Rino Nanni – Ricordi del passato: La mia presenza creava ostacolo al Dott. Della Valle che veniva a trovare il nonno Zanela, sofferente…

2023/02/06, Vergato – Chi di noi non ha mai voluto conoscere le origini della propria famiglia? Quanti ogni giorno si rivolgono a parrocchie, istituti araldici, archivi comunali? Un paio di volte ogni anno da quando esistiamo lettori dagli Stati Uniti o da altre parti del mondo ci scrivono per sapere notizie di famigliari veri o presunti ma con lo stesso cognome.

In questo articolo un nostro compaesano scrive i suoi ricordi vissuti o raccontati sulla sua famiglia. Una famiglia come tante dove la vita si intreccia con quella di altre con le stesse esperienze. Modi di vita e occasioni per cambiare vita…

LE NOSTRE ORIGINI – 24
Da quanto mi è dato conoscere le nostre origini sono quelle di mezzadri poveri, vissuti sempre in montagna, con tutte le privazioni e angherie ben note. I miei avevano ripartito le castagne consegnandone due parti al padrone e tenendone una sola per sé.
La parte migliore del formaggio, che veniva fatto in casa dalle donne, toccava sempre al padrone. Quando durante l’inverno finiva la scorta di grano che il padrone lasciava, tenendo per se la maggior parte in conto dei debiti accumulati, si doveva pregare per avere qualche chilo per volta di granoturco che rappresentava un alimento fondamentale. La carne bovina era tabù e tale praticamente restò fino alla Liberazione. Quando si racconta di una aringa per 3-4 persone non è una favola ma la pura verità. Persino le castagne ci venivano contate e rappresentavano la cena, assieme magari all’insalata condita con aceto e gola di maiale o pancetta fritta che raffreddava subito diventando gelatina schifosa.

Si mangiava il così detto “diretto” (tagliatelle senza uova in brodo di pura acqua). Non abbiamo mai avuto, se non nelle grandi occasioni, un secondo che non fosse una mela o un piatto di radicchio. La legna che veniva tagliata toccava al padrone e al mezzadro andava la sterpaglia. Restava un po di latte e qualche uova, ma di queste occorreva far conto perché servivano come merce di scambio per avere l’olio e il sale. Il maiale doveva durare tutto l’anno, ma i maiali di allora erano privi di prosciutto che andava venduto per necessità di vestiario e di scarpe…
Col padrone allora si parlava tenendo il cappello in mano. Egli era onnipotente e conservava ancora prerogative da feudatario. In effetti il riscatto dei servizi della gleba, operato dal Comune di Bologna qualche secolo prima, era molto formale. La minaccia dello sfratto e poi del giudizio che esso avrebbe dato ad un nuovo padrone, pesava in modo decisivo.
Ricordo benissimo la moglie del fattore che la domenica mattina dalla finestra della casa padronale alla Casaccia delle Ganzole, osservava le donne che andavano a messa a Vizzano e quando ne vedeva una vestita decentemente commentava: “in che mondo viviamo, non si conosce più la differenza fra una contadina e la padrona”.
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Oltre a questo le famiglie allora erano numerose. I figli si sposavano e mettevano al mondo altri figli restando all’interno del vecchio ceppo famigliare. Ciò creava anche altri disagi, insoddisfazioni e liti sul modo di amministrare o meglio la miseria creava la guerra fra i poveri.
Mio padre proveniva da una numerosa famiglia di Montorio (Monzuno) che con i genitori e fratelli dei genitori e figli di questi si trasferirono nel podere della Curia presso la Parrocchia di Montecavalloro, assumendo così anche obblighi nei confronti della parrocchia. Fu li che decisero verso il 1924 di dividersi perché il podere non poteva sfamare tutta la famiglia. Si costituì così un nucleo composto dal nonno Giovanni (Zanela) dalla nonna Caterina (Catireina) e dai tre figli Antonio, Domenico (Mingarei) e Cesira.

