Rita Ciampichetti – La Lastra del Diavolo – (quinta e ultima parte): le lacrime le salirono agli occhi e con un fil di voce rotta da un pianto…

2021/10/08, Vergato – Rita Ciampichetti, scrittrice per passione, dai raccontini di una pagina ma pieni di memoria, viaggi nel tempo vissuti da molti, un’incontro piacevole con una persona che, senza saperlo ha condiviso le tue esperienze.

Tradizioni, supestizioni, festivita, vita di famiglia e… un’incontro con due persone speciali, i suoceri Rosita e Gino. Fin dalle prime “uscite” sono arrivati i complimenti, i…non sapevo che tu... e i… perchè non gli dite di metterli sulle pagine di un libro? Ora Lei lo sa, aspettiamo il libro.

Ma dai ricordi eccola passare davanti al prevedibile, l’uscita con questo racconto breve (5 puntate)

La Lastra del Diavolo – quinta e ultima parte.

Sara lo guardò e rispose: “Sto cercando un ragazzo che manca da casa da circa cento anni E’ tempo di farlo ritornare”

Antenore, per come era fatto il suo carattere, era un uomo che si stupiva molto difficilmente, però in quell’occasione tenne la bocca spalancata per circa dieci secondi guardando sua moglie interdetto.

“Vuoi ripetere per favore?” le chiese quando riacquistò l’uso della parola.

“Antenore ti prego, non chiedermi nulla ora, poi se è come penso ti racconterò tutto per filo e per segno. Adesso ti chiedo solo di accompagnarmi su per i monti che sovrastano Casigno e che ci dividono con Labante, alla ricerca dei sentieri” lo supplicò Sara.

“Beh, lo conosci anche tu,  il principale sentiero che viene utilizzato è la “Strada degli Americani” e si percorre abbastanza agevolmente” replicò il marito.

“No, no, non è quello che cerco! Quella via è troppo recente, risale all’ultima guerra. Io devo trovare un sentiero o dei sentieri che venivano utilizzati agli inizi del ‘900” rispose Sara un po’ sconsolata.

Antenore rimase in silenzio qualche istante, allargò le braccia e disse “Io purtroppo in quell’epoca non c’ero e difficilmente troverai qualche sopravvissuto… a meno che… a meno che non sappia qualcosa Lucianino del Palazzolo il più esperto “fungaiolo” della zona! Conosce questi posti come le sue tasche. Però Sara ogni giorno che passa mi preoccupi sempre di più”

Speranzosa Sara lo rassicurò dicendo che non c’era niente di cui preoccuparsi e che la sera, sicura di trovarlo in casa, sarebbe andata a trovare Lucianino.

Lucianino, come lasciava presupporre il nome, era un signore di una certa età, non tanto alto, magrissimo e già osservando come si muoveva nervosamente, ti faceva venire in mente l’agilità di uno scoiattolo.

Alla richiesta che gli fece Sara, Lucianino la guardò subito con occhi sospettosi e l’apostrofò seccamente: “Vuoi forse andare a fregare i “cuzzolotti” nelle mie bollate?”

“Ma si figuri!! Non ci penso nemmeno… sto facendo una prima mappatura degli antichi sentieri per un mio amico, presidente di una sezione CAI di Bologna, che li vorrebbe inserire in una cartina informativa” lo tranquillizzò Sara, pensando che se non le fosse cresciuto il naso in quei giorni sarebbe stato un miracolo.

“Guardi Signor Lucianino, in particolare sarei interessata alla zona di Bocca del Rio, Bocca d’Rè, quella dove sgorga la sorgente di acqua solforosa” precisò Sara

“Mmmm! Sentieri difficili e pericolosi, sotto ci sono le razine, se scivoli giù per di lì sono cavoli amari… anche io non li frequento più e probabilmente negli anni saranno ormai tutti coperti di foglie, rami secchi e detriti. La Natura fa presto a riprendersi i suoi spazi. Però qualche traccia si può trovare forse in alto, dove affiorano dei gran massi e la vegetazione è più rada. Non cercare vicino alla sorgente di acqua puzzola, se fai qualche decina di metri dentro al bosco trovi nascosta una sorgente di acqua buona, inizia da lì a cercare tracce di vecchi sentieri…. ma a m’arcmand patoza, se vedi delle bollate di funghi, dimenticatele!” concluse sempre sospettoso Lucianino.

Sara lo rassicurò nuovamente ribadendo che le sue ricerche non erano certo quelle lì, lo ringraziò e tornò verso casa, era già sera e voleva andare a letto presto, domani sarebbe stata una giornata molto faticosa.

