Rita Ciampichetti – Ricordo di una…… cicogna
2019/12/29, Vergato – Dalla pagina FB di Rita Ciampichetti per i lettori di Vergatonews24
Rita Ciampichetti 21 Settembre 2019-10-05
Ricordo di una… cicogna
Quando i segreti della vita erano tenuti celati ai bambini fin verso l’adolescenza, papà e mamma, per l’atavica pudicizia di quegli anni, si auguravano in cuor loto che le necessarie lezioni di educazione sessuale venissero impartite ai loro figlioli dalla frequentazione di compagni più grandi e dalla grande scuola di vita rappresentata dalla strada.
Ricordo ancora le chiacchere sottovoce in codice segreto e i vari ammiccamenti tra la mamma e le sue amiche quando parlavano di faccende tabù alle orecchie innocenti di noi bambine. “Che cosa??? Cosa è successo???” domandavi curiosissima… “Niente, niente… alla Carla la cicogna ha portato una sorellina!!”. Fatto sta che quando mia mamma rimase incinta di mia sorella ed io avevo sei anni non passava giorno che non scrutassi il cielo per vedere se vedevo arrivare un grande uccello che trasportava un fagotto. Beata innocenza!!
Negli anni settanta quando ho dato alla luce le mie due creature, la “cicogna” era rappresentata dalla Signora Natalina Giovannini: emerita ostetrica condotta del Comune di Vergato, dove era soprannominata proprio così “la Cicogna”.
Quando l’ho conosciuta io penso avesse già più di cinquanta anni. Ho fatto una ricerca nell’archivio storico dell’Università e al Fascicolo N.: 2343 risulta che è nata a Caldera di Reno e che la sua data di abilitazione è stata il 17/07/1945.
Perciò nel 1975, quando è nata all’Ospedale di Vergato mia figlia Francesca, esercitava già da trenta anni. E’ stata l’ultima ostetrica condotta del Comune prima del grande cambiamento del sistema nel 1976, anno di nascita a Bologna alla Maternità di Via d’Azeglio della mia seconda figlia Laura, per la chiusura del punto nascite a Vergato trasferito a Porretta Terme.
Alzi una mano, tra le lettrici non più giovanissime di Vergato, chi se la ricorda.
Di costituzione robusta, capelli nerissimi, occhi neri spiritati, truccatissima, rossetto rosso carminio, con sé sempre una capiente borsa, una parlantina sciolta e inarrestabile… penso sia stata un personaggio del paese, anche perché l’ostetrica condotta rivestiva un ruolo abbastanza importante.
Per fare capire meglio alle nuove generazioni il contesto occorre però descrivere come era vissuta circa quaranta anni fa la gestazione e la nascita.
Le caratteristiche principali, secondo l’ esperienza vissuta, erano le seguenti.
Il sesso della tua creatura lo venivi a sapere una volta che era “completamente” venuta alla luce. Non esisteva l’ecografia. I sistemi per scoprirlo prima erano diciamo un po’ empirici. “T’è ‘na panza a punta, l’è un masti, tànda, fammna”, quindi si evitava accuratamente di preparare prima corredini rosa o azzurri, per questo imperversava il giallo pulcino, il verde acqua, il bianco.
Veniva rispettato rigorosamente il paragrafo 3,16 della Genesi “«Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli” in quanto non era prevista l’epidurale. Avevano un bel da raccontarti prima per tirarti su di morale suocere e mamme: “Moh va là.. l’è brîṡa gnenta….al ciâmen al mal del scurdon”
L’unica e dico unica figura maschile ammessa in sala travaglio e sala parto era il medico. Al marito era concesso al limite di aspettare per ore in portineria camminando avanti e indietro nel corridoio, fumando, se aveva il vizio, come da iconografia classica, o aspettare più comodamente a casa la telefonata di annuncio nascita.
L’ostetrica condotta, nel nostro caso la Natalina, ti seguiva l’ultimo mese di gravidanza venendo regolarmente in casa tua, ascoltava il battito del cuore del tuo bambino con lo stetoscopio di Pinard, una specie di trombetta di legno, rispondeva alle tue domande, ti consigliava. Quando iniziavano le doglie la dovevi avvertire.
La sera del 7 di settembre 1975 quando iniziarono le mie, la chiamai e lei mi disse che era già in ospedale per un altro parto e di andare là. Presi la valigia e accompagnata da mia suocera Rosita, a piedi, attraversai il ponte sul Vergatello ed entrai in ospedale, un percorso davvero breve da casa mia.
L’area dell’ospedale dedicata alla nascita era all’ultimo piano, non ricordo più se allora c’era chirurgia o ortopedia, le prime due stanze dedicate al periodo di degenza di mamma e bimbo. La sala parto era contigua alla sala travaglio e separata da essa da una porta a soffietto. Così se una aveva la “fortuna” di essere in travaglio, mentre dall’altra parte c’era una in procinto di partorire, poteva già farsi più o meno un’idea di cosa l’aspettava, come è stato nel mio caso.
La Natalina padrona della scena, circondata dalle conosciutissime infermiere: la Bruna Casalini, la Guerrina Serra, la Vittoria Satalino ed eventualmente dal dottore nel caso di bisogno, gestiva tutto con grande professionalità.
Francesca nacque la mattina alle sei e, considerato che l’ostetrica era stata impegnata anche in un precedente parto, lascio a voi immaginare il suo stato, non tanto fisico in quanto ancora molto pimpante, ma del viso con tutto il trucco colato e sbaffato, un vero e proprio mascherone.
Una volta che eri tornata a casa con il tuo bebè continuava a venire tutti i giorni, dandoti preziosi consigli, fino al momento di caduta del cordone ombelicale e del primo bagnetto. Una assistenza preziosissima in quella fase di vita di una donna durante la quale è più fragile e disorientata.
Considerato che fra Francesca e Laura ci sono 14 mesi di differenza, ho avuto il piacere di ospitare in casa mia la Signora Natalina per quasi due anni di seguito. Mi divertiva molto, specialmente quando raccontava le sue prime esperienze professionali, appena diplomata, in un paesino sperduto di montagna della Sicilia. Una vita di sacrificio, correre a qualsiasi ora del giorno e della notte con i pochi mezzi possibili, molto spesso a dorso di asino e soprattutto scontrarsi con la superstizione e l’ignoranza chiusa della gente. Diceva che dal momento che durante il parto la biancheria si sporcava comunque, era usanza lasciare nel letto quella già usata. Raccontava: “Toglievo dal letto tutti quegli stracci lerci, uscivo nell’aia e iniziavo a pestarli con le scarpe, urlando che tirassero fuori biancheria pulita e loro mi dicevano che ero cattiva!!! Quando andai via le donne mi dissero che sì ero cattiva, ma che prima morivano di più”. Ed io me la immaginavo, giovane, bella, selvaggia nelle sue sfuriate.
Ha continuato, dopo la pensione, ad andare a fare attività infermieristica a chi ne aveva bisogno, era diventata anche rappresentante dell’Avon ed in questa veste ha continuato a frequentare casa nostra, sempre truccatissima, poi non l’ho più vista e presumo sia mancata già da anni.
Cara vecchia “cicogna” le tue mani hanno accarezzato per la prima volta buona parte dell’attuale popolazione di vergatesi doc e sarebbe stato un vero peccato non farti ricordare.