Martina, in equilibrio precario sulla scala a pioli,  allungò la mano attraverso la  botola e cercò, a tentoni nel buio… – Un racconto di Rita Ciampichetti

2021/01/25, Vergato – I racconti “brevi” di Rita Ciampichetti.

L’astuccio rosso.

Martina, in equilibrio precario sulla scala a pioli,  allungò la mano attraverso la  botola e cercò, a tentoni nel buio assoluto, la vecchia lampada che, come ricordava,  doveva essere appesa ad un gancio alla sua  sinistra. Un brivido le attraversò la schiena quando le dita si impigliarono nelle ragnatele, ma poi finalmente, dopo qualche tentativo a vuoto,  trovò l’interruttore e accese la luce.

Con fatica, facendosi forza con le braccia e con i piedi si issò dentro la botola per trovarsi, già impolverata,  nella vecchia soffitta della casa paterna.

Da quando si era sposata ed era andata via di casa, tanti anni prima, era tornata in quella soffitta rarissime volte, un po’ per la difficoltà di accesso e poi perché, essendo il sottotetto destinato alla collocazione finale di cose non più utilizzate, la maggioranza di esse erano precipitate nell’oblio assoluto e perciò non erano nemmeno più state cercate.

Cosa l’aveva spinta quel pomeriggio d’inverno a quel viaggio di esplorazione non lo sapeva neppure lei: la noia dovuta alla segregazione forzata imposta dalle misure anti COVID? La ricerca di qualcosa di particolare?

Tante volte sua madre, che aveva una spiccata propensione a disfarsi di tutte le cose vecchie non più utilizzate, le aveva ripetuto: “Adesso poi che sei andata via, mi fai il sacrosanto favore di eliminare tutte le tue cianfrusaglie che mi hai lasciato in soffitta. O le butti o le porti a casa tua”. Facendo spallucce lei rispondeva “Sì, sì… un giorno che ho tempo” fino a quando, dopo qualche decennio, si erano scordate tutte e due di ripeterlo.

Il sottotetto era una vasta superficie aperta, nella parte centrale l’altezza consentiva di stare in piedi, poi, seguendo la pendenza del tetto diminuiva, nei punti più bassi occorreva chinarsi, comunque, dando un’occhiata attorno, Martina si stupì per quante cose nel corso degli anni si erano accatastate occupando anche gli angoli più remoti. L’aria odorava di chiuso e di muffa e dalla finestrella sbarrata che dava accesso al tetto trapelavano lame di luce in cui  danzavano minuscole  particelle di pulviscolo.

Nascosto sotto un vecchio copriletto di seta gialla con le frange trovò l’antico comò, impiallacciato di radica,  con i quattro cassettoni che lei aveva stipato di roba durante gli anni della gioventù. Afferrò le maniglie di osso e aprì i diversi cassetti, sbirciando dentro. Più che altro il contenuto era costituito da libri scolastici.

Amava particolarmente la carta stampata ed era sempre stata pignola con i testi di scuola, li pretendeva nuovi, non usati, li rivestiva con cura utilizzando sempre una carta da copertina di colore chiaro con disegnati gigli di Firenze marroni, le note e gli appunti sui libri  li scriveva rigorosamente con la matita, fatto sta che prendendo in mano una grammatica di inglese si rese conto che sembrava ancora nuova, in un altro cassetto ritrovò alcune prime edizioni degli anni ’30 dei romanzi rosa di Liala, che le erano stati regalati da una vecchia signora e che lei aveva avidamente letto, commuovendosi e sospirando,  in un periodo adolescenziale in cui si sentiva particolarmente romantica, accanto la raccolta di Lanciostory con i personaggi dei fumetti che adorava, altro periodo un po’ meno romantico, poi cartoline, tante cartoline, che aveva ricevuto ai tempi in cui la prima cosa che si faceva quando si visitava un posto nuovo era comprare delle cartoline e spedirle con i  saluti ad amici e parenti, emersero poi i vecchi diari di scuola, quasi tutti di Jacovitti, ne sfogliò qualcuno e sorrise pensando a quanto poco spazio fosse utilizzato per annotare compiti e comunicazioni della scuola e quanto invece era destinato a dediche da parte dei compagni, disegnini, cuoricini ed altre amenità.