Passò una notte travagliata, si sentiva elettrizzata e percepiva che stava per arrivare alla conclusione dell’avventura, ma riusciva solo a fare brevi sonnellini più per stanchezza,. Quando alla mattina vide le prime lame di luce penetrare tra gli scuri, diede impaziente uno scossone ad Antenore che invece dormiva profondamente, dicendogli “Forza, dai pigrone! Allora mi accompagni?”.

Sbuffando e manifestando tutto lo scetticismo che sentiva ribollire dentro, Antenore si alzò, fecero colazione, preparano gli zaini e Sara infilò dentro al suo un cordino da arrampicata. Qualche anno prima aveva praticato questo sport ed ora si manteneva in allenamento facendo bouldering indoor e così nel baule dell’auto teneva sempre tra i diversi attrezzi anche  cordini e moschettoni.

Partirono da casa e si inoltrarono nel loro castagneto. Antenore lo aveva pulito da poco e una verde erbetta stile prato all’inglese ricopriva il terreno sotto i secolari castagni. Tutto era stato sistemato in attesa che i ricci si schiudessero per accogliere i preziosi frutti e rendere la raccolta più facile.

Imboccarono poi lo stretto sentiero di mezza costa e discesero il pendio fino in fondo là dove scorreva, in un letto di pietre, un fossetto dalle acque limpidissime denominato appunto “Fosso dei Sassi”. Lo scavalcarono con un salto e risalirono per uno scosceso e malmesso sentiero la costa opposta del monte. Di fianco, qualche metro più  in basso, si vedeva correre un rivolo d’acqua  con dentro bianchi stracci di un non identificato materiale.

Sara saliva cercando di tenersi in equilibrio su malfermi massi affondati nel fango scivoloso.

“Scusa Antenore, ma perché non mettete un po’ in sicurezza questo sentiero, facendo magari un parapetto e sistemando il fondo?”

“Lo avevo proposto, ma a quanto sembra qui i residenti sono un po’ restii ad avere tanti visitatori e preferiscono lasciare tutto allo stato naturale, senza tanti interventi umani che facilitino gli accessi” le rispose Antenore  un po’ sarcastico.

Raggiunsero la sorgente di acqua solforosa o “acqua puzzola” come è chiamata per il forte odore di uova marce che emana.

Si fermarono a berne un po’ e Antenore sorridendo disse: “Ricordo sempre mia nonna che da bambino mi mandava a prenderne un fiasco, le piaceva moltissimo inzupparci il pane e mangiarlo assieme con il formaggio!” e poi guardandosi attorno: “Chissà che fenomeni geologici sconvolgenti devono esserci stati in questo posto milioni di anni fa per fare sì che questa acqua che proviene dagli strati più profondi della terra risalga fino alla superficie”

Proseguirono all’interno del bosco e trovarono anche la sorgente di acqua normale.

Iniziarono a guardarsi attorno, ma, come previsto da Lucianino, la Natura aveva nascosto in tutti quegli anni le eventuali tracce di vecchi sentieri.

Dopo avere cercato inutilmente di ripulire un po’ attorno Antenore, con il suo senso pratico, le disse: “Sara, dobbiamo salire lassù in cima al monte, se ci inventassimo  un sentiero sceglieremmo istintivamente il percorso più facile, né più né meno di come probabilmente fecero in passato chi li percorreva”.

Così fecero, iniziarono ad inerpicarsi cercando i passaggi più agevoli ed in effetti il buon senso di Antenore ebbe ragione, perché là dove la vegetazione si diradava un po’ ed iniziavano ad emergere grosse formazioni rocciose, in alcuni punti poterono intravedere finalmente la traccia di un vecchio sentiero.

Fu in quel  momento che Sara iniziò a sentirsi percorrere dai  soliti violenti brividi e, come spinta da una forza superiore, iniziò a seguire istintivamente  una direzione precisa per fermarsi in riva ad un ripidissimo pendio, sotto al quale a circa sei metri, si intravedeva una stretta terrazza sormontata in parte da un grande masso che le faceva da tettoia.

Disse con Antenore “Tira fuori il cordino e fammi da sicura, voglio scendere a vedere laggiù”.

Antenore non si dimostrò preoccupato perché sapeva che in quanto ad arrampicare Sara sapeva il fatto suo e si preparò a sorreggerla.

Sara si calò quasi in verticale con il cuore che le scoppiava in petto,   raggiunse il terrazzamento e in parte nascosto dal masso sovrastante, fu lì che lo vide.

