoro: li riaggiustavano, li assettavano e ne costruivano di nuovi. I gesti delle mani laboriose erano accompagnati spesso, e soprattutto nelle famiglie più pie, dalla recita del rosario; di solito erano ritmati e scanditi dai racconti dei fulèsta o fulèr narratori professionisti, specializzati o dilettanti. Le veglie si tenevano in ogni comunità “costantemente nei mesi di dicembre e di gennaio” scriveva il folclorista bolognese C. Gaspare Sarti “tanto in montagna quanto in pianura: da Cà dei Fabbri a Pianoro, da Castenaso a Castel de ‘Britti, da Vergato a Scaricalasino. Èl fulesta ” racconta con grande maestria” una lunga fiaba. “Terminata la narrazione succede un momento di pausa e di animatissima conversazione, indi un altro fulesta… incomincia: A iera una volta…”
(Fiabe Romagnole e Emiliane Elide Casali Oscar Mondadori)
Righi Dolcisio era uno di questi Fulesta veniva chiamato nelle varie frazioni per raccontare le favole ai bambini, e anche gli adulti rimanevano ad ascoltare, durante le veglie invernali nelle stalle. Era bravissimo a raccontare le favole, noi allora bambini rimavamo incantati, per la sua interpretazione e fantasia.
Testimonianza di Enzo Grandi postino di Castelnuovo.
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Il postino Dolcisio
Righi Dolcisio, classe 1886, discendente da umile famiglia, sposato con Rosa, padre di quattro figli, tre maschi ed una femmina, padrino di un altro figlio adottivo, amato alla pari dei figli naturali.
Dolcisio ha vissuto gran parte della sua vita nella borgata capoluogo della frazione di Castelnuovo in comune di Vergato, con la professione di portalettere. Ricopriva la mansione di prelevare la posta all’ufficio postale di Vergato e di distribuirla alle famiglie di tutta la frazione di Castelnuovo, oltre a tutta la zona destra del torrente Vergatello (Ghiaia- Fornaci- Lasina- Molinello – Rapolo) che facevano parte della frazione del capoluogo di Vergato.
In tutte le stagioni e con qualsiasi situazione meteorologica, in nome dell’onore e del dovere, ogni giorno dell’anno, esclusi i festivi, nelle prime ore copriva a piedi la distanza da Castelnuovo a Vergato, percorrendo tutto il crinale che parte da Castelnuovo, passa da Bezzano- Casa Ble- Serra di Gatto- Casa Ambrogio e arriva a Vergato.
In questo percorso, col pensiero all’importanza della missione ed alla necessità di compierla, in alcune occasioni avrà avuto per compagno di viaggio qualche conoscente che anch’esso aveva bisogno di raggiungete Vergato, ed avrà scambiato con questi alcune parole che gli avranno addolcito il percorso, ma la gran maggioranza delle mattine era solo, e spesso doveva sopportare ed anche sfidare la compagnia della pioggia e del forte vento di ponente, e della tramontana del nord, che in certe occasioni si trasforma in tormenta.
Durante la stagione invernale, per primo, sfondava la neve caduta durante la notte, apriva il varco anche per coloro che sarebbero usciti successivamente e che magari trovava più tardi in paese a Vergato, ove ancora una volta, col suo buon umore, era lì ed assieme bevevano qualcosa in compagnia.
Sempre attento, se intravedeva i destinatari della posta, che aveva da consegnare, o qualche tramite che abitasse nei paraggi di questi, si teneva sempre a disposizione di chiunque avesse avuto bisogno di qualsiasi informazione, come indirizzi di professionisti, Uffici Pubblici, oltreché di persone private, spesse volte veniva a lui richiesta la testimonianza per i di allora soventi Atti Notarili sia agli Uffici del Comune che in Pretura.
(Nanni Remo)
Favola di Righi Dolcisio postino di Castelnuovo (Ricordo di Manzini Chiara)
La favola di Tendegrino
Cera una volta una vedova che viveva in una misera casupola al limite di un immenso bosco, viveva là in quella sperduta boscaglia con i suoi tre figli, si nutrivano con i frutti di questa immensa boscaglia, castagne, funghi, frutta selvatica, qualche capra per un po di latte. Tanta fame e tanta miseria. Il figlio più giovane si chiamava Tendegrino, una sera mentre stavano scaldandosi davanti al fuoco disse: ho deciso di andarmene da questa
miseria, vado per il mondo, per vedere come vivono altre persone se sono tutti così poveri come noi.
