R] Alla fine degli anni ’70. Il perché non so spiegartelo. Credo mi abbia aiutato la conoscenza della musica. Per anni ho studiato pianoforte e sono riuscito a trasferire alla fotografia tutta la sensibilità necessaria.
D] È stata passione?
R] Una passione devastante, che da subito ho abbinato a quella per la montagna. Percorrevo i sentieri e cercavo scorci, questo alle ore più difficili: come si conviene a chi ama il paesaggio.
D] La passione è risultata importante?
R] È tutto: riesci solo se vive dentro di te, perché rinnova gli stimoli e ti aiuta a crescere. Per fotografare bene occorre curare tanti piccoli dettagli, che poi sono quelli che fanno la differenza; la motivazione ti aiuta a metterli insieme tutti.
D] Come hai curato la tua formazione?
R] Io ho avuto un grande maestro, nel quale mi riconosco: Stefano Monetti. Lui è stato un pioniere delle nostre montagne, ed io mi sono ispirato a lui, alle sue fotografie, alla sua filosofia. Ancora oggi (lui è di Bologna) facciamo qualche escursione fotografica assieme. Per il resto, sono autodidatta: non ho avuto scuole, né corsi. Ho osservato, questo sì, le fotografie dei grandi, particolarmente di quelli che si dedicavano al paesaggio.
D] Osservazione e sperimentazione?
R] Vero, molto l’ho costruito da solo: concedendomi anche di sbagliare e correggendo gli errori.
D] Prima cosa facevi?
R] Ero appassionato di musica (suonavo nelle orchestrine locali) e giocavo al calcio.
D] Mi riferivo alla professione …
R] Lavoravo come metalmeccanico presso la fabbrica locale (DEMM). Ero perito, ma sono partito dalla produzione, per passare solo in un secondo tempo a ruoli impiegatizi. Da lì sono passato direttamente ad un negozio di fotografia: avevo 38 anni allora. Ho aperto l’attività il I° Gennaio 1996, quando ero già sposato con Daniela e mia figlia aveva dieci anni. Tengo però a sottolineare che da almeno quattro anni producevo calendari col tema del paesaggio: immagini suggestive, tutte colte a pochi chilometri di raggio da qui.
D] Come mai una passione per la fotografia ha trovato lo sbocco in un negozio?
R] Avevo fatto vedere le mie immagini a molte persone, anche alle istituzioni. Credevo che meritassero attenzione, soprattutto per i luoghi che raffiguravano. Le risposte sono state negative, così ho pensato che un’attività commerciale mi permettesse di conservare l’autonomia necessaria per coltivare la mia passione.
D] Qual è la qualità più importante che un fotografo deve avere per affrontare il paesaggio?
R] Molti ritengono questo genere “non difficile”. In realtà occorre tanta sensibilità, quella che ti permette di comprendere la luce e le situazioni ambientali (comprese quelle metereologiche). La fotografia di paesaggio ha bisogno di equilibrio e di un cromatismo vero, che si possa quasi toccare. Molti apprezzano le mie immagini, perché mostrano cose tralasciate dai più; ed è lì che entra in ballo la sensibilità, se vuoi anche la musicalità dell’insieme.
D] Parlando di tecnica, cos’è necessario per il paesaggio? Occorre un’ottica specifica? Il treppiede? Altro?
R] Il paesaggio ha bisogno di tutte le lenti; anzi, occorre la capacità e la consapevolezza di saperle utilizzare tutte. Ovviamente la scelta va effettuata in base a cosa si vuole inserire nel fotogramma. Col tempo ho scoperto che le lunghe focali mi aiutavano a estrapolare i dettagli. Conoscere la luce (e le ombre) è un altro aspetto importante, anche perché si scatta in orari nei quali la scena cambia repentinamente (alba e tramonto). Per finire, l’uso del treppiede risulta sostanziale, e spesso fa la differenza tra una foto amatoriale ed un’altra professionale. Tieni conto che frequentemente si scatta a diaframmi chiusi, con dei tempi d’esposizione che certo non ti sono d’aiuto.
D] Treppiede, luce e sensibilità, quindi …
R] Anche emozione. Qui torniamo alla passione, perché il momento dello scatto deve essere adrenalinico. In quel momento è come se si chiudesse un ciclo, fatto di ricerca, appostamenti, lunghe camminate, attese indefinite.
D] Hai avuto altri elementi ispiratori, oltre Stefano?
R] Ho letto tanti libri, tra questi “Fari” di
Jean Guichard, una pubblicazione che mi ha affascinato molto. Io ho visitato alcuni dei luoghi che vi compaiono, rendendomi conto di come dovesse essere difficile scattare delle immagini da un elicottero, col mare in burrasca, volando a bassa quota sugli scogli! Come ti dicevo, però, la meteorologia è importante. Dalle nostre cime (siamo nell’Appennino bolognese) puoi ritrarre le Alpi (col Monte Rosa), la Corsica, perfino il Terminillo. Basta solo sapere con certezza quando vi sarà la limpidezza necessaria.
D] L’aria tersa la si trova solo in inverno?
R] No, anche in primavera e in autunno si hanno delle giornate limpide: questo soprattutto dopo i grandi temporali. Ricordo che una volta riuscii a ritrarre le Alpi da Venezia (ero lì per una crociera), dopo una burrasca maestosa. Questo per dirti che per “fare paesaggio” occorre alzarsi presto, ma anche non aver paura del freddo e degli acquazzoni.
D] Non solo Appennino, quindi …
R] È vero, sono stato anche all’estero: dove continuavo a provare, osservando le immagini dei maestri del luogo. Ogni volta imparavo qualcosa in più.