La zia Cesira si sarebbe poi sposata ed emigrata in Francia, da dove tornò durante la guerra per morire successivamente a causa degli stenti subiti. Lo zio Domenico (Mingarei) piuttosto malaticcio per lunghi periodi, che era il più “rivoluzionario” della famiglia e al quale noi ragazzi eravamo molto affezionati, morì per infarto a soli 34 anni lasciando la zia Gina e il figlio Carlo. Carlo negli anni sessanta poco più che ventenne morì in un incidente (cadde dalle vespa appena comprata rompendosi il midollo della spina dorsale) mentre la zia Gina vegeta tuttora, piena di malanni, rassegnata e priva di vitalità.
A questi componenti si aggiungeva mio padre, sposatosi poi e tutti si trasferirono a Casa Marucco nei pressi di Riola. Un podere arido, privo di servizi e di strade, piantato nel fango e con una terra dura e ingrata. A Casa Marucco nacque poi Renato.
Anche la mamma proveniva da una famiglia di mezzadri, essa pure numerosa, e piena di traversie.
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Il nonno materno Poli Federico, conosciuto col soprannome di “Mira”, rimase giovanissimo privo di genitori con una nidiata di fratelli più piccoli da mantenere. Già a 14 anni cominciò ad emigrare, soprattutto in Svizzera, per guadagnarsi il pane e non solo per se. Tornava nell’inverno per ripartire a primavera. Questo suo spirito gli creò nella zona un grosso prestigio, perché si diceva che durante l’inverno aveva pieno il “cassone della farina” e per l’impegno che aveva messo nell’allevare i fratelli. Divenuto uomo e stancatosi della vita all’estero decise di sposarsi e di lavorare un podere chiamato “Quiete” nei pressi di Riola. La sua iniziativa, commerciava in bestiame, andava ai mercati e godeva grande fama di galantuomo, fecero di Mira un personaggio importante nella zona e tale è rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Presa la decisione ci fu l’incontro con la norma materna “Maria” ma che tutti hanno sempre chiamato “Mariot”.
Questa nonna è stata un personaggio unico. Abbandonata dai genitori al brefotrofio, divenne, come si dice ancora oggi, una “bastardina” che fu adottata da un contadino della zona, come altri facevano e hanno continuato a fare fino a poco tempo fa, solo per avere uno in più da fare lavorare ed un misero sussidio fino alla maggiore età. Questi “bastardini” non avevano diritti, nè godevano di affetto, ma erano soltanto sfruttati fin da giovanissimi e maltrattati in ogni momento e per ogni occasione.
Di questa realtà io stesso sono stato testimone negli anni passati alla Vice Presidenza della Provincia che aveva cura del brefotrofio e dei cosidetti illegittimi, anche se già allora le cose andavano gradualmente cambiando.
Mariot non andò mai a scuola, ma doveva accudire alle pecore, ai lavori di casa e ad una folta schiera di fratellastri. Credo non abbia mai avuto un vestito nuovo ed un paio di scarpe decenti, non è certo mai andata a ballare o ad altri divertimenti.

Chiesa di Monte Cavalloro: … con i genitori e fratelli dei genitori e figli di questi si trasferirono nel podere della Curia presso la Parrocchia di Monte Cavalloro,

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Fra il nonno Mira e nonna Mariot non vi è stata la tradizionale relazione che precede il matrimonio. Mira che era largamente corteggiato e considerato un “buon partito” la incontrò mentre pascolava le pecore, le chiese a bruciapelo di sposarlo e alla risposta affermativa procedette alla preparazione delle “carte” necessarie.
Il matrimonio avvenne quasi subito e Mariot trovò subito un’altra grossa famiglia da accudire. Quali siano stati i rapporti si deducono anche dal fatto che la nonna si sia sempre rivolta al marito col “voi” e ciò anche dopo cinquant’anni di vita in comune. Mariot del resto cominciò subito a far figli (ne ha avuto 10 in tutto) a lavorare giorno e notte, senza mai protestare o chiedere nulla, ma solo preoccupata che a qualcuno mancasse qualcosa. Era una famiglia estremamente patriarcale, ove il C.F. decideva in tutto ciò che doveva essere fatto, teneva la gestione della famiglia, molto stretto nella borsa con tutto ciò che questo rappresentava. Certamente la nonna non ha mai avuto soldi da spendere per se, e ai nipoti o alle stesse figlie o figli sposati e viventi per conto loro, offriva di nascosto qualcosa, sempre timorosa che non riuscissero a farcela. Nei rapporti con i generi e le nuore non ha mai assunto la difesa dei figli ai quali invece non mancava di raccomandare con discendenza e subordinazione. La nonna non ha mai visto il cinema e credo che l’unico viaggio sia stato a Venezia, col nonno, quando furono celebrate le nozze d’oro, che venne imposto dai figli.
Si trasferirono poi a Monzone, ove sono rimasti a lungo e dove la famiglia Poli era apprezzata e benvoluta. Era una casa sempre aperta e un piatto in tavola, o la bottiglia, erano disponibili per ogni viandante.
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Mi viene quasi d’obbligo qui un paragone fra la mamma e la nonna, molto simili in tutto, donne d’altri tempi, che ne hanno subito di tutti i colori, ma sempre conservando una propria dignità e personalità, ammirate e stimate da tutti coloro che le hanno conosciute.
In quanto ad orientamenti politici tutta la parentela sia del babbo che della mamma furono antifascisti, non militanti o impegnati, non certo preparati da giornali (che non hanno mai letto fino alla Liberazione) né da rapporti con persone politicamente istruite.
Si trattava, come per molti italiani, di un rifiuto istintivo, di coscienza, di una avversione interna non sostenuta da argomenti e da analisi culturali o ideologiche. Sentivano dentro di se che il fascismo, e ancor prima il liberalismo di Rava che dominava la vita politica della nostra montagna, erano soltanto strumenti e mezzi del padrone e del suo dominio, erano la base delle ingiustizie contro cui ogni giorno cozzavano.