I fratelli e la madre cercarono di dissuaderlo dicendogli che purtroppo era così per tutti, e di non dare a loro il dispiacere di lasciarli, Tendegrino li rassicurò: ho detto così tanto per dire qualcosa, non se ne parla più.
Una notte aspettando che tutti dormissero, piano e senza far rumore partì, voleva essere già lontano al loro risveglio per non sentire il pianto della madre altrimenti non avrebbe avuto il coraggio di proseguire.
Al mattino era già tanto lontano che non sentì il pianto e il richiamo della madre e dei fratelli.
Camminò tutto il giorno mangiando qualche mora che trovava lungo il suo cammino, finalmente a sera si ritrovò fuori dal bosco, davanti a lui c’era un grande prato con in mezzo una grossa quercia, pensò di dormire li sotto ma poi non sentendosi sicuro salì in cima, si sistemò in alto dove qualche ramo era messo in modo che gli face da letto.
Stanco come era dormì profondamente, lo svegliarono delle voci litigiose, guardando in giù vide tre brutti ceffi che litigavano fra di loro, pensò bene di non muoversi ne fare il minimo rumore per non essere scorto da loro, ma uno di loro guardando in su disse:
solo se viene giù quello lassù a fare le parti troveremo un accordo, il ladro intendeva l’intervento di Cristo. Tendegrino invece pensò di essere stato scoperto, rispose: io non posso far niente per voi. Che ci fai tu lassù, disse il ladro: vieni giù subito. Tendegrino scese e si raccomandò: non fatemi del male, sono scappato di casa e ho dormito qua per caso.
Bene disse il ladro, capiti proprio a proposito, abbiamo bisogno di te. Gli spiegò che avevano rubato tre oggetti fatati, un corno, in paio di stivali, un anello. Il corno suonando l’adunata, arrivavano soldati fin che se ne voleva, suonando la ritirata sparivano tutti. Gli stivali mettendoli uno correva più forte del vento. L’anello mettendolo a un dito ti faceva diventare invisibile. Loro non si trovavano perché quello che faceva la divisione teneva l’oggetto che aveva più valore, qualunque esso sia. Se le parti le fai tu, che sei estraneo, ognuno si prende quello che tu gli dai e ognuno andiamo per la nostra strada. Tendegrino
accettò, ma disse: io debbo avere la certezza che tutti e tre gli oggetti siano fatati altrimenti uno di voi avrebbe un oggetto inutile. Ben detto, dicono i tre ladri, da quale oggetto cominciamo, dal corno disse Tendergrino. E suona l’adunata, dal bosco cominciano ad arrivare soldati, soldati non finivano più ed erano tutti ben armati. Tendergino suona la ritirata in un baleno sparisce tutto, si mette il corno appeso alla cintura dei pantaloni. Ora gli stivali, vediamo se anche questi funzionano, si mette gli stivali e in un momento ha fatto cento chilometri, torna e dice anche questi sono fatati ora proviamo l’anello, se lo mette al dito, va vicino a un ladro e gli dice: mi vedi? Non ti vedo risponde lui. Rivolto a tutti e tre: ma davvero non mi vedete? Eppure io sono qui davanti a voi, vi tocco e voi non mi vedete? È fatato anche l’anello ciao amici provate a prendermi, e via che se ne va con gli stivali che andavano forte come il vento, arrivò a sera in una lontanissima città, poca gente per le vie e tutti molto seri in volto, che stana gente pensò Tendegrino, poi vide un bellissimo palazzo, affacciata alla finestra vi era una bellissima ragazza piangente, allora lui vide una persona e gli chiede: ma perché piange una così bella ragazza, con una casa così meravigliosa. Gli risponde: quella è la principessa, piange perché il re suo padre sta
perdendo la guerra, il nemico fra poche ore entrerà in città, per noi e per lei è la fine.
Allora Tendegrino parte in aiuto al re perdente, arrivato sul posto comincia a suonare l’adunata, arrivano soldati a migliaia, il nemico spaventato se la diede a gambe, il re tornò trionfante nella sua città, indisse una grande festa in onore del suo salvatore e gli promise in sposa la principessa.
Il pranzo era favoloso, Tendegrino mangiò e bevve a dismisura abbracciando e baciando la principessa sua promessa sposa. Tendegrino si svegliò il giorno dopo disteso su un prato, fuori dalla città, non riusciva a capacitarsi come mai era finito li, aveva le ossa indolenzite e gli facevano anche male, poi piano, piano cominciò a ricordare che aveva bevuto tanto, le guardie del re lo bastonavano e la principessa che guardava sorridendo. No non può essere vero, lei mi ama, sono io che non so come sono finito qua. Ora torno in città, si presenta al palazzo, le guardie gli dicono: indietro, non si entra qua. Io sono il futuro principe, il promesso sposo, voglio passare, chiamate la mia futura sposa.
