Rita Ciampichetti – 31 Dicembre: San Silvèster al magnèva prémma la chèren e pò la mnèstra!

31 Dicembre: San Silvèster al magnèva prémma la chèren e pò la mnèstra!

Mio suocero Gino apostrofava così la Francesca quando, sovvertendo la sequenza delle portate, a tavola metteva da un lato il piatto della minestra ed iniziava a mangiare il secondo.

Non ho mai imparato l’origine del modo di dire so solo che principalmente il nome di questo Santo è riportato, sempre in campo culinario, sui disparati menù proposti per il cenone di Capodanno.

Infatti il 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno, si commemora San Silvestro che però nulla ha a che vedere con le tradizioni legate alla notte dell’ultimo dell’anno.

Silvestro è stato il 33° vescovo della città di Roma e quindi papa durante l’impero di Costantino ed è ricordato dalla cristianità in quanto sotto il suo pontificato la Roma pagana, pur conservando alcuni riti e cerimonie,  diventò cristiana. Il 31 dicembre del 335 Papa Silvestro morì e quindi, una volta proclamato Santo,  tale giorno venne dedicato alla sua commemorazione indipendentemente dal fatto che coincide con il giorno dedicato al tradizionale saluto all’Anno Vecchio che si conclude ed ai  festeggiamenti per l’Anno Nuovo che arriva.

Il 1 gennaio è stato fissato come primo giorno dell’anno nel 46 a.c., con l’introduzione del calendario giuliano e prima di tale data lo si faceva coincidere con il primo giorno di marzo.

I festeggiamenti di Capodanno risalgono alla festa pagana in onore del dio Giano, che ha dato appunto il nome al mese di gennaio, che si svolgeva a conclusione della celebrazione dei Saturnali, dedicati al dio Saturno, che chiudevano l’anno.

Nei secoli successivi rimase per lungo tempo una grande confusione perché anche se in molti paesi venne adottato il calendario giuliano che fissava l’inizio dell’anno il primo di gennaio, in realtà ognuno lo faceva iniziare a propria discrezione per cui ad esempio in Inghilterra, Irlanda, Pisa e Firenze il Capodanno di celebrava il 25 marzo, in Spagna, invece, il primo giorno dell’anno era fissato al 25 dicembre, in corrispondenza con il Natale, in Puglia, Calabria e Sardegna si festeggiava il 1 settembre.

Il calendario gregoriano ufficializzò definitivamente la data del primo giorno dell’anno nel primo di gennaio uniformando pertanto i festeggiamenti del  Capodanno tra la notte del 31 dicembre e il 1 gennaio.

La notte di San Silvestro è pertanto caratterizzata da usanze e da tradizioni ormai consolidate per augurare un “buon anno”.

Da noi la serata dell’ultimo dell’anno o “Veglione di San Silvestro” è tradizione allestire il cenone e gli chef dei vari ristoranti si sbizzarriscono nella compilazione di fantasiosi menù di terra o di mare non dimenticandosi però di proporre il piatto più caratteristico: zampone o cotechino rigorosamente con il contorno di lenticchie che portano soldi.

Si chiama veglione perché mangiando, ballando, ascoltando i concerti nelle piazze con gli amici e i parenti si resta svegli per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, a partire da dieci secondi prima della mezzanotte inizia il conto alla rovescia, al suo scoccare tappi di spumante saltano e si brinda augurando il buon anno.

La diverse tradizioni sono tutte finalizzate a garantire un anno nuovo all’insegna della fortuna e della felicità e quindi con uno spirito il più scaramantico possibile.

L’usanza del falò in piazza con sopra il “Vecchione” che simboleggia l’anno vecchio che se ne va ha una origine antichissima proveniente dall’antica Roma quando il 14 marzo, corrispondente allora al nostro capodanno, si celebrava la festa chiamata Mamuralia. Durante questa celebrazione Mamurio Veturio, personaggio della mitologia romana, impersonato da un vecchio vestito di pelli rappresentava l’anno vecchio, e veniva scacciato tra grandi risate dai bambini con piccole verghe, per far posto all’anno nuovo.

Tra le tante tradizioni beneauguranti ricordiamo quella di indossare qualcosa di nuovo e rosso, di mangiare le lenticchie che portano soldi, di baciarsi sotto al vischio, di accogliere il nuovo anno con botti e fuochi di artificio, di avere, allo scoccare della mezzanotte, monetine in tasca, di lanciare cocci e oggetti vecchi dal balcone.

Questa ultima tradizione da noi non è praticata, mentre in altre regioni  il gesto di disfarsi delle cose vecchie rappresenta la volontà di spezzare i legami  con il passato, di lasciarsi indietro tutte le negatività per dare spazio ad un futuro migliore.

La mia mamma, che confidava abbastanza nelle pratiche propiziatorie all’insegna del detto “Non è vero, ma ci credo” ci sottoponeva a questo rito.

Comprava sette qualità di frutta secca: fichi, arachidi, uva passa, nocciole, noci, pistacchi e datteri.

Di ognuno ce ne dava tre pezzi, a mezzanotte si mangiavano assieme a tre chicchi di uva.

Alla fine si conservava nel portafoglio un seme di dattero dopo avere buttato dalla finestra quello dell’anno precedente.

Questo rito doveva garantirci un anno all’insegna della fortuna e della serenità.

Non sempre purtroppo è stato così, ma questo non toglie che l’inizio di un nuovo anno ci coglie sempre speranzosi che l’anno che verrà sia migliore di quello che ci ha lasciato ed ognuno di noi pensa anche solo per pochi giorni “Anno nuovo, vita nuova” e fa comunque buoni propositi.

Le tipiche tradizioni del 1° giorno dell’anno le ho già ricordate nel racconto dello scorso anno che potete rileggere al seguente link:https://vergatonews24.it/2022/01/01/rita-ciampichetti-echi-di-capodanni-lontani/

A tutti voi l’augurio di un sereno e proficuo 2023 accompagnato da questo pensiero della poetessa Edith Lovejoy Pierce

“Apriremo il libro. Le sue pagine sono bianche. Le riempiremo con le nostre parole. Il libro si chiama “Opportunità” e il suo primo capitolo è “Capodanno”