La portiera si aprì e Gloria scese con lo stomaco sottosopra… un racconto di Rita Ciampichetti

2021/01/16, Vergato – Un racconto breve di Rita Ciampichetti. Oltre i ricordi.

Riconciliazione

Con l’ennesima rumorosa scalata di marcia il vecchio pulmino arrancò per l’ultimo tornante prima di approdare ansimando nella piccola  piazza di un minuscolo borgo arroccato ai piedi del monte.

La portiera si aprì e Gloria scese con lo stomaco sottosopra e un lieve giramento di testa, si strinse nel giubbotto sistemandosi gli spallacci dello zaino e si guardò attorno.

Nulla era cambiato dall’ultima volta che era salita lassù, quanto detestava quel posto, terra di origine della sua famiglia. Lì era  nato e cresciuto suo padre prima di trasferirsi per lavoro in città, dove si era sposato e messo su famiglia, lì vivevano ancora i nonni paterni  e purtroppo lì era stata per anni obbligata a trascorrere tutte le vacanze sia estive che invernali.

Lei amava il mare, il caldo sulla pelle, le giornate lunghissime d’estate quando il sole non tramonta mai, lassù, anche in giugno, già nel primo pomeriggio il sole scompariva dietro la vetta del monte che incombeva sopra al borgo,  facendola immediatamente rabbrividire.

Odiava quei monti, odiava suo padre. Un padre di poche parole, duro come le rocce granitiche di quei monti, che non ammetteva sbagli o repliche  e con il quale aveva sempre ingaggiato infinite battaglie perse. Quanti pianti di sorda stizza avevano costellato la sua adolescenza, fino a quando, raggiunta l’indipendenza economica, si era finalmente scrollata dalle spalle quel giogo. Rimaneva in lei però il profondo rammarico di non riuscire anche da adulta ancora a comprenderlo.

Sospirando imboccò la minuscola stradina acciottolata che saliva verso la casa dei nonni, sulla porta di entrata c’era la chiave infilata nella serratura, in silenzio apri e varcò la soglia della vecchia cucina. Anche qui non era cambiato nulla:  le pareti annerite dal fumo, la credenza con vecchie cartoline incastrate nel vetro, la tavola tedesca, le sedie impagliate, attaccato al muro un supporto di legno intagliato con coperchi e tegami,  il lavandino di graniglia sotto la piccola finestra, il gatto addormentato sulle gambe del nonno che era seduto davanti al camino, il fuoco vivace spandeva attorno il profumo del legno di ginepro che stava bruciando.

“Gloria, sei già arrivata??”  “Sì nonno, il vecchio bus non ce la faceva più”.

Il volto raggrinzito e sorridente di una vecchia signora con il fazzoletto in testa legato dietro, spuntò da una botola del piano superiore: “Gloria, ti sto preparando il letto, quanto ti fermi?” “Solo per il fine settimana, lunedì torno al lavoro, sono venuta solo per recuperare quelle mappe catastali delle proprietà”

La nonna da sopra replicò “Alla fine di novembre quassù siamo rimasti in quattro gatti, ti annoierai” “Non ti preoccupare,  ho con me qualche libro da leggere”. La nonna scese le scale e disse: “Stasera faccio la polenta di castagne con la farina nuova e la ricotta ti va?” “Sì, sì quello che vuoi, intanto ho ancora la nausea e probabilmente non cenerò nemmeno e andrò subito a dormire”.

Al mattino si alzò presto, scese la scala di legno che portava in cucina, il fuoco scoppiettava già nel camino e  nell’aria si diffondeva il profumo del caffè d’orzo, quello tostato direttamente dalla nonna, sul tavolo, dentro un cestino di vimini, spuntavano fette di pane fatto in casa e su un piattino era versata la marmellata di mirtilli raccolti durante l’estate. Il nonno disse “Oggi è veramente una splendida giornata di sole”.

Quella di Gloria fu una decisione repentina, non soppesata, presa d’istinto “Nonna, ci sono ancora i miei scarponi da trekking?? Voglio andare a fare un giro”.

Si vestì, infilò nei piedi un paio di calzettoni di lana fatti a mano della nonna e calzò gli scarponi, riempì di acqua una borraccia, mise nello zaino pane e marmellata e un ricambio di vestiti e si accinse a partire. Il nonno le chiese “Ma ti ricordi ancora i sentieri?” Lei rispose di non preoccuparsi,  non si sarebbe allontanata troppo.