Infine nell’ultimo cassetto, trovò la sua vecchia cartella delle elementari, marrone, semplicissima, solo con il manico a mano perché allora non si portava in spalla, era leggera, per curiosità l’aprì e il cuore le balzò in petto.

Dentro c’era ancora l’astuccio in pelle color  rosso che l’aveva accompagnata per tutti i cinque anni di elementari e che le scatenò una tempesta di ricordi di bambina.

Aveva già compiuto i sei anni e in ottobre avrebbe iniziato la prima elementare e a quel tempo viveva in una zona isolata di un paese di montagna.

Un giorno sentì la mamma che diceva con il babbo: “Domani ci viene a trovare Raffaello che è di passaggio per la Toscana”. Lo zio Raffaello era cognato della mamma, avendo sposato sua sorella e da quello che Martina aveva capito, orecchiando i discorsi fatti dai grandi, doveva essere proprio un bel tipo.

“Povera Gabriella, avere a mano un marito come Raffaello …. un cesto di lumache ha più corna, glielo avevamo detto, ma lei niente… innamorata come una zucca!”

Martina non capiva cosa centravano le lumache e le zucche, però era curiosissima di vedere questo zio che non ricordava più perché l’ultima volta che si erano incontrati era molto piccola.

Il giorno dopo arrivò lo zio Raffaello: un uomo con una gran capigliatura nera, ben piantato, con un bellissimo sorriso che metteva in risalto una dentatura da attore ed un modo di fare molto disinvolto e simpatico.

Sempre dai discorsi sentiti, Martina aveva anche capito che lo zio stava anche molto bene economicamente, gran lavoratore, aveva trascorso diversi anni in Germania facendo mille mestieri, tornato in Italia aveva sposato la zia, aveva avviato con fortuna un’impresa di lavori edili  ed ora abitavano in una amena località turistica di mare.

Finito di pranzare lo zio esclamò: “Faccio un salto giù in paese che mi servono le sigarette, Martina mi accompagni e mi fai da Cicerone?”.

Martina non ci pensò due volte, ben felice di accompagnare lo zio, si preparò e si avviarono verso il centro. Era estate ed anche quel paese di montagna godeva di un po’ di turismo. Infatti passando davanti al parco, sedute su una panchina vicino al laghetto, c’erano due bellissime ragazze bionde che parlavano in straniero ridendo ad alta voce. Lo zio Raffaello sorridendo cambiò immediatamente direzione e si avvicinò alle ragazze interloquendo nella loro stessa lingua, probabilmente tedesco ed iniziando uno stretto italico corteggiamento.

Martina dopo un po’ disse: “Zio le sigarette??” e lui “Martina, ma la vuoi una bella coppa di gelato?”. Al massimo Martina poteva sperare, solo alla domenica ben inteso, che la mamma le comprasse un cono gelato a due gusti, invece ora si trovò comodamente seduta ad un tavolino della gelateria più bella del paese con lo zio e le due ridenti signorine, un cameriere le mise davanti  una grande coppa di acciaio velata dal freddo, colma di buonissimo gelato e con sopra anche tre ciliegie all’amarena. Una orchestrina iniziò a suonare e lo zio a turno faceva ballare ridendo le belle tedesche, intanto il tempo passava.

Finalmente gli adulti si salutarono, ci fu uno scambio di numeri e di tacite intese e Martina indicò allo zio la tabaccheria dove comprare le famose sigarette. Tornando indietro sul corso principale del paese passarono davanti anche al negozio di cartoleria e lo zio disse alla bambina: “Martina la tua mamma mi ha detto che ad ottobre inizi la scuola, andiamo dentro …. ti voglio regalare l’astuccio”.

