Rita Ciampichetti – 19 Marzo… San Giuseppe; “Par Sân Jusèf ôv dûri e radéc”
2022/03/18, Vergato – San Giuseppe lavoratore, si diceva una volta e ce lo fecero festeggiare… lavorando!
Lo racconta Rita Ciampichetti in questo breve racconto di storia e tradizioni civili e religiose.
19 Marzo… San Giuseppe
Chi di voi sapeva o ricordava ancora che fino al 1977 il giorno di commemorazione di San Giuseppe, 19 marzo, era considerato in Italia festivo?
Fu con legge del 5 marzo 1977 n° 54 che la festività è stata abolita e ahimè il 19 marzo è diventato un qualsiasi giorno feriale, tranne che in alcuni cantoni della Svizzera ed in qualche provincia della Spagna.
Secondo la credenza il 19 marzo morì San Giuseppe è questo giorno di festività è stato inserito nel calendario romano da papa Sisto IV nel 1479.
Nell’iconografia tradizionale spesso San Giuseppe viene raffigurato come un uomo anziano con in mano un bastone fiorito. Incuriosita da questa particolarità ho fatto delle ricerche per capire da dove proveniva questa tradizione.
I Vangeli canonici riportano notizie molto scarse di San Giuseppe, padre putativo di Gesù. Solo gli evangelisti Matteo e Luca danno di lui qualche informazione in più, facendo sempre riferimento però a episodi legati alla vita di Maria e di suo Figlio.
Invece notizie più dettagliate, ovviamente non confermate, sono contenute nei vangeli apocrifi ed in particolare nel Protovangelo di Giacomo del II secolo troviamo alcune informazioni proprio riguardo al bastone fiorito.
Giuseppe, il cui significato in ebraico vuol dire “accresciuto da Dio” era discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme e secondo il Protovangelo era vedovo con figli.
Maria invece era cresciuta presso il Tempio di Gerusalemme conservandosi casta. Compiuti i quindici anni di età arrivò il momento per i suoi tutori di decidere a chi sarebbe andata in sposa.
Allora il sommo sacerdote Zaccaria indossò il manto dai dodici sonagli, entrò nel santo dei santi e pregò Dio sulle sorti di Maria. Apparve allora un angelo che gli disse di radunare tutti i vedovi e di fare portare ad ognuno di loro un bastone: Maria sarebbe diventata la moglie di colui che Dio avrebbe indicato con un segno.
Furono inviati banditori in tutta la regione e i partecipanti, tra cui Giuseppe, arrivarono al tempio con i propri bastoni. Il sommo sacerdote li prese ed entrò nel tempio a pregare. Quando ebbe finito di pregare uscì e restituì i bastoni ad ognuno di loro ma non accadde nulla tranne che per l’ultimo bastone che quando venne consegnato a Giuseppe iniziò miracolosamente a fiorire sprigionando anche una colomba che volò sul suo capo.
Il sacerdote disse allora a Giuseppe: “Tu sei stato eletto a ricevere in custodia la vergine del Signore”.
Giuseppe era della stirpe reale di Davide e, in virtù del suo matrimonio con Maria, conferì così al figlio di Dio il titolo legale di figlio di Davide, adempiendo a quanto riportato nelle antiche profezie riguardo al Messia.
Maria sapeva soltanto che il Signore l’aveva voluta sposa di Giuseppe, un “uomo giusto” che sapendola incinta non volle ripudiarla e, come dice il Vangelo secondo Matteo, decise di allontanarla in segreto temendo di esporla alla pena della lapidazione.
Immaginatevi il tormento del promesso sposo, fino a quando un Angelo non gli apparve in sogno e lo confortò dicendogli: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Così al risveglio, Giuseppe prese con sé Maria, accettando il mistero della sua maternità ed assumendosene le successive responsabilità “per amore, solo per amore” come dice il titolo del bellissimo libro di Pasquale Festa Campanile dedicato a questa coppia fuori dal comune.
Personalmente mi è sempre stato molto simpatico San Giuseppe, padre putativo di Gesù e uomo giusto.
Se ci pensate bene si è preso una bella responsabilità.
Innanzitutto credere ed accettare che la propria fidanzata, pur vergine, era rimasta incinta dello Spirito Santo e, nonostante le usanze del tempo, sposarla ugualmente impegnandosi per giunta a rispettarla dopo, poi assistere e proteggere lei e il Bambino: va a Betlemme, scappa in Egitto, torna a vivere di nascosto a Nazareth, crescere, educare e comprendere le stranezze di quel bambino che fin da piccolo avrà senz’altro dimostrato di essere un po’ fuori dall’ordinario, insegnargli un mestiere, accettare che un bel giorno lo lasciasse solo in bottega e se ne andasse in giro in giro proclamandosi Messia e predicando amore, uguaglianza e fraternità attirandosi tutta l’ira dei sacerdoti del tempio. Si presume che sia morto prima della morte di Gesù non essendo citata da nessuna fonte evangelica o no la sua presenza sotto alla croce.