Non aveva mai visto un cielo così terso e azzurro, il sole mattutino splendeva e l’aria frizzantina di novembre le riempiva i polmoni, di fronte vide subito la stradina in salita con l’indicazione del sentiero CAI e la imboccò decisa, percorse qualche centinaio di metri e poi svoltò per un sentiero che immetteva subito nel bosco e seguiva un ruscello in mezzo alla faggeta.

Con lo sguardo cercò il guado che tante volte suo padre le aveva indicato durante le escursioni alle quali la costringeva ad andare, eccolo nascosto dalla vegetazione, oltrepassò il rio e si addentrò nel vecchio castagneto passando davanti al  “casone” in sasso con il tetto di lastre di arenaria, l’essiccatoio per le castagne. Sorrise ricordando tutti i racconti che le faceva suo padre sull’importanza della castagna per l’economia della montagna.

Il sentiero saliva ripido, attorno il silenzio assoluto, solo il rumore dei suoi passi e del respiro un po’ ansimante dovuto al poco allenamento, dopo alcune ore ad un tratto, guardando in alto, Gloria si accorse che il cielo era libero dalla vegetazione, ecco stava arrivando al limite degli alberi, ancora un piccolo sforzo e davanti a lei si spalancò tutta l’immensità del panorama e lo stupore incantato di bambina arrotondò la sua bocca in un oh prolungato.

Guardò rapita la catena dei monti che si stagliavano davanti a lei e seguendo i profili declinò quasi come una lezione imparata a memoria il nome di quelle cime così come gli aveva insegnato suo padre: Monte Gennaio, Corno, Cupolino, Spigolino, i monti della Riva, Libro Aperto, Cimone e si sentì felice di ricordarli ancora.

Inaspettatamente, come solo può capitare in quei luoghi, il tempo cambiò repentino e una fitta nebbia iniziò a salire proprio di fronte a lei, alzò gli occhi ma il cielo era terso e azzurro, si voltò, ma  alle sue spalle, un po’ basso,  c’era ancora il sole. Si spaventò un poco, sapeva quanto può essere pericolosa la nebbia a quelle altitudini, le tornarono alla mente tutti gli avvertimenti del padre sui pericoli dell’infima montagna. Oltretutto quella nebbia le nascondeva completamente il sentiero del ritorno che doveva essere lì da quella parte.

All’improvviso Gloria non credette ai suoi occhi, davanti a lei apparve un misterioso arcobaleno circolare con una gande figura umana al centro, alzò un braccio ed anche la figura l’alzò come per salutarla, era una scena spettacolare ed inquietante allo stesso tempo.

Gloria perse completamente il controllo di se stessa e iniziò a urlare alla figura: “Papà, papà volevo arrivare in tempo per salutarti un’ultima volta e a chiederti scusa perché avevamo ancora litigato…. Non ce l’ho fatta e te ne sei andato via senza che potessi dirti che ti ho sempre voluto bene, ma che non sono mai riuscita a dirtelo”, mentre diceva così un pianto liberatorio le scorreva sul viso, nemmeno al funerale era riuscita a piangere.

I colori dell’arcobaleno in quel momento diventarono ancora più nitidi, poi, come era venuta, la nebbia si dissolse assieme alla figura e il sentiero riapparve.

Gloria ridiscese a valle quasi correndo e con il cuore che batteva all’impazzata, arrivò alla piazzetta del paese, bevve alla fontanella e si bagnò il viso che bruciava.

Quando, riacquistata la calma, rientrò in casa, disse con il nonno “Oggi lassù sui suoi monti, ho incontrato il babbo” e raccontò quello che gli era successo.

Il nonno dopo avere ascoltato le prese la mano tra le sue nodose ed ancora forti e con gli occhi lucidi le disse: “Oggi bambina hai assistito al fenomeno più raro che può accadere in montagna, quello che hai visto è lo “Spettro di Brocken”, è una illusione ottica e la figura che vedevi era la tua ombra ingrandita proiettata nella nebbia, il bellissimo arcobaleno che la circonda si chiama “gloria”, anche tuo padre la vide un giorno, poco prima che tu nascessi, ne fu talmente affascinato che ti diede il nome Gloria”.

Quella sera, nel letto riscaldato dalla nonna con le braci del camino, Gloria ripensò agli avvenimenti della giornata, la spiegazione così razionale del nonno non la convinse, cercò di rivivere tutta la scena e fu certa che se l’ombra era la sua proiezione allora la figura non aveva alzato lo stesso braccio. Socchiuse gli occhi, dopo tanto tempo scese  dentro di lei una gran pace e serenità.

Finalmente si sentì riconciliata con sé stessa e con il mondo e il sonno l’avvolse nelle sue braccia.

Un racconto di Rita Ciampichetti, gennaio 2021

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