Arriva la principessa e dice: io dovrei sposare sto contadino, guardie bastonatelo, portatelo che non torni più. Tendegrino non si ribellò più, troppo grande era il suo dolore per la bella principessa e il suo tradimento, si ritrovò così ancora una volta solo bastonato e senza più i suoi oggetti fatati. Si rimise in cammino verso casa, si ritrovò in un bosco pieno di bellissime piante, era inverno, ma quel bosco sembrava magico, un caldo opprimente, aveva sete e fame, quando all’improvviso davanti a se vide un magnifico albero di fichi maturi, gialli come oro, cominciò a mangiare, erano dolci come il miele,
mentre mangiava pensava, pensava. Tornare a casa così scornato e addolorato. Quando si accorse che il suo naso era cresciuto a dismisura, toccava terra, pensò: sono questi fichi, sono stregati, anche il bosco è stregato. Non possono esserci fichi d’inverno, eppure io ho ancora tanta fame, cresci naso finché vuoi ma io mi sazio, sarà quel che sarà. Il naso ormai era talmente lungo che gli dava fastidio a camminare, dovette arrotolarselo a mo di cintura intorno alla vita. Riprese il cammino in questo bosco stregato, venne notte si addormentò. Al mattino riprese il suo viaggio il caldo era sempre opprimente, sete e fame cominciavano a farsi sentire, ancora una volta vide come d’incanto un altro bellissimo
albero di fichi, questi non erano gialli, erano verdi di un verde splendente, la fame era tanta, si fece coraggio e cominciò col mangiarne uno, era dolcissimo nonostante il colore.
Al diavolo il naso, cresi finchè vuoi, io mi tolgo la fame. E cominciò a mangiare, si accorse che il naso calava, si srotolava dalla vita, allora cominciò a mangiare più in fretta, non vedeva l’ora di riavere il naso normale. Gli venne un idea per la testa, tornò indietro, ritrovò la pianta dei fichi gialli, con dei giunchi fece un bel cestino, lo riempì di fichi, scelse i più belli, i più grossi, i più gialli. Con delle erbe che trovò, si tinse i capelli di rosso, la barba, macchiò gli abiti di diversi colori giallo, verde, blu per non essere riconosciuto e si avviò verso la città della sua principessa. Giunto in città cominciò a strillare fichi, fichi
freschi, maturi, dolcissimi, la gente rea sbigottita: fichi freschi in pieno inverno? Ma da dove vengono? Cosa costano? Ma il prezzo era talmente alto che nessuno poteva permetterselo e così sempre stillando giunse sotto la reggia, la principessa che era molto golosa, chiamò le guardie e disse: quei fichi sono tutti per me, andate e comprateli. Buon uomo la principessa desidera tutti per se questi fichi quanto costano? Quale onore, la principessa, desidera comprare da un umile venditore come me? Per la principessa non c’è prezzo, li offro in omaggio come umile suo suddito. Le guardie ringraziarono e
portarono l’omaggio alla principessa che si mise subito a mangiarli dal granché erano belli buoni. Mentre li mangiava, sorrideva e pensava a quel scemo di Tendegrino che voleva sposarla, non si accorgeva che il naso cresceva, passeggiava avanti e indietro per la camera quando tutto ad un tratto sentì il naso che toccava il pavimento, cominciò a toccarselo, era proprio il suo naso che era così lungo, corse allo specchio cominciò a urlare, corsero tutti il re, la regina, le guardie tutti rimasero inorriditi. Il re fece attaccare i bandi, si invitavano tutti i più grandi professori, scienziati a visitare la principessa afflitta da una grave malattia, non si guardava a spese, colui che l’avesse guarita gli veniva promessa in sposa. Ma nessuno fu in grado di guarire la principessa. Intanto Tendegrino aspettava che la disperazione della principessa e dei sovrani fosse al colmo per accattare qualunque rimedio, un bel giorno gli araldi del re andarono per paesi, campagne dicendo che tutti potevano presentarsi alla reggia con le loro medicine che sarebbero stati ricevuti.
