FRANCO FONTANA E QUELLI DI …
Il 5 Agosto si è inaugurata a Porretta, presso l’Hotel Roma,
la mostra “Franco Fontana e quelli di …”.
Inutile dire che, personalmente, si è trattato di una grande soddisfazione, anche perché il maestro modenese, visitato pochi giorni prima, aveva accettato di buon grado che la nostra cittadina potesse accogliere le sue opere e quelle degli allievi che lo seguono. Grazie.
Alla cerimonia di debutto ha preso parte il sindaco Nanni, che ha apprezzato l’iniziativa, garantendo supporto per eventuali altre manifestazioni del genere.
Insomma, ci saranno ulteriori mostre da visitare, il tutto nell’ambito di “Porretta, città della fotografia”, che da anni stiamo cercando di finalizzare: io, Mosè Franchi e altri membri di una commissione scientifica nata per l’occasione.
Il secondo a prendere la parola è stato proprio l’amico Mosè.
Da lui sono arrivate alcune parole sugli autori e sul carattere dell’esposizione: moderna, fantasiosa, creativa, d’avanguardia insomma.
Del resto, pensando a Franco Fontana, non poteva essere altrimenti. Lui non insegna fotografia, ma fa sì che ognuno possa esprimere se stesso, in libertà. “Non voglio creare dei fontanini”, dice spesso, “Ma persone che sappiano accorciare la distanza fra ciò che si è e quanto si fa”.
Presso l’Hotel Roma, dove era stato organizzato un aperitivo, sono intervenuti alcuni allievi che hanno apprezzato la logistica dell’esposizione: tre sedi per altrettante maniere per vedere.
Il tutto è finito con una cena, insieme, dove si è parlato di fotografia e, naturalmente, di Franco Fontana.
Già, Fontana.
Dobbiamo essere orgogliosi di avere le sue opere a Porretta Terme. Si tratta di dieci icone che hanno contraddistinto la sua carriera.
Tra queste è compresa anche la prima immagine di successo, quella che ha caratterizzato il suo inizio nella fotografia. “Baia delle Zagare” è il titolo dell’opera, ed è stato proprio l’autore a parlarcene.
Baia delle Zagare, l’inizio
di Franco Fontana
Correva l’anno 1970 e, con quattro amici fotoamatori, mi trovavo in un hotel sul Gargano, in Puglia. Si chiamava Baia delle Zagare ed era situato su uno sperone di roccia, in alto rispetto al mare. Per arrivarci occorreva l’ascensore. Mentre salivamo, decidemmo di scattare delle fotografie. Ci fu chi si concentrò sulla gente che faceva il bagno o sulle donne in bikini, altri sull’acqua; a me piaceva quell’ombra che lo sperone riportava sul bianco della spiaggia e lo ritrassi. Non me ne resi conto, ma stavo producendo una delle mie immagini più famose.
Baia delle Zagare, 1970
La mia carriera doveva ancora iniziare, non ero un fotografo professionista. Vendevo mobili, ma la passione mi portava in continuazione verso la fotografia. In quel periodo, avevo anche prodotto un libro dedicato a Modena, illustrato con le mie immagini. Stavo investendo su me stesso.
“Baia delle Zagare” mi ha restituito un grande insegnamento, che ripeto sempre durante i miei workshop. In fotografia occorre essere se stessi. I manicomi sono pieni di gente che si crede Napoleone; ed è inutile copiare Cartier-Bresson se non lo siamo. Bisogna capire cosa si ha dentro; se lo comprendiamo, il resto viene da sé.
Su quell’ascensore eravamo in quattro, ma solo io ho scelto di ritrarre l’ombra dello scoglio. Non mi attribuisco meriti particolari e nemmeno chiamo in causa aspetti tecnici (irrilevanti in fotografia). Ho solo obbedito a me stesso e a quanto l’anima mi stava suggerendo.
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Della mostra parleremo ancora, come di altri aspetti fotografici. Intanto godetevi le immagini, ne vale la pena.
Luciano Marchi
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