Nonno Mira fu sfrattato dalla “Quiete” e dovette trasferirsi a Monzone perché sostenne la lotta dei mezzadri per il Patto Pagliacalda. Ciò avvenne nel pieno dell’inverno, con una famiglia numerosa piena di bambini senza che il padrone manifestasse un minimo di comprensione. Nostro padre fu inseguito dai fascisti e schivò per un pelo l’olio di ricino perché non volle mai frequentare quei suoi coetanei che scelsero di stare con le squadracce e credo anche perché esistevano gelosie di donne in quanto papà era piuttosto intraprendente e non veniva tanto spesso respinto.
Il più preparato era lo zio Domenico (Mingarino) che in tempi più moderni avrebbe potuto essere un buon Capolega. Mingarei era ribelle a subire ingistizie, trovava argomenti per affermare le sue buone ragioni, controllava sempre i “conti” (anche se alla fine era il padrone ad aver ragione) insegnava a noi ragazzi come fregare il proprietario.
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C’era ogni tanto un qualche riferimento alla “Russia” e ai Soviet, ma sono sempre stato convinto che tutti i nostri fossero legati ad una vaga, un pò teorica ed irrealistica, tendenza socialista.
E’ un fatto comunque che nessuno dei nostri si sia trovato dall’altro lato della barricata, che nessuno abbia preso , anche solo per interesse, la tessera del fascio. Noi che andavamo a scuola eravamo iscritti d’obbligo nell’Opera Nazionale Balilla e ricordo che pagavamo ogni anno 6 lire, 1 lira per la pagella e 5 per la tessera. I nostri però non ci hanno mai comprato la divisa, nessuno è mai andato a sfilate o si è legato, anche solo per amicizia, a qualche fascista.
Ricordo però la soddisfazione di tutti (erano già morti il nonno Zanela e lo zio Mingarei) quando il 25 luglio del ’43 cadde il fascismo. La gioia di vedere crollare i miti, i busti, i quadri e tutta la mistica del fascismo anche se si capiva che non colpendo i fascisti il gioco era ancora una volta in mano alle stesse forze. Non prevedevamo però, nella nostra inesperienza che si preparava una fase che, anche se finale, sarebbe stata la più dura e pericolosa.

Serrini: , la Casa di Ferro era proprio al centro della strada, della ferrovia e del canale artificiale che prelevando le acque dal Reno, alimentava la centrale della fabbrica di iuta …