Tendegrino disse: questo è il mio momento. Andò nel bosco, trovò l’albero dai fichi verdi, ne fece un bel cesto, nel frattempo si era lasciato crescere barba e capelli, li tinse di bianco, vide in un casolare la contadina che stendeva il bucato, aspettò di non essere visto, rubò un camicione lungo bianco, se lo mise e partì alla volta della città. La gente che vedeva passare sto vecchio con un cesto di fichi diceva: questo è pazzo, le guardie lo ammazzeranno, non sa da dove viene la malattia della principessa? Lui si presenta, le guardie: siete pazzo?
E lui: voglio parlare col re, sono un eremita che vive e studia le
piante, fiori. Sono in grado di guarire la principessa. Fuori cialtrone, urlano le guardie. Il re sente tutto sto baccano e dice: portate a me questo stregone, se mente su quello che dice gli farò tagliare la testa. Come potete asserire di guarire la principessa con quella roba, quando la causa del suo male è stata proprio quella roba. Tendegrino dice: chiodo scaccia chiodo, perché fico non può scacciare fico. Cosa vi costa provare, io garantisco che guarirò la principessa ma se non mi lasciate tentare come posso dimostrarlo? Il re acconsente una a piccola prova proposta da Tendegrino , metro alla mano si misuri bene il naso, poi lui somministrerà un mezzo fico alla principessa garantendo il calo di un centimetro, tutti pronti alla prova metro alla mano. La principessa non ne voleva sapere, è già abbastanza lungo il mio naso, non mi fido. La principessa dice con sussiego.
Tendegrino: il vostro naso è già mostruoso, mezzo fico anche se invece di calare lo facesse crescere di un centimetro nessuno se ne accorgerebbe, ma se invece cala io vi garantisco che alla fine del cesto sarete come prima, vale la pena tentare. Avete ragione, proviamo, mangio il mezzo fico, e guai a voi la vostra testa traballa già. La prova riesce, un centimetro abbondante di naso è sparito, la principessa vuole mangiarsi il cesto intero, ma Tendegrino dice: il medico sono io e voi la paziente, le medicine prese tutte in una volta hanno sempre peggiorato l’ammalato, così può succedere coi fichi. Questi sono fichi curativi, quindi una medicina da prendere a piccole dosi che lo stabilibo mezzo fico al mattino, uno a mezzogiorno, mezzo fico alla sera. Solo così garantisco la guarigione. Così Tendegrino, nelle vesti di un vecchio eremita guaritore, viene sistemato nella camera accanto a quella della principessa. Il naso cala un centimetro, due centimetri a mezzogiorno, uno alla sera totale quattro centimetri al giorno, alla reggia tutti più felici, la principessa abbraccia, bacia il suo salvatore lo adora dice anche di sposarlo se lui lo vuole. Intanto Tendegrino si fa raccontare la storia della guerra vinta dal re suo padre, lei dice che un povero contadinotto vantava di avere un corno, un anello, un paio di stivali fatati ma chi poteva credere a certe panzane, e poi io non lo avrei sposato mai quel burino, non lo avrei toccato nemmeno con la forca. E Tendegrino: però lo avete fatto toccare con i bastoni. La principessa: quanto siete arguto e spiritoso caro dottore.
Principessa toglietemi una curiosità dove sono finiti gli oggetti di questo povero diavolo.
Ma dottore non mi dite che quella robaccia vi può interessare? Ad ogni modo guardate in quel sgabuzzino vicino alla vostra camera sono là. Tendegrino, va trova gli oggetti comincia a guardarli, si mette il corno alla cintura della camicia, si mette gli stivali, comincia a mangiare i fichi. La principessa è sbalordita: ma professore state mangiando i fichi, la mia medicina, ma cosa fate?
E lui: principessa rimarrete con un palmo di naso, i fichi sono finiti. E così dicendo si fece riconoscere. Tendegrino urlò la principessa, voi siete Tendegrino. Si sono Tedegrino e vi saluto per non vedervi più. Si mise l’anello al dito e si diede a fuggire dalla reggia. Gli urli della principessa avevano fatto accorrere tutte le guardie l’ordine era di ucciderlo all’istante, ma essendo invisibile passava vicino a loro e si faceva sentire, ma non trovare. Passo i cancelli della reggia sano e salvo e via questa volta verso casa con i suoi tre oggetti fatati e tanta voglia di raccontare la sua avventura alla madre e a i fratelli.
FINE
Postini a Castelnuovo
Righi Dolcisio
Ianosi Giuseppe (figlio di Dolcisio)
Grandi Enzo
Tamarri Mauro
Bernardi Umberto