Quel suo Figliolo, giovane adolescente. presumo però che lo deve avere sempre difeso strenuamente dalle insinuazioni, da chi lo prendeva in giro, insomma San Giuseppe è la quintessenza del padre buono, tollerante, disponibile un vero modello di vigilanza e provvidenza ed aggiungerei anche di paziente compagno di vita.
Per tale ragione la Chiesa Cattolica lo ha proclamato protettore dei padri di famiglia e, come se non bastasse, patrono della Chiesa Universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna.
Di conseguenza il 19 di marzo è diventata anche, in Italia e nei paesi di fede cattolica, la Festa del Papà, giorno in cui celebriamo la figura paterna e il suo ruolo nella società e all’interno della famiglia, aggiungerei io per par condicio dato che c’è anche la Festa della Mamma.
San Giuseppe è inoltre protettore dei carpentieri, dei moribondi, degli economi, dei procuratori legali e dei lavoratori, infatti non si festeggia solo il 19 marzo, ma anche il primo maggio: in questo secondo caso con il titolo di “San Giuseppe lavoratore”.
Il mai dimenticato Papa Giovanni XXIII “il Papa buono” considerava San Giuseppe “il miglior maestro e patrono dei diplomatici della Santa Sede”, perché sapeva obbedire e tacere e quando occorreva parlare lo faceva con misura e garbo, qualità e pregi che dovrebbero essere in possesso di ogni diplomatico e specialmente ora avremmo proprio un urgente bisogno di figure di questo genere.
Il cardinale Roncalli, quando fu eletto papa, voleva persino assumere il nome di Giuseppe, ma dal momento che gli avevano obiettato che quel nome non era in uso tra i papi, scelse a malincuore quello di Giovanni, però fece presente che quel santo sarebbe stato sempre accanto alla sua vita “quale eccellente protettore e compagno, e ottimo esempio”.
Parliamo ore di tradizioni più materiali legate a questa festa.
Come tutti sappiamo una peculiarità tipicamente italiana che ci caratterizza in tutto il mondo è quella che tutte le feste finiscono a tavola ed in particolare per la ricorrenza di San Giuseppe ogni regione confeziona dolci tipici.
Da noi la tradizione vuole la raviola. Ricordo che la mia mamma mi mandava al forno Marchi o all’allora forno Lanzarini oggi Matteoni a comprarle per la colazione del mattino del 19 marzo: buonissime, la morbida pasta frolla fragrante, con l’odore della buccia di limone, la superficie cosparsa di granella di zucchero e il cuore ripieno di marmellata alle albicocche, anche se la tradizione esigerebbe la mostarda bolognese.
Adesso che le distanze regionali non esistono più nei forni vediamo anche dolci non proprio nostrani tradizionalmente legati a questa ricorrenza quali le napoletane famose zeppole di San Giuseppe, frittelle di pasta choux farcite con crema e decorate con le ciliegie amarene, i romani bignè di San Giuseppe, mentre in Toscana e in Umbria si preparano frittelle di riso cotto nel latte e aromatizzato con spezie e liquore, le sfince siciliane di San Giuseppe.. insomma un tripudio di dolcezze, ma sapete perché si preparano proprio in tale ricorrenza?
La leggenda narra che dopo la fuga in Egitto, per scampare alle persecuzioni di re Erode, Giuseppe fu costretto a vendere dei dolci per mantenere la sua famiglia in terra straniera. Va mo’ là che esempio di padre!
Una mia compagna di scuola che veniva dal Salento invece mi parlò delle tavole di San Giuseppe.
Mi raccontò che il 18 marzo, sua nonna e le zie in onore di San Giuseppe apparecchiavano un grande tavolo con sopra l’immagine del Santo sul quale predisponevano numerosi piatti con diverse pietanze di pasta, di pesce, di carne, uova, dolci tradizionali, frutta, vino. Il tutto poi era mangiato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti “santi” impersonati da amici o parenti che andavano da un numero minimo di tre, in rappresentanza della Sacra Famiglia a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari.
Che dire ancora … paese che vai… usanza che trovi, sempre e comunque di grande conforto per lo spirito e per lo stomaco…
Dimenticavo il proverbio: “Par Sân Jusèf, a s’liga i scheldalèt” cioè per San Giuseppe si ripongono gli scaldaletto, vale a dire, un tempo, il prete e la suora. In questo periodo, viste le temperature, non mi sembra proprio il caso.
Un altro proverbio di origine alimentare: “Par Sân Jusèf ôv dûri e radéc” ricorda che le galline, dopo i rigori dell’inverno, ricominciano a fare le uova e che nella campagna si raccolgono le erbe selvatiche da fare in insalata appunto con le uova sode. A me piace moltissimo quest’abbinamento, specialmente con i radicchi appena germogliati di cicoria selvatica, in mezzo metto anche qualche acciughina sott’olio e olive taggiasche ed il risultato è quanto mai appetitoso.
Auguri a tutti i Giuseppe, Giuseppine e loro diminutivi e ovviamente a tutti i papà!
Rita Ciampichetti – Vergato 2022