DA UN PODERE ALL’ALTRO
Casa Marucco dimostrò ben presto di essere inadeguata alla famiglia e non sufficientemente produttiva per le esigenze più elementari. Nella ricerca di una soluzione migliore ci si trasferì a Casa di Ferro di Vergato dove sarei poi nato io e saremmo rimasti fino al 1930. La Casa di Ferro non offriva molto di più, se non maggiori comodità rispetto alla viabilità, al centro del paese, ad alcuni servizi. In contrasto con questo, la Casa di Ferro era proprio al centro della strada, della ferrovia e del canale artificiale che prelevando le acque dal Reno, alimentava la centrale della fabbrica di iuta in quegli anni pienamente funzionante. I pericoli erano dunque maggiori e pare che io abbia contribuito a molti momenti drammatici. Fra le cose più ripetute: la mia presenza sulla strada che spesso creava ostacolo al Dott. Della Valle che veniva a trovare il nonno Zanela, sofferente di malattia allora non ben chiamata col proprio nome (si diceva fosse mal d’orina, probabilmente saranno stati disturbi della prostata, che il nonno curò con latte e vino fino alla morte avvenuta quindici anni dopo) il mio tentativo di seguire la nonna nell’orto e invece mi persi verso Casa Furia, tanto che dopo avermi cercato per ore, lo zio Mingarei fece prosciugare il canale naturalmente senza esito. Pare insomma che abbia dato il mio daffare in quegli anni, tanto che la nonna Catierina soleva dire e lo ha ripetuto a lungo “quando sarai grande non dire mai che da piccolo sei stato buono”.
Dalla Cà di Ferro ci trasferimmo a Prunarolo, vicino alle Ganzole in Comune di Sasso Marconi, dove poi sarebbe nato Franco. Vi rimanemmo 9 anni e poi traslocammo a Tarzanello Basso, in Comune di Pianoro dove nacque Alfonsino. Nel ’42 infine tornammo a Vergato nel podere Casone di Sopra.
Gli anni di Prunarolo coincidono con quelli della scuola che sia io che Renato frequentammo fino alla V elementare. I primi tre anni alle Ganzole, ove c’erano le pluriclassi, gli altri due a Sasso Marconi nella sede tuttora funzionante. Avevavmo costruito le prime amicizie, ci veniva chiesto di cominciare a dare una mano nei lavori, soprattutto nei tempi di aratura quando dovevamo guidare i buoi.
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Ricordo che era molto duro alzarsi alle 4 del mattino per un lungo periodo perchè bisognava, fra vicini, integrare a vicenda braccia e bestiame.
Il podere faceva parte di un’azienda di proprietà di un’opera pia e l’affittuario, certo Selli era una sfruttatore di primo ordine. Erano gli anni in cui cominciavo a seguire qualche avvenimento, come la guerra in Abissinia, le sanzioni, l’oro alla patria ( anche la mamma dovette consegnare la fede d’oro in cambio di una di acciaio e solo al suo 50* anniversario del matrimonio, gli regalammo la nuova vera d’oro). Erano i tempi in cui lo zio Mingarino cominciava a spiegarci qualche cosa, o ci portava da qualche parte facendoci divertire. Al tempo delle castagne era poi gran festa perchè andavamo una settimana o dieci giorni al Monzone, dai nonni.
Ci piaceva raccoglierle o badare al fuoco dell’essicatoio che doveva stare sempre acceso. C’era poi la festa dell’8 settembre, alla fiera di Pontecchio, dove il nonno Mira ci offriva un gran cocomero e dove io compravo, mettendo insieme 2 o 3 lire durante l’anno, un coltello da tasca che era una grande passione.
Furono gli anni in cui si sposò lo zio Mingarino e ci fu una gran festa, con la zia Silvia che rimase quasi un anno con noi.. La zia Silvia era una bella ragazza, molto corteggiata e noi ci stimavamo ad andare in giro con lei, ma era anche inflessibile nell’ordine e nella pulizia e non ci dava modo di sottrarci alle sue cure.
Gli anni di Tarzanello basso sono in parte già diversi, perchè cresciuti, già legati ad amicizie, con interessi vari. Fra questi ricordo le veglie invernali nelle stalle e la mia soddisfazione per aver “imparato” ad uscire di notte senza avere paura, nonostante gli scherzi che lo zio Mingarino mi faceva di uscire a mezzanotte con la lanterna accesa. A Tarzanello comprai anche la prima bicicletta, spendendo 500 lire che avevo guadagnato tagliando e poi vendendo della legna da ardere.
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Negli anni di Tarzanello ci sono anche dei momenti tristi.. Nonno Zanela fu trovato a letto morto senza che la nonna se ne accorgesse. Poi lo zio Mingarino mi cadde in braccio mentre stavamo battendo della canapa nell’aia e morì pochi minuti dopo.
Furono comunque gli anni decisivi della nostra formazione, soprattutto mia e di Renato. Gli altri erano ancora troppo piccoli. Ormai lavoravamo nel podere come gli adulti. Nostro padre : ci feceva, qualche concessione, brontolando poi perché alla nostra età anche lui andava a divertirsi, ma nel lavoro era puntuale. Il posto era però scomodo, isolato e quando andavamo a Sasso al Mercato o al cinema c’erano due ore di strada a piedi da percorrere, la casa era vecchia e cadente, le strade fangose. Più crescevamo e più sognavamo una diversa sistemazione.
Fino a quel momento la guerra non aveva prodotto modifiche nel nostro modo di vita, nè il fascismo ci aveva direttamente creato delle difficoltà.
Vivevamo isolati, lavorando tutto il giorno, sempre in bolletta e con molta rabbia in corpo.
Così nel 1942 ce ne tornammo a Vergato, nel podere Casone di Sopra. Continua…

Rino Nanni – ESPERIENZE E RICORDI DEL PASSATO Aprile 1945 – Ottobre 1981

Montecavalloro casa e fienile: … con i genitori e fratelli dei genitori e figli di questi si trasferirono nel podere della Curia presso la Parrocchia di Monte Cavalloro,

Guarda gli articoli precedenti; https://vergatonews24.it//?s=rino+Nanni

Nella prossima puntata: VERGATO E LA SUA ORIGINE

© Riproduzione riservata – Pubblicazione inedita.

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