D] La tua fotografia non si compone di solo paesaggio però …
R] Ho iniziato con l’orizzonte negli occhi, ma il lavoro mi ha portato presto al reportage e ai relativi maestri (Capa e Bresson su tutti). Recentemente ho vissuto al fianco di Gianni Berengo Gardin ed è stata un’esperienza gradevolissima, la stessa che ha modificato il mio modo di vedere. Io sono corrispondente locale del “Resto del Carlino” e il reportage mi è cresciuto tra le mani. Peraltro, dieci anni di attività col quotidiano sono culminati in una mostra che ha raccontato la storia recente della nostra comunità. Berengo, però, mi ha insegnato a narrare con la singola fotografia, giocando con i “piani”, utilizzando elementi laterali rispetto al soggetto principale. Lui costruisce il racconto, plasmando i dettagli di ciò che guarda; forse riesce anche ad anticipare quanto accadrà da lì a dopo. Sta di fatto che è un autore che va letto, e non solo guadato; i suoi lavori vanno analizzati in profondità.
D] Gardin come ulteriore stimolo, quindi …
R] Sì, con anche una nuova direzione creativa da intraprendere.
D] Dove collochiamo la fotografia di matrimonio?
R] La poniamo come scelta obbligata, perché non ti puoi gestire solo con lo still life o le foto costruite in studio. È un genere che tengo ai margini, anche se poi non mi dispiace: credimi. Sta di fatto che i miei clienti mi scelgono per il paesaggio, pur costituendo un ambito diverso.
D] Vedo comunque molta cura …
R] Sì, perché mi adeguo all’occhio degli sposi, al loro sguardo. Molti miei colleghi non condividono questo mio comportamento, perché mi plasmo in funzione del soggetto. È una questione di tempo, oltre che di modo. Io dedico alla coppia almeno un’ora nella quale siamo soli. Se non me la concedono, li faccio venire prima.
D] Torniamo alle qualità: quali sono quelle indispensabili per il matrimonio?
R] Hai tanti ruoli, questo è il punto. Sei tu a guidare la cerimonia, dettando anche i tempi: sapendo anche come utilizzarli a meglio. Le immagini, poi, devono esprimere un valore estetico alto, in ambiti diversi. Ci sono le foto di gruppo, quelle al chiuso, altre all’aperto. In questo contesto occorre non dimenticare nessuno, esaltandosi nel ritratto, senza tralasciare il rapporto personale, quello con gli sposi, che risulta sostanziale. Io consiglio sempre di conoscerli prima: anche perché devono avere il tempo per stimarti.
D] Tecnicamente cosa occorre? Mi sto riferendo alle ottiche, alle fotocamere e così via …
R] Oggi il digitale ci offre una grande mano, per via degli ISO e della rapidità in generale. Un matrimonio, non dimentichiamolo, è un grande esercizio di reportage. Circa le ottiche, direi che col 24-105 fai tutto. Quasi sempre, però, porto con me una 6X6 ed anche una panoramica. Non ho perso l’abitudine di utilizzare qualche rullino, perché ritengo sia importante. Oggi Canon mi restituisce tanta qualità, con in più la possibilità di girare un video dalla “pasta” cinematografica. Non si smette mai di imparare.
D] Vedo molto colore tra i tuoi lavori …
R] È adesso che sto riscoprendo il B/N, pur non avendolo dimenticato mai. Diciamo che l’ho messo in mostra di rado, per via delle scelte obbligate. Le panoramiche sono tutte monocromatiche, ma per calendari e cartoline non posso che utilizzare il colore. Tieni conto che molte delle mie immagini sono a carattere commerciale, e lì il cromatismo è di casa.
D] Hai iniziato con l’analogico, dico male?
R] È ovvio, anche per questioni anagrafiche.
D] Qualche rimpianto?
R] Molti, diciamo che ci piango sopra ancora adesso. Il vedere l’immagine sul dorso della macchina mi riempie di nostalgia. Lo scatto faceva iniziare un tempo “base” che ti portava fino al sogno: quello dello sviluppo. Nel click c’era il sentimento, la sensibilità, persino l’emozione. Se eseguivo una posa in più era proprio per replicare quel momento, che adesso non esiste più, perché consumato all’istante.
D] Quanti benefici però …
R] Vero. Molte persone ne hanno tratto vantaggio e direi che le nuove tecnologie hanno aumentato il numero di quanti si avvicinano alla nostra passione: io e il mio collega Romano lo constatiamo tutti i giorni. Tutti coloro che fotografano hanno il sorriso sulle labbra, per cui si è anche esaltato il valore “terapeutico” della fotografia.
D] Dopo tanti anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro che vorresti portare a termine?
R] Le cose che ho messo in piedi sono riuscito ad ultimarle. Diciamo che recentemente si sono aperti nuovi orizzonti, per via dei maestri (grandi) che mi sono trovato di fronte. Sto vivendo una vitalità nuova, ed anche una rinnovata passione. Ecco che riscopro le vecchie immagini, quelle dell’archivio, con in più il desiderio di volgere lo sguardo a luoghi (e linguaggi) che non conosco. Vorrei pubblicare libri finalmente da solo, perché ad oggi la mia produzione è stata a più mani. Per farla breve, la mia attività ha subito un’accelerazione; e forse la tua domanda diventerà più congrua tra qualche anno.
D] Hai lavorato in camera oscura?
R] Sì, soprattutto agli inizi. Il tempo è tiranno, soprattutto quando si conduce un’attività commerciale. Diciamo che ho fatto in tempo ad apprendere il processo.
D] Puoi farti un augurio fotografico da solo: coda ti dici?
R] Vorrei che la passione rimanesse quella di adesso fino alla fine dei miei giorni e che la salute mi permettesse di non interrompere mai la ricerca dell’immagine ventura.
Grazie a Luciano Marchi per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.
Canon Italia