La colse una emozione indescrivibile che rare volte aveva provato nei suoi quarantaquattro anni di vita, le lacrime le salirono agli occhi e con un fil di voce rotta da un pianto di gioia, sussurrò piano: “Ciao Giovannino, Giovannino della Mariuccia, finalmente ti ho trovato e ora ti riporto da lei!”.

Lo scheletro protetto dalla roccia si era conservato ed era ricoperto in parte da quella sabbia giallognola tipica dell’arenaria che si disfa per le intemperie, probabilmente contenente anche del salnitro che aveva contribuito alla suo mantenimento in buono stato.

Stava per tirare la corda e risalire quando, vicino ai resti delle falangi, vide brillare una catenella con attaccata una piccola scatolina di latta, istintivamente la prese e se la mise in tasca, poi diede il segnale ad Antenore per la risalita.

“L’ho trovato! Ho trovato i resti del ragazzo che cercavo. Occorre chiamare i Carabinieri, le Guardie Forestali per il recupero e dargli finalmente una degna sepoltura”.

“Ma tu sai chi è?” le chiese Antenore.

“Penso di sì” rispose Sara.

Ridiscesero la montagna e si avviarono verso casa, Antenore le disse che sarebbe andato subito su a Castel d’Aiano dai Carabinieri per la denuncia del caso, mentre lei era meglio che si riposasse a casa.

Stanca ma felice Sara si buttò sul divano, distrattamente mise la mano nella tasca del giubbetto che aveva ancora addosso e trovò la scatolina.

Lentamente si alzò e si sedette su una sedia iniziando a riflettere furiosamente.

Prese fuori i fogli degli appunti, ripassò mentalmente tutte le conversazioni che aveva avuto e gli incontri fatti poi, improvvisamente, le si illuminarono gli occhi e batté il pugno sul tavolo dicendo:

“Non può essere stato che così!” e si precipitò fuori di casa.

Entrò in quella cucina senza bussare, tanto tutte le porte d’ingresso lassù avevano ancora la chiave sull’uscio.

Lanciò la scatolina sul tavolo e disse con voce lenta e pacata: “E’ per questa cosa qui che ha tentato di uccidermi vero? Eccola… la può tenere, il mio obiettivo l’ho raggiunto,  perché ora i morti potranno riposare in pace! Però mi deve spiegare il perché…..”

L’uomo, di spalle davanti al camino acceso, si voltò lentamente e fissandola negli occhi le rispose con tono rassegnato: “Per un giuramento fatto a mia madre, che a sua volta lo aveva giurato sul letto di morte a sua madre… per l’onore della famiglia”.

Sara si voltò verso il tavolino, prese in mano il ritratto nella cornice di argento e disse: “Si Nello, sua madre Mina. Me lo aveva detto.  Peccato che Mina non è il suo nome. E’ il diminutivo di Ultimina, la sorellina più piccola di Vittorio, vero?”

Con la voce piena di una stanchezza Nello le rispose: “Sì. A quei tempi era molto piccola, ma in quella giovane mente rimasero incisi ricordi così tristi che se li trascinò dietro vividi come allora per tutta la vita e che sua madre, fino a quando non morì,  provvide ad alimentare tutti i giorni.

Il matrimonio tra Vittorio e Mariuccia era stato pianificato da tempo dalle famiglie. Mariuccia era figlia unica ed avrebbe ereditato tutta la proprietà dei Vitali, i Lolli che erano gli zii invece potevano mettere a disposizione le braccia per mandare avanti la baracca.

All’inizio sembrava che a Mariuccia non dispiacesse Vittorio, almeno fino a quando non incontrò Giovannino per il quale perse la testa. Vittorio era innamoratissimo di Mariuccia ed anche molto geloso. Scoppiò la guerra e fu chiamato a combattere ma quando tornò a casa in licenza perché convalescente dalla spagnola, iniziò a sentire le chiacchere sugli incontri tra Mariuccia e Giovannino.

Incredulo, un maledetto giorno, la seguì di nascosto e li vide mentre facevano all’amore. Furibondo aspettò che Giovannino risalisse il sentiero e lo affrontò.

Mia madre, quando fui abbastanza grande per comprendere, mi raccontò che quel giorno Vittorio tornò alla Ca’ Nova completamente stravolto ed entrò in casa dove c’era solo sua madre, mia nonna Dolfina, perché gli altri erano tutti nei campi. Piangendo le raccontò che aveva litigato con Giovannino e quando lui ridendo gli aveva detto che amava contraccambiato Mariuccia e che sarebbero scappati assieme in America perché  non era certo un “pistollo” come lui che preferiva andare a fare la carne da macello per Cadorna, non ci aveva più visto e lo aveva colpito con un bastone in testa uccidendolo.

