Rita racconta – Un, due, tre per le vie di Roma…..
2020/01/19, Vergato – Rita racconta;
Un, due, tre per le vie di Roma…
L’altro giorno ero intenta nell’occupazione più piacevole da quando sono in pensione: fare la nonna.
Infatti stavo giocando con mio nipotino Lorenzo di tre anni a casa dal nido perché ammalato, quando il mio sguardo ha spaziato per la stanza e mi sono trovata a fare un rapido inventario di tutti i giochi a disposizione: costruzioni, pupazzi, trenini, macchinine, puzzle, libri, adesivi, carrelli, strumenti musicali, colori per disegnare, lavagna, tenda come rifugio e tantissimi altri oggetti che, per la verità, sono in grado di suscitare il suo interesse per un breve momento. Ho fatto un confronto con i giochi, veramente pochi, sui quali potevo contare da piccola e sono arrivata alla conclusione che in realtà ne avevo a disposizione moltissimi perché ogni oggetto, anche il più improbabile, diventava con la fantasia quello che volevi ed un’occasione di divertimento sempre nuova. Tale abilità si affinava nel tempo e mi sono tornati in mente i diversi giochi e passatempi con i quali trascorrevamo il tempo libero dalla scuola noi bambini, agli inizi degli anni ’60.
Prima di addentrarci nel passato, occorre fare alcune precisazioni riguardo al tempo libero di allora.
Non esisteva scuola a tempo pieno: orario di inizio delle lezioni: 8:30 e di fine alle 12:30, poi tutti a casa.
Non esistevano ancora società sportive o associazioni culturali dove i tuoi genitori ti potevano iscrivere per frequentare lezioni di nuoto, calcio, aerobica, danza classica e moderna, tennis, basket, pallavolo, ginnastica artistica, judo, karatè, arti marziali, disegno, teatro, recitazione, cucina, lingue orientali e così via per la gestione dei quali occorre tenere aggiornata una agenda di appuntamenti.
L’unico impegno extra-scolastico era quello di andare al catechismo.
Godevi di un’ampia libertà fuori dalle mura domestiche, specialmente d’estate la tua vita la trascorrevi all’aperto, non c’era tanto traffico e nemmeno da temere i pericoli di oggi. I compaesani adulti ti conoscevano e si sentivano pienamente autorizzati a riprenderti o a mollarti un calcio dove non batte il sole se ti vedevano fare qualche cosa di scorretto, senza la paura di venire denunciati dai tuoi genitori.
Le bambine dovevano aiutare la mamma nelle faccende domestiche o nell’andare fare la spesa, ma poi, svolti i compiti di scuola assegnati a casa, ti rimaneva un sacco di tempo libero da occupare dando ampio sfogo a tutta la tua inventiva e fantasia… e vi posso assicurare che allora ne avevamo tanta.
Il periodo più fecondo è stato quello dei miei sette/dieci anni trascorsi a Casa Gentilini, in Via Minghetti, perché potevamo contare sul sodalizio di una piccola banda di “cinni” ivi abianti: io, la Flaminia Gentilini, Stefano e Giovanni Maldina, la Betta Canarini, i bambini delle case popolari di fronte: Concetta con i fratelli gemelli Pietro e Paolo e tanti altri.
I giochi erano i più disparati, dipendevano dal tempo, dalla stagionalità, dall’umore del giorno, dai temporanei bisticci tra maschi e femmine, dal numero di componenti.
Partendo dal conosciuto “Nascondino”, passando per “Strega in alto”, “Strega tocca colore”, “Palla avvelenata” “Uno, due, tre .. per le vie di Roma”, “Acqua, fuochino e fuoco” qualsiasi gioco che implicava l’assunzione da parte di un partecipante di un ruolo poco simpatico, tipo quello che conta a nascondino, pretendeva prima l’esecuzione della “conta”.
Era un rito serissimo, che richiedeva la massima attenzione, tutti in circolo, il “capo” recitava l’apposita filastrocca che si concludeva con la scelta di chi doveva fare la parte più antipatica del gioco. Ve le ricordate le conte?? A me piacevano queste:
“Sotto la cappa del mio camino c’era un vecchio contadino che suonava la chitarra bim-bum-sbarra”
“Sotto il ponte di Baracca, c’è Pierin che fa la cacca, la fa dura, dura, dura, il dottore la misura, la misura trentatrè a star fuori tocca a te”
“Ponte, ponte pita, petà Perugia, ponte, ponte, pita, petà Perù”
Oppure:
“Hai tu visto mio marito?? Di che colore era vestito?? Hai tu indosso ‘sto colore?? Dimmi un numero per favore??”
Delle volte le “conte” finivano in bisticci. “Hai fatto dei ballottini!!! Hai contato troppo alla svelta!!” … e si ripetevano anche più volte. Però alla fine, stabilite le regole alle quali ci si doveva attenere, si iniziava seriamente a giocare con soddisfazione di tutti.
Gioco, più praticato da noi bambine, era la “sghira”, quanto tempo passato a saltellare a zoppo galletto. Serviva veramente poco per mettere assieme un gioco tanto bello.