Entrarono nel negozio e la negoziante iniziò a fare vedere sul banco i vari prodotti, ma Martina aveva puntato gli occhi su un bellissimo astuccio che la signora si ostinava a tenere sullo scaffale. Lo zio forse indovinò il desiderio inespresso di Martina e disse alla negoziante: “… e quello?”, la signora un po’ imbarazzata rispose “oh quello è bellissimo, ma molto costoso, è di pelle, ventiquattro colori della Giotto…per iniziare la prima elementare forse è troppo…” “Non importa, vogliamo quello..” In quel momento a Martina lo zio apparve come l’essere più straordinario e potente della terra, non sapeva cosa dire quando la negoziante appoggiò sul banco l’astuccio e l’aprì facendo scorrere attorno una cerniera, era come un libro, nella prima parte una fila interminabile di pastelli dai colori bellissimi che riportavano anche il nome degli stessi e che Martina non aveva mai sentito: giallo ocra, giallo paglierino, giallo limone, rosso carminio, rosso scarlatto, terra di Siena bruciata, blu di Prussia e così via, nell’altro scomparto la cannuccia con il pennino, le matite, il temperino, la gomma, una riga… semplicemente meraviglioso.

Lo zio pagò, consegnò il pacchetto a Martina e si avviarono verso casa, strada facendo lo zio le disse: “Martina, quello che abbiamo fatto oggi rimane un segreto fra me e te, non diciamo nulla alla mamma … che non brontoli perché hai mangiato troppo gelato!!”. Martina disse di sì con la testa, si sarebbe buttata nel fuoco per quello zio. Arrivati a casa la mamma brontolò un po’ lo stesso, ma per il costoso regalo, lo zio sorridendo disse che non era nulla, poi con nonchalance comunicò che per non disturbare ulteriormente, dato che la casa aveva una sola camera da letto e si era fatto tardi sarebbe andato a dormire in albergo giù in paese così alla mattina poteva prendere il primo treno e proseguire il suo viaggio.

Salutò tutti, prese in braccio Martina stampandogli due grossi baci sulle guance e quando la rimise a terra le fece un occhietto d’intesa.

Seduta sul pavimento di cemento grezzo della soffitta Martina prese in mano il vecchio l’astuccio rosso un po’ rovinato e aprì lentamente la cerniera, i colori c’erano ancora tutti, composti nel posto originale e simili a tanti soldatini di diversa altezza, il rosso scarlatto era ridotto ad un mozzicone, la terra di Siena bruciata un po’ più lungo, la cannuccia di legno era rosicchiata in fondo, con il pennino a forma di torre Eiffel ancora infilato e la tela del rivestimento interno dove appoggiava macchiata di inchiostro blu e nero, lo spazio del temperino vuoto, chissà dove era finito.

Martina, come faceva da piccola, avvicinò il naso ed annusò profondamente. Si accorse con sorpresa di riuscire ancora a percepire  quell’odore che le piaceva così tanto, ora ormai tenue, del legno di quei pastelli con cui aveva fatto tanti bei disegni e colorato i diversi album da disegno Roselline.

Ripensò allo zio Raffaello…. sorrise tra sé e sé immaginando a come poteva essere finita quella serata in paese e ai tanti aneddoti con lui protagonista accaduti successivamente  e che erano ancora ricordati in famiglia.

Il suo però, anche da adulta, non lo aveva mai raccontato, per quella sorta di silenziosa complicità nelle marachelle tipica dei bambini che le era rimasta.

Alla fine poi lo zio Raffaello e la zia Gabriella si erano inevitabilmente separati: peccato!

Richiuse il vecchio astuccio e lo ripose nella cartella. Risistemò lo scivoloso copriletto di seta sul comò, diede un’ultima occhiata attorno e ridiscese dalla botola spegnendo la luce.

“Martina, si può sapere cosa sei andata a cercare in soffitta? Hai finalmente buttato via qualcuna delle tue cianfrusaglie?”  le urlò la mamma dalla cucina.

Martina sbuffò ed alzò le spalle “Ma come si fa mamma a buttare via i ricordi? Sì..sì lo farò un giorno che ho tempo”

Rita Ciampichetti – Vergato 01/2021