Lo aveva spinto poi giù per le “razine”, però dopo si era accorto di avere perso la piastrina di riconoscimento che probabilmente gli aveva strappato Giovannino cadendo.

Mia nonna, donna tutta di un pezzo, gli disse di tornare immediatamente su al fronte anche se la licenza non era finita e di non parlare della targhetta persa, poi alla sera riunì i componenti adulti della famiglia e fece giurare a tutti che il segreto di quello che era successo sarebbe stato custodito dalla famiglia e dai suoi discendenti a qualsiasi costo e per sempre, nessun altro doveva sapere né oggi, né domani, né mai.

Poi arrivò la spagnola e si portò via Mariuccia e i suoi genitori.

Quando Vittorio cadde alla battaglia di Caporetto, venne dato per disperso dato che ovviamente non fu trovata la sua targhetta di riconoscimento e quando gli abitanti di Casigno vollero inserire anche il suo nome nella lapide ricordo dei Caduti della Prima Guerra appesa fuori dalla chiesa la nonna si oppose con tutte le sue forze, per evitare qualsiasi futuro ricordo.

Mia madre in punto di morte mi fece rinnovare la promessa anche se da anni nessuno parlava più di quegli avvenimenti. Poi sei arrivata tu e non so cosa ti ha spinto ad andare a scavare con tanta testardaggine in un passato ormai sepolto e a costringermi a rispettare il giuramento fatto.”

Nello reclinò la testa sul petto e pianse.

Sara sospirò e disse: “E’ passato tanto tempo, la piastrina come ho detto, te la lascio per ricordo ma devi solo farmi un favore: quello di andare in Caserma dai Carabinieri e confermare l’identità dei resti  in modo che sulla lapide di Giovannino  ci sia un nome. Senz’altro a Labante vive ancora qualche suo discendente ed è opportuno che sappia che lo abbiamo ritrovato. Tuo zio Vittorio commise allora un omicidio spinto dalla gelosia e dalla rabbia  che è rimasto impunito e che ha provocato tanta sofferenza, quello che fece fu terribile e non giustificabile, ma ormai a lui penso abbia già abbondantemente provveduto un’altra Giustizia”.

Concluso formalmente il riconoscimento dei resti, Sara suggerì di seppellirli nel cimitero di Casigno accanto alla tomba di Mariuccia e presenziò con Antenore alla breve cerimonia di commiato.

Il pomeriggio di quel giorno però non resistette ad andare alla Lastra del Diavolo.

Quando vi giunse era deserta.

Proseguì allora per il sentiero fino al torrente poco distante, poi ad un tratto le sembrò di essere chiamata.

Si voltò e laggiù vide Mariuccia, abbracciata con un giovane ragazzo, che la salutava con la mano. Li salutò anche lei e sorrise quando li vide sparire assieme nella Luce.

“Finalmente Mariuccia sei riuscita  a dire a Giovannino che aspettavi un bambino da lui. Ora siete nuovamente assieme, per sempre” pensò.

Erano stati giorni intensi quelli appena trascorsi, ma si sentiva felice e appagata come quando hai concluso un buon lavoro e sei  in pace con il mondo e con te stessa.

Però c’era una cosa che non le tornava e che nell’evolversi convulso degli eventi aveva completamente scordato.

Il mattino seguente andò a Vergato, tornò poi a casa e dopo mezz’ora uscì correndo a cercare Antenore che stava mettendo a posto il giardino davanti a casa, abbellendolo con una fontana e arredi da esterno.

Lo abbracciò e sorridendo gli disse: “Sai Antenore, tutto sommato penso che questo sia proprio un bel posto per far crescere il nostro bambino”

Antenore la guardò stupefatto e balbettò: “… non dirmi…non dirmi..che aspettiamo un bambino”

“Sìììììì, sono incinta!” urlò Sara

Antenore la guardò in un primo momento felicissimo e subito dopo con preoccupazione: “Con tutto quello che hai combinato! Domani vai subito a fare un controllo! … e dimmi… come lo chiameremo?” e lei abbracciandolo gli sussurrò all’orecchio:  “Mi sembra ovvio: Maria se è una bambina e Giovanni se è un maschietto!”.

Sara sentì leggeri e piacevoli brividi percorrerle tutto il corpo ed ebbe la certezza che da quel giorno in poi  tutto sarebbe andato meravigliosamente bene.

Rita Ciampichetti

Tengo a precisare che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale, mentre l’ambientazione geografica e i toponomi sono reali. Infatti un obiettivo del racconto è quello di fare conoscere la Vallata del Vergatello, un po’ dimenticata e le testimonianze sia storiche che naturalistiche che offre.
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