Ti dovevi procurare un sasso, ma speciale… non doveva essere né troppo leggero, ma nemmeno troppo pesante, un po’ piatto e spesso.
Poi occorreva un po’ di spazio dove tracciare le linee che formavano i quadrati della “sghira”. Noi, solitamente con un bastone, tracciavamo sulla terra battuta del cortile di Casa Gentilini dieci caselle parallele con scritto al centro il numero e una mezza luna al termine, su cui potersi riposare. Lo svolgimento consisteva nel lanciare il sasso sul primo quadrato, stando attenti a non sbagliare il bersaglio. Se facevi “spanna”, vale a dire il sasso cadeva esattamente sopra la linea, potevi ritirarlo. Poi si avanzava saltellando a zoppo galletto cercando di fare tutto il percorso senza toccare le righe dello schema e raccogliendo il sasso quando ci si trovava sullo spazio corrispondente senza cadere. Una volta completato il giro si gettava il sasso sulla casella seguente e così via. In caso di errore invece il turno passava al compagno successivo e tu restavi in trepida attesa dello sbaglio di tutti per poter ripartire da dove ti eri fermato. Vinceva, ovviamente, chi per primo completava tutto il tracciato. In alcune varianti, si apportavano difficoltà sempre maggiori, come il saltellare con il sasso appoggiato sulla mano, in equilibrio sulla testa e, livello massimo, a occhi chiusi.
Altro gioco, questo con la palla, che facevamo noi bimbe era quello che chiamavamo “Palla muro”, si lanciava a turno la palla contro il muro, compiendo nel breve tempo del rimbalzo movimenti di abilità prima di riprendere la palla. I movimenti erano declinati da una filastrocca di accompagnamento che diceva pressa a poco così:
“Muovendomi,
Stando ferma
Senza ridere
Con un piede
Con una mano
Battimano
Le ribatto
Tocco terra
La ritocco
Giravolta
Zigo Zago
Un bacino
Un inchino
Angelo
Arcangelo”
Quando ti sfuggiva la palla, passavi la mano.
Spesso giocavamo con i maschi, specialmente nel periodo delle cerbottane e quindi di inizio delle “guerre” tra le bande: di solito Casa Gentilini contro Case Popolari. Li aiutavamo a fare le frecce, quei coni di carta che dovevano essere costruiti e sigillati con la saliva in un determinato modo per garantirne la stabilità e la velocità di percorrenza.
Verso la fine di maggio, inizi giugno si andava a rubare i rusticani. Non sarebbe da considerarsi un vero e proprio gioco, ma una marachella, il gioco stava nella attenta pianificazione di tale attività: disegno delle mappe e vari studi finalizzati al prelievo, di nascosto dai proprietari, dei frutti ancora acerbi da sgranocchiare con infinite smorfie una volta tornati in spazi sicuri. Ora i rusticani non interessano più a nessuno e alla fine della maturazione cadono per terra in pasto alle formiche.
Oppure quando si decideva di costruire una capanna che sarebbe diventata “la tana” della banda. Ora vendono tende, casette prefabbricate di plastica complete di accessori, allora potevi contare, come i tuoi predecessori primitivi, su quello che ti offriva la natura.
Ed eccoci tutti a raccogliere legni, pali, frasche e vecchi stracci e a cercare di mettere assieme costruzioni molto instabili ed anguste dove rifugiarci stretti facendo finta che….
Bellissimo il gioco del “Facciamo finta che….” , era quello che mi riusciva meglio, purtroppo sono stata sempre molto “imbranata” nei giochi che richiedevano una certa abilità motoria, ma in questo mi lasciavano ampio spazio perché sapevo inventare situazioni e giochi di ruolo che facevano passare velocemente il tempo e coinvolgevano tutti. “Facciamo finta di essere pirati e di dover cercare un tesoro nascosto”, “Facciamo finta di essere esploratori ed andiamo ad esplorare le vecchie stalle e la cantina della Signora Delia che intanto la lascia sempre aperta, chissà cosa scopriremo!!”. Pomeriggi estivi lunghissimi, fino a quando una voce di mamma dalla finestra urlava che era ormai ora di rientrare in casa, perché tra un po’ era pronta la cena. Allora ci lasciavamo o come dicevamo “scioglievamo la banda” dandoci appuntamento per il giorno dopo per nuovi giochi e nuove avventure.
Si litigava, i maschi a volte se le davano di santa ragione, si creavano alleanze, discordanze, si faceva pace, ci si prendeva in giro a volte in modo feroce:
“Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù quando muore va laggiù, va laggiù da quell’omaccio che si chiama diavolaccio!! Spia…. Spia… PRRRR!!!!”
Era un mondo però dove gli adulti non si sognavano nemmeno di essere presenti o di intervenire nella gestione del quotidiano, ma che è stata comunque una scuola di vita che ci ha aiutato a crescere e che probabilmente possedeva dinamiche tali da riuscire a farti prendere consapevolezza di te, ad insegnarti a difenderti e di conseguenza a rafforzare la tua autostima. E’ stata ”un’isola che non c’è” che probabilmente Lorenzo non